ROMA – Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2024 in occasione della consegna della Palma d’oro onoraria allo Studio Ghibli, Hayao Miyazaki e l’airone, il documentario di Kaku Arakawa che racconta la lavorazione del film Il Ragazzo e l’Airone arriverà al cinema il 25, 26, 27 novembre con Lucky Red. Girato durante i sette anni di lavorazione dell’anime, il documentario è un viaggio esclusivo nel processo produttivo e creativo dello Studio Ghibli e un’immersione nella storica collaborazione di Miyazaki con il produttore Toshio Suzuki. Una sorta di danza tra inganni e amicizia, che rispecchia quella di Mahito e l’airone, con Suzuki che stimola Miyazaki a spingersi sempre più in là nella sua creatività, arrivando alla realizzazione di un capolavoro senza precedenti.

Il suo ultimo anime, Il Ragazzo e l’Airone, vincitore dell’Oscar 2024 al Miglior film animato lo conosciamo bene. Una riflessione universale sul crescere, il vivere, nell’alba e nel tramonto del proprio tempo, nella gioia dell’amore e delle piccole cose. Un romanzo di formazione spirituale e introspettivo – quello di Miyazaki – che è anche elaborazione di un lutto straziante e accettazione del cambiamento reso nelle corde di un kolossal animato avventuroso, malinconico, poetico e giocoso che trascina lo spettatore in un mondo magico complesso, frastagliato e coloratissimo, ma destinato al collasso. Un mondo prossimo a svanire, e a essere dimenticato con il passare del tempo, perché impossibilitato a trovarvi un successore.

Eppure essenziale per gli equilibri del nostro mondo – un mondo terreno, corrotto, pieno di violenza e ingiustizie – tenuto in piedi un giorno alla volta dalla costruzione di mattoncini dell’etereo Prozio. E quindi l’arte, la creatività, il cinema e l’immaginazione. Il tempo sta finendo per Miyazaki. In fondo vuole essere un’opera testamentaria Il Ragazzo e l’Airone nel suo perfetto equilibrio narrativo tra realtà e sogno (ma anche incubo, nda), dichiaratamente dedicata al nipote: «Il nonno se ne andrà presto nell’aldilà, ma si lascia alle spalle questo film» recitano le sue parole. Per certi versi, quindi, ci appare necessaria e doverosa un’opera come Hayao Miyazaki e l’Airone perché testimonianza filmica di un momento storico e da immortalare per la cinematografia nipponica e mondiale. Non unica però.

Si tratta, infatti, di un’ipotetica chiusura di trilogia spirituale del processo creativo del maestro Miyazaki dopo Il Regno dei Sogni e della Follia di Mami Sunada, del 2013 – dedicato alla realizzazione simultanea da parte dello Studio Ghibli di Si alza il vento e La Storia della Principessa Splendente di Isao Takahata – e Never-Ending Man: Hayao Miyazaki sempre di Arakawa, del 2016 – sui giorni successivi all’annuncio del ritiro dalle scene nel 2013 – interrotto proprio per la realizzazione de Il Ragazzo e l’Airone, di cui Hayao Miyazaki e l’Airone mostra ogni step produttivo della lunghissima gestione tra la cura degli storyboard, la scelta dei doppiatori e della traccia principale della colonna sonora, fino all’approdo dell’anime nelle sale nipponiche e il trionfo agli Oscar.

Ma c’è di più di questo, in verità, tra le maglie narrative di Hayao Miyazaki e l’Airone. Ci sono la spiritualità di Miyazaki e i suoi rituali metodologici, i contrasti dialogici di amore-odio con Suzuki – e con loro le perplessità dell’Autore circa lo stile animato moderno Evangelion fornito da Takeshi Honda ed Eiji Yamamori alla resa finale per immagini de Il Ragazzo e l’Airone -, il rapporto di fiducia verso il regista Hiromasa Yonebayashi (Arrietty) di nuovo al lavoro alle animazioni di un anime di Miyazaki dopo Principessa Mononoke, ma soprattutto le ragioni del processo creativo e la vita privata di Miyazaki tra caramelle date ai bambini, passeggiate solitarie, memorie di giorni passati, e riflessioni a tutto campo sull’uomo e il suo rapporto con l’arte, e il cinema, la natura e la caducità della vita.

Perché il regalo che Hayao Miyazaki e l’Airone fa a tutti gli appassionati di cinema – e degli anime dello Studio Ghibli in particolare – è offrire una chiave di lettura autentica, vera e limpida di un’opera complessa e solo apparentemente indecifrabile (o quasi) come Il Ragazzo e l’Airone. E la cosa più bella è che a fornircela è lo stesso Miyazaki in una delle sue riflessioni a occhi limpidi e cuore puro di cui tutto il meraviglioso documentario è percorso. L’opera è si, personalissima e testamentaria, ma non nell’accezione di un passaggio di consegna: è l’elaborazione di un lutto tragico. Quello di Isao Takahata – soprannominato Paku-san (lett: colui che corre a lavoro con il toast in bocca) dall’autore – a cui Miyazaki era legato da un’intesa profondissima, fraterna, competitiva e affettuosa.

Un legame che lo ha spinto negli anni a migliorarsi, crescere come autore e compiere quello che Miyazaki definisce nel documentario: scoperchiare il cervello. Aprirsi completamente all’arte, immergersi nella storia e nella sua realizzazione, metterci dentro tutto – sogni, desideri, ma anche fantasie proibite e incubi neri come la pece – a costo di non riuscire più a riemergere da quei abissi creativi. Da qui il prezioso twist al centro di Hayao Miyazaki e l’Airone. Perché la ragione dietro all’interruzione del ritiro del maestro nipponico sta proprio nella morte di Takahata. Un dolore che gli è cresciuto dentro talmente da decidere di affrontarlo proprio con Il Ragazzo e l’Airone immaginando Mahito come proprio alter-ego, Takahata come Prozio e Suzuki come l’airone cenerino. In quelle dinamiche c’è tutta la vita e il senso del cinema di Hayao Miyazaki. Il resto dovete scoprirlo voi…
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