ROMA – «Amicizia, intimità, paura, mascolinità». Quando Lukas Dhont è tornato nella sua vecchia scuola elementare ha scritto queste quattro parole su un foglio di carta bianco. Paole diventate dei punti da collegare tra di loro su un’immaginaria mappa dalla quale far affiorare i temi cardine di Close, il suo secondo lungometraggio premiato con il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes ed inserito nella shortlist dei migliori film stranieri per le nomination agli Oscar. Dopo il suo splendido esordio nel 2018 con Girl, Dhont ritorna a raccontare quella fase complessa della vita che è l’adolescenza. Questa volta sceglie di farlo attraverso un potente coming of age con protagonisti due tredicenni amici fraterni.
Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustave De Waele) vivono in simbiosi. Mangiano, studiano, giocano e dormono insieme. Sono uno il migliore amico dell’altro e l’idea di iniziare le scuole medie nella stessa classe e, per di più, allo stesso banco li emoziona. Ma quell’incanto fatto di intimità e tenerezza, complicità e confidenza svanisce poco a poco. La colpa è nello sguardo altrui. In chi, tra i loro stessi compagni di classe, insinua che tra quei due ragazzini cresciuti insieme ci sia dell’altro oltre alla semplice amicizia. Se Rémi non da alcun peso a quelle parole, alle prese in giro e agli sguardi, per Léo è diverso. Decide così di non fermarsi a dormire a casa dell’amico, di non aspettarlo, come al solito, per tornare a casa, di segnarsi a hockey sul ghiaccio nel tentativo di (di)mostrare una virilità che non possa dare adito a dubbi. Il loro legame verrà messo in discussione cambiando per sempre il corso delle loro vite.
Se Girl era un film sull’identità e sulla difficoltà di essere sé stessi in una mondo schematizzato da norme sociali ed etichette, Close mostra il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e come tutti quei cambiamenti interiori e pressioni esterne finiscano per influenzarci. Il rapporto di amicizia innocente e sincera tra Léo e Rémi, ritratto meravigliosamente da Lukas Dhont, filtrato dal nostro sguardo ha già al suo interno una sessualizzazione che più avanti sarà poi sottolineata anche dai loro compagni di classe. È qui che il regista vuole portarci per farci riflettere su come il genere maschile sia “costretto”, arrivato ad una certa età, ad abbandonare quella sua tenerezza condivisa per dare sfogo ad una mascolinità esibita dove chi mostra quel lato viene immediatamente bollato, emarginato, bullizzato.
Dal punto di vista narrativo e registico è impressionante come Dhont abbia il controllo assoluto sulla parola e sui movimenti di macchina. Close è un film come se ne vedono raramente. E sapere che si tratta di una seconda opera rende il film ancora più magnifico perché è palese che ci troviamo davanti ad uno dei grandi talenti del cinema europeo presente e futuro. Impressionanti le interpretazioni di Eden Dambrine (scovato dal regista su un treno!) e Gustave De Waele che regalano a Léo e Rémi tutta la spontaneità e naturalezza di una reale coppia di amici. L’uso meticoloso dei colori – su tutti bianco e rosso – e la fotografia lucente e poi pallida di Frank van den Eeden capace di seguire gli umori del film fanno di Close anche un trionfo di immagini.
Il regista ha confessato che la sua prima grande passione non è stata il cinema, bensì la danza. Il suo sogno era quello di diventare un ballerino. Crediamo che in qualche modo sia riuscito a realizzare il suo desiderio perché la sua regia segue un movimento coreografico morbido e sinuoso. Un film fatto di corse a perdifiato nei campi di fiori coltivati dai genitori di Léo che si fanno metafora del rapporto tra i due ragazzi e del suo stato d’animo. Un tripudio di colori e vivacità prima e un campo fangoso senza più fiori dopo. Close è un film straordinario che vibra di una sensibilità rara come il talento di Dhont.
- VIDEO | La video intervista a Lukas Dhont è di Manuela Santacatterina:
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