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Luca Bigazzi: «Il cinema italiano? È moderno e politico. Nonostante tutto…»

L’importanza della sala, i ritmi delle serie e il digitale: il direttore della fotografia si racconta a Hot Corn

Luca Bigazzi
Luca Bigazzi

MILANO – «Come sto trascorrendo questi giorni? Senza sala cinematografica faccio un po’ fatica a guardare film sull’iPad. Non ho la televisione e non la voglio avere. Mi fa un po’ impressione vedere film da solo. Aspetterò che riaprano le sale, il che vorrà dire tra parecchio». Abbiamo raggiunto telefonicamente Luca Bigazzi, celebre direttore della fotografia la cui carriera, iniziata quasi per caso insieme all’ex compagno di scuola Silvio Soldini, è legata a doppio filo ad alcuni dei più grandi nomi del nostro cinema. Da Paolo Sorrentino a Mario Martone, da Andrea Segre a Francesca Comencini. Ci ha parlato dell’importanza della sala, dei ritmi infernali delle serie tv, della democraticità del digitale e ha anche dato un consiglio ai critici cinematografici…

SALA VS STRAMING «Ci troviamo in un momento spaventoso e capisco anche chi decide di uscire in streaming. Personalmente, anche per la mia affezione alla sala cinematografica, non riesco a concepire in cinema in nessun’altra maniera se non in una sala. Credo sia molto importante, per capire un film, la compagnia di gente che non si conosce. C’è una sensazione di empatia che si crea con lo spettatore sconosciuto. Sento moltissimo la mancanza del cinema ma non penso che un surrogato come lo streaming possa farmela passare. Per quando riguarda, invece, le serie televisive più o meno vale lo stesso discorso. Sono convinto che alcune serie andrebbero viste in sala. Il cinema mi manca e penso che mancherà tanto a tutti e che quando avremo la possibilità di tornare tutti in sala, i cinema saranno pieni. Sono fiducioso, torneranno a riempirsi, forse in maniera diversa, magari con più sale, più accoglienti, più piccole. È come il bagno al mare. Il fatto che ora non possiamo farlo, non ce lo farà dimenticare, ce lo farà apprezzare ancora di più».

Luca Bigazzi e Paolo Sorrentino sul set di Youth
Luca Bigazzi e Paolo Sorrentino sul set di Youth

LA COMUNICAZIONE «La componente umana? È fondamentale. Quella con il regista, certo, ma anche quella con la troupe e gli attori. È lo stesso motivo per cui la sala è fondamentale. Quando siamo sul set instauriamo un rapporto che va al di là della comunicazione verbale che è lenta e approssimativa. Non si farebbe in tempo a fare un film dovendosi raccontare tutto quello che è necessario fare l’uno per l’altro. Gran parte del nostro lavoro si svolge con un non detto di comprensione che va oltre le parole, e quindi di empatia. La stessa che ritroviamo nella visione di un film in una sala cinematografica. Il nostro è un lavoro collettivo, non di singoli artisti. Proprio questa comunicazione non verbale è il segreto del nostro lavoro».

Sul set di The New Pope
Luca Bigazzi sul set di The New Pope

SERIE TV «Il problema per me è legato alla destinazione, per me molto importante, che è la sala e non la televisione e le serie tv impongono dei ritmi e dei tempi di realizzazione che sono difficilmente sopportabili per l’essere umano. Un film si può realizzare tra le cinque e le dieci settimane, una serie varia tra le quindici e le venticinque. Per come io concepisco in maniera totalitaria e all’assoluta l’impegno nel nostro lavoro, venticinque settimane sono un tempo difficilmente sopportabile per un essere umano che intende il lavoro con questo impegno, concentrazione, intensità. Non credo si possano fare due o tre serie televisive all’anno, pena la morte! (ride, ndr)».

Luca Bigazzi
Jude Law e il papa di Sorrentino

IL DIVO «I ricordi a cui sono più legato? Non riesco a rispondere perché non c’è niente che mi appassioni più o meno rispetto a ciò che faccio. Probabilmente sono il primo e l’ultimo film fatto i più appassionanti, ma questo li comprende tutti. Se devo pensare ad un film a cui sono molto affezionato, facendo però un’ingiustizia a tutti gli altri, direi Il Divo. Un film molto importante e molto preciso sulla nostra storia politica, sul nostro Paese. Sono molto più appassionato ai film fatti a basso budget come questo che nessuno voleva produrre perché era un film scomodo».

Luca Bigazzi e Il Divo
Luca Bigazzi sul set de Il Divo

PELLICOLA VS DIGITALE «Non tornerei mai alla pellicola. La qualità del digitale è oggettivamente migliore, dall’elasticità alla semplicità d’uso, dal realismo alla possibilità anche di non essere realistici. Il digitale offre un ventaglio di possibilità sconfinato rispetto al passato. Questo mi rende un fanatico dell’immagine digitale. Un conto poi era proiettare in pellicola film realizzati in pellicola, ma siccome per quindici anni abbiamo fatto film in pellicola proiettati in digitale quella magia del passaggio della luce attraverso la pellicola era già persa da tempo. Oggi è realmente ridicolo girare in pellicola ma, sopratutto, siccome il digitale ha un modo di catturare le immagini nuovo, inesplorato e pieno di risorse credo che dobbiamo concentrarci sull’originalità di questo mezzo e trovare anche una forma visiva completamente diversa.

Luca Bigazzi, La Grande Bellezza
Toni Servillo sul set de La Grande Bellezza

CINEMA DEMOCRATICO «Il digitale fa piazza pulita di tutte le conoscenze precedenti, di tutti gli accademismi e l’elitarietà del passato. Penso sia estremamente importante che i giovani se ne approprino e facciano film con una nuova estetica che trasformi l’immaginario di tutti. La luce che mettevamo nel passato per impressionare la pellicola è totalmente inutile e non naturale applicata al digitale. Se ci liberiamo delle conoscenze del passato probabilmente otterremo un’immagine nuova, adatta ai tempi, realistica, contemporanea e immaginaria. Spetta ai giovani appropriarsi di questo linguaggio per creare qualcosa senza copiare stilemi del passato ormai invecchiati».

Luca Bigazzi alla macchina da presa
Luca Bigazzi alla macchina da presa

OPERE PRIME «I film d’esordio che mi hanno più colpito? Sono tantissimi. Il cinema italiano è in grandissima forma. Secondo me ci sono molti film che interpretano e raccontano la realtà con risultati visivamente eccellenti, a volte più o meno sorprendenti. L’ultimo che ho visto, meraviglioso come racconto, è Bangla, ma ce ne sono una miriade. L’Italia è un Paese che non si vuole bene e quindi è sempre portata a parlare male di sé. Il cinema italiano non viene mai sufficientemente apprezzato, stimato. Sopratutto dalla critica con un atteggiamento di esterofilia insopportabile. Penso che i critici cinematografici dovrebbero, invece, riflettere su come il cinema italiano sia moderno, attuale, politico e anche di avanguardia nonostante le difficoltà produttive. Vorrei includere anche i critici tra gli appassionati di cinema, cosa che spesso non succede dato che si legge un’aperta ostilità verso il cinema invece che una passione. Gli consiglierei di essere un po’ più benevoli e curiosi verso il cinema italiano».

Una piccola sorpresa: Bangla
Una piccola sorpresa: Bangla

SPETTATORE «Se vedo un film che mi piace non sono minimamente interessato all’aspetto fotografico. Mi può piacere un film girato con indifferenza rispetto ai problemi formali ed estetici ma profondo nel significato, così come mi può anche piacere un film di non particolare interesse – magari solo per me – del racconto ma girato in maniera egregia. Quando vado al cinema sono uno spettatore e non un direttore della fotografia. Sono piuttosto disinteressato rispetto agli aspetti formali. Mi interessa il contenuto, tanto più se ha a che fare con un cinema che parla della società, dei problemi, anche politici, del mondo. Non mi interessa un cinema formale, estetizzante. Mi interessa un cinema che aiuta a capire la realtà e aiuti a trasformarla. Penso che il cinema abbia una motivazione o un interesse politico di trasformazione della realtà perché ci aiuta a capire le cose che i nostri occhi a volte non vedono o non vogliono vedere».

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