ROMA – Uno spaccato schietto e rivelatore della vita privata e della carriera pubblica di Richard Harris, uno degli attori più straordinari della sua generazione se non perfino il più straordinario interprete che l’Irlanda abbia mai prodotto. The Ghost of Richard Harris di Adrian Sibley esplora il carattere complesso e contraddittorio di Harris dall’immagine infernale (hellraiser il suo soprannome), famoso per il suo stile di vita sregolato dentro e fuori lo schermo. Capace di portare una presenza intensa ed elettrica sia sul palcoscenico che sullo schermo, la carriera di Harris ha attraversato cinque decenni e molti generi diversi. Nel 1964 recitò in Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni, Leone d’Oro al Festival di Venezia, miglior attore a Cannes nello stesso anno.
È stato nominato agli Oscar due volte Richard Harris: per Io sono un campione di Lindsay Anderson nel 1963 e di nuovo per Il campo di Jim Sheridan nel 1990, ma senza mai vincerlo. Nel mezzo performance straordinarie tra Gli eroi di Telemark, Sierra Charriba, La Bibbia, Uomo bianco va’ col tuo Dio, Robin e Marian, Cassandra Crossing, l’intramontabile I 4 dell’Oca Selvaggia. E poi ancora I cannoni di Navarone, Gli ammutinati del Bounty, Giochi di potere, Gli spietati e Il gladiatore. Un opus filmico da leggenda il suo, ritrovandosi a lavorare con titani della regia come Lewis Milestone e Carol Reed, Anthony Mann, George Roy Hill, Sam Peckinpah, John Huston, Samuel Fuller, Clint Eastwood e Ridley Scott, giusto per citarne alcuni.
Infine Harry Potter con il dittico La pietra filosofale/La camera dei segreti, suo il volto e il corpo del primo Albus Silente prima della scomparsa il 25 ottobre 2002 all’età di 72 anni: complicazioni da linfoma di Hodgkin, così recitava il referto. Il ruolo di Silente passò poi nelle sapienti mani di Michael Gambon dopo che per mesi si chiacchierò di Peter O’Toole (Lawrence d’Arabia) che di Harris è stato l’amico fraterno. Ecco, The Ghost of Richard Harris parte proprio da qui, dal sapiente lavoro di ricostruzione di Sibley fatto di nastri inediti delle interviste al giornalista irlandese Joe Jackson, dai contributi di Vanessa Redgrave, Jim Sheridan e Russell Crowe e dalle testimonianze appassionate dei suoi tre figli Damian, Jamie e soprattutto Jared, interprete sopraffino che più di tutti si avvicina alla grandezza artistica del padre Richard.
Il fantasma del titolo scelto da Sibley – The Ghost of Richard Harris – è questo individuo complesso che è stato attore, poeta e perfino musicista (nel 1973 vinse un Grammy Award per Jonathan Livingston Seagull, un album parlato) che torna a infestare le persone e i luoghi che gli erano cari con la sua aura magnetica capace di sopravvivere alle memorie del tempo. Su diretta ammissione di Sibley infatti: «Non volevo fare un film biografico prevedibile su Richard Harris perché era tutt’altro che prevedibile. Quello che mi interessava era cercare di capire chi fosse veramente attraverso le sue stesse parole oltre che attraverso gli occhi dei suoi figli».
A detta di Sibley infatti: «Jared Harris era particolarmente desideroso di mostrare che c’era molto di più in lui dell’immagine infernale che aveva creato. Così, con i suoi fratelli, abbiamo intrapreso un viaggio vent’anni dopo la morte del padre. È una storia su come Dickie Harris di Limerick è diventato Richard Harris ed è una storia di padre e figli. Spero che il film dimostri che Richard è ancora attuale oggi, un uomo affascinante che ha avuto molto da dire su quello che definisce un viaggio turbolento di grandi alti e bassi». In altri termini? Una gemma filmica imperdibile per tutti gli appassionati di cinema e delle sue affascinanti storie.
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Qui sotto potete vedere il trailer del documentario:
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