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Lawrence d’Arabia | Un film? No, un miracolo. Firmato David Lean

Peter O’Toole e Omar Sharif, il legame con Sentieri selvaggi, l’amore di Steven Spielberg

Lawrence D'Arabia, la storia dietro il film
Lawrence D'Arabia, la storia dietro il film

MILANO – Archeologo, ufficiale dei servizi segreti di Sua Maestà, scrittore. Thomas Edward Lawrence è stato tra i più grandi uomini che la storia ricordi e il suo contributo nella cosiddetta rivolta araba al tempo della Grande Guerra permise di dare stabilità, ordine e coesione a una terra caotica dalle genti ancora più imprevedibili. Gesta leggendarie dall’inevitabile e irresistibile appeal cinematografico. Non stupisce quindi come all’apice della sua creatività il cinema moderno americano avesse partorito un’opera come Lawrence d’Arabia di David Lean. Il suo capolavoro, vincitore di 7 Oscar nel 1963 tra cui Miglior film e Miglior regia. In definitiva, l’apogeo filmico del genere kolossal.

Peter O'Toole in una scena di Lawrence d'Arabia
Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

In realtà ci provarono in tanti a realizzare un biopic sulla gesta di Lawrence. Già negli anni Quaranta Alexander Korda s’interessò ad un adattamento della memorie di Lawrence: I sette pilastri della saggezza, con Laurence Olivier come protagonista, poi naufragato. Dieci anni dopo, precisamente nel 1952, le strade di Lean e Lawrence d’Arabia s’incrociarono per la prima volta. L’opera però avrebbe avuto connotati ben diversi rispetto al kolossal capolavoro del 1962. Una produzione Rank Organization (Breve incontro, Grandi speranze). Anche qui però, progetto mai realizzato per difficoltà finanziarie. Circa cinque anni dopo, all’indomani del successo de Il ponte sul fiume Kwai, s’iniziò a fare sul serio. Sam Spiegel riuscì a convincere un riluttante Arnold Walter Lawrence (il fratello di Thomas) a cedere i diritti di utilizzazione economica della sopracitata opera letteraria.

Peter O’Toole e Alec Guinness in una scena di Lawrence d’Arabia

Era tutto pronto. C’erano Lean, la sua impareggiabile visione e una Columbia decisa a investire. Poco prima dell’inizio della pre-produzione però sorse un incredibile inconveniente di puro tempismo. Nello stesso periodo Terrence Rattigan iniziò a lavorare su Ross, pièce che raccontava l’omosessualità di Lawrence al tempo della Royal Air Force. L’opera, che aprirà i battenti a Broadway e vedrà proprio il futuro Principe Faysal Alec Guinness come Lawrence, rallentò i piani della Columbia. Spiegel ribollì di rabbia. Mise il progetto in stand-by finché Ross non fosse andato ad esaurirsi dai palinsesti teatrali, cosa che effettivamente accadde l’anno successivo: Lawrence d’Arabia ebbe finalmente semaforo verde. A nulla poté una quasi moribonda Rank Organization nel mettere in cantiere una versione cinematografica di Ross con Dirk Bogarde a prestare il volto a Lawrence: il progetto ebbe finalmente inizio.

Una scena di Lawrence d’Arabia

Nonostante l’eco cinematografico sessantennale (Lawrence d’Arabia fu presentato il 10 dicembre 1962 a Londra) molti biografi si lamentarono della caratterizzazione del condottiero britannico. Il problema principale era di tipo fisico: Lawrence era alto 1,65 metri/O’Toole 1,88 metri. Oltre a questo, lo script di Lean descriveva Lawrence come un egoista ambiguo, specie nel modo in cui si ritrova a prender parte agli eventi. Una scelta narrativa che in realtà fece letteralmente impazzire Martin Scorsese che negli anni ne elogiò la dimensione auto-distruttiva da b-movie. A detta di Lowell Thomas e del suo reportage With Lawrence in Arabia del 1924, non è chiaro fino a che punto il vero Lawrence volesse o meno prender parte all’impresa. Il quadro che ne emerge è quello di un uomo che se i primi tempi non voleva nemmeno essere fotografato, con le luci della ribalta finì con il posare egli stesso, con convinzione.

Peter O'Toole in una scena di Lawrence d'Arabia
Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

Stesso discorso a proposito dell’orientamento sessuale. In Lawrence d’Arabia non viene mai menzionata la sua dichiarata omosessualità. Per alcuni storici non era null’altro che un bugiardo patologico ed esibizionista, per altri un recluso nello spirito e nel corpo (cosa di cui, in realtà, Lean fa menzione nella sequenza del funerale in apertura di racconto). Ulteriore criticità è relativa al background narrativo dell’agente scenico principe. Nella costruzione caratteriale alle radici del conflitto ci viene mostrato un Lawrence cartografo di biblioteca ritenuto la pecora nera degli Uffici arabi. Nonostante questo però, parla fluentemente la lingua del popolo ed è super-competente. In realtà Lawrence fu grande ancor prima che la vita lo rese d’Arabia. Lungo tutta la decade infatti diede un contributo importante alla Rivolta araba tra viaggi archeologici e del prezioso lavoro di spionaggio. Una rilettura chiaramente funzionale al potenziamento della base di partenza del viaggio dell’eroe che andrà a dispiegarsi.

Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

Eppure oggi come oggi sarebbe (quasi) impensabile immaginare un qualsiasi altro volto cinematografico come Lawrence. Peter O’Toole gli diede un’umanità mutevole cristallizzatasi nella memoria comune. Quella di O’Toole e Lawrence, a dispetto delle opinioni di alcuni storici, si rivelò un’autentica mimesi spirituale. Certo non amava il deserto e la sabbia quanto il mitico condottiero, e per le scene a dorso di cammello utilizzava un cuscinetto che gli valse, tra i beduini, il soprannome di Padre delle spugne, ma la storia diede ragione a Lean. Pensate che nella sequenza dell’assalto ad Aqaba, O’Toole stava rischiando di morire calpestato dai cavalli delle comparse perché disarcionato dal cammello. Soltanto per un miracolo rimase aggrappato all’animale. Incidente che capitò con la stessa inerzia a Lawrence nella battaglia di Abu El Lissal nel 1917.

Peter O'Toole, Omar Sharif e Anthony Quinn in una scena di Lawrence d'Arabia
Peter O’Toole, Omar Sharif e Anthony Quinn in una scena di Lawrence d’Arabia

Nonostante tutto, è per puro caso che O’Toole è diventato Lawrence. Nella rosa dei candidati eccellenti di Spiegel figurano Marlon Brando, Anthony Perkins, Montgomery Clift. All’ultimo la spuntò contro ogni pronostico un ancora sconosciuto Albert Finney. Fu con Finney che Lawrence d’Arabia crebbe nella pre-produzione, salvo poi essere licenziato in tronco dopo due giorni di riprese (per ragioni tutt’ora poco chiare). A Spiegel piaceva pochissimo, così come Clift che dopo averlo visto in un adattamento teatrale di Improvvisamente l’estate scorsa lo ritenne inadatto. O’Toole però aveva dalla sua una somiglianza cromatica con Lawrence e il favore di Lean. Lo stesso non può dirsi per Omar Sharif che in origine non sarebbe dovuto essere lo sceriffo Ali ma la guida Tafas. Lean scelse Alain Delon come co-protagonista ma il fallimentare screen test con le lenti a contatto marroni lo tagliò fuori dal progetto.

Peter O'Toole in una scena di Lawrence d'Arabia
Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

Quando Quarto potere arrivò al cinema, Orson Welles raccontò come la principale ispirazione registica del suo esordio filmico fosse Ombre rosse di John Ford, a suo dire il perfetto manuale di regia cinematografica. Si dice che Welles lo guardò più di quaranta volte in preparazione alle riprese. Circa vent’anni dopo evidentemente le parole di Welles fecero eco perché la dichiarata ispirazione registica eccellente di Lean dietro a Lawrence d’Arabia è riconducibile ad un altro grande capolavoro fordiano: Sentieri selvaggi. Ed effettivamente c’è molto di fordiano nel racconto di Lawrence d’Arabia. Narrazione con cui Lean trasla la valenza filmica e il respiro scenico delle Monument Valley nella Valle della Luna (Wadi Rum) ricalibrandone l’essenza in un viaggio dell’eroe che è esplicitazione degli archi di trasformazione in una dimensione a più ampio raggio.

Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

Un kolossal colossale dal respiro registico imponente e dal minutaggio proibitivo dove tutto sa di grandezza: la cura scenografica della costruzione d’immagine pittoresca, la colonna sonora di Maurice Jarre (poi citata in 007 – La spia che mi amava), i colori sgargianti e pastosi che brillano come in un dipinto, perfino la digressione temporale su cui cresce il racconto vive di tangibile corposità. Ma soprattutto di ambiziose intenzioni registiche. Perché quel match-cut dallo stacco di montaggio netto e asciutto in cui Lean fa coincidere il soffio di Lawrence su di un fiammifero con il campo lungo di un alba in pieno deserto, è quanto di più puro e più poeticamente vicino a un sogno in formato filmico.

L'alba nel deserto di Lawrence d'Arabia
L’alba nel deserto di Lawrence d’Arabia

La grandezza visiva di Lawrence d’Arabia va in realtà in antitesi con l’approccio alla crescita caratteriale scelto da Lean. Semplicità e cura del dettaglio in una crescita popolata di minimi particolari che vanno dai dettagli del vestiario (nell’abbandono dell’uniforme inglese per vestirsi della tunica araba Lawrence muta la sua percezione del contesto scenico) sino alla cura narrativa degli oggetti. Elemento quest’ultimo a cui Steven Spielberg dà una spiegazione più che esaustiva: «C’è una scena in cui si guarda riflesso nel pugnale, quando gli vengono dati gli abiti e pensa d’essere da solo. Si gira ridendo, guardando la sua ombra e vede che le sottili vesti che indossava erano impresse nell’ombra sulla sabbia. Poi, dopo, quando fanno strada i Turchi in ritirata, lo si vede di nuovo ricoperto di sangue che tiene il pugnale esattamente come lo teneva nei suoi giorni di gloria e si guarda riflesso, guarda chi è diventato».

Peter O'Toole in una scena di Lawrence d'Arabia
Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

Una sfumatura di racconto che per Spielberg ha rappresentato il colpo di fulmine e l’inizio della sua lunga storia d’amore con il cinema: «Quella fu la prima volta che, guardando un film, capii che esistono altre tematiche oltre a quelle narrative: esistono delle tematiche che sono i personaggi stessi. David Lean aveva creato una ritrattistica. Aveva trasformato un ritratto in una morale con uno scopo e una trama assurda, ma è proprio nel cuore di Lawrence d’Arabia che io rivedo me stesso». Ironicamente – e nemmeno poi tanto – sembra che il capolavoro di Lean abbia inciso ex-post sulle scelte di casting di uno dei grandi (se non il più grande) film di Spielberg: Schindler’s List (che potete leggere qui). Grazie al sequel televisivo A Dangerous Man: Lawrence After Arabia del 1992 infatti Spielberg scoprì il talento di Ralph Fiennes che contattò immediatamente per offrirgli la parte del SS Amon Goeth.

Peter O'Toole in una scena di Lawrence d'Arabia
Peter O’Toole in una scena di Lawrence d’Arabia

Se noi cinefili possiamo avere una passione per Lawrence d’Arabia, quello di Spielberg è amore trascendente, lo stesso che provava Welles per Ombre rosse e Lean per Sentieri selvaggi: «Un miracolo di film. Prima di cominciare delle riprese riguardo sempre Lawrence d’Arabia». Lo scoprì da adolescente e fu una folgorazione, di quelle capaci di leggerti dentro e riscoprirti uomo sino a segnare il tuo cammino. Lui come tanti altri. Una delle più incredibili pagine della storia del cinema. Un vero miracolo.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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