ROMA – La ricerca di vendetta di un uomo desideroso solo di tranquillità, la ferocia della guerra che uccide indistintamente senza far sconti. Due elementi narrativi che da sempre vengono sfruttati al cinema e che in Il patriota di Roland Emmerich assumono un valore emblematico. Ambientato durante la Guerra d’Indipendenza Americana, il film, nonostante qualche rielaborazione non sempre corretta, fa riferimento a dei fatti storici ben precisi. E condensa nel protagonista, interpretato da Mel Gibson – non nuovo ai ruoli patriottici dopo il successo mondiale di Braveheart – una serie di personaggi realmente esistiti. Ma di cosa parla Il patriota? 1776, Carolina del Sud. Benjamin Bratt, eroe nella guerra franco-indiana, che nel 1763 portò le colonie sotto l’esclusivo controllo inglese, si è ritirato a vita privata in una fattoria con i suoi sette figli. L’idea di tornare a combattere contro l’esercito di Sua Maestà per ottenere l’indipendenza non lo affascina, ma quando il primogenito Gabriel (Heath Ledger) decide di indossare l’uniforme non può fare a meno di sentirsi coinvolto.
Inizia così una feroce sfida a distanza con il colonnello Tavington che prima cattura Gabriel e poi uccide il fratello Thomas, andato a salvarlo, ordinando oltretutto la distruzione della fattoria di Bratt. Messo alle strette l’uomo accetta quindi di intraprendere quella che considera una guerra personale, diventando una spina nel fianco degli invasori. Nonostante questo, Bratt piange anche la morte di Gabriel, per mano del generale Cornwallis (Tom Wilkinson). Nella sfida finale, ispirata alla Battaglia di Cowpens, gli inglesi vengono definitivamente sconfitti dal cosiddetto esercito continentale, quello, cioè formato dalle tredici colonie britanniche del Nord America che pretendevano l’Indipendenza dalla madrepatria. Dunque, in una sorta di mappa ideale del film, il patriota Benjamin Bratt è una fusione di alcuni veri combattenti del conflitto contro gli inglesi. In particolare, Francis Marion, tenente colonnello nell’esercito di George Washington e generale di brigata nella Carolina del Sud.
Il colonnello Marion, soprannominato la volpe della palude per la sua tendenza a nascondersi in luoghi acquitrinosi, sperimentò tra i primi la tattica della guerriglia, con appostamenti e operazioni di disturbo nei confronti del nemico. Alcuni ne magnificarono le doti filantropiche, per la clemenza che mostrava ai suoi prigionieri. Altri, come il famoso storico inglese Christopher Hibbert, sostenevano che Marion fosse in realtà un crudele torturatore di Cherokee e che non esitava ad abusare delle sue schiave. Proprio per questa ambiguità i produttori decisero di non girare un biopic su di lui, ma su un generico personaggio che ne potesse ricordare in qualche modo le gesta. Dietro la figura di Tavington, invece, si cela quella di Banastre Tarleton e dei suoi dragoni verdi, un corpo speciale dell’esercito composto principalmente da americani fedeli alla Gran Bretagna.
La rappresentazione che ne dà Emmerich è quella di un uomo spietato, un’immagine conforme a quella descritta negli opuscoli propagandistici in cui Tarleton veniva appellato come macellaio sanguinario. Anche se i documenti storici non sono così chiari al riguardo, si dice che per descrivere le sue azioni particolarmente cruente venne coniato un termine apposito, Tarleton’s Quarter, senza quartiere alla maniera di Tarleton, poiché il militare era solito uccidere tutti i prigionieri che si arrendevano. In Il patriota – che trovate oggi su TimVision e Prime Video e che a venticinque anni di distanza è un film da riscoprire – muore al termine della battaglia di Cowpens, ma nella realtà fu fatto prigioniero e poi liberato sulla parola. Tornò in Inghilterra dove iniziò la carriera politica. Scrisse anche un libro sulla sua esperienza americana criticando duramente l’operato di Cornwallis.
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