ROMA – Il successo planetario, la morte di Heath Ledger e la rivoluzione del cinecomic per come oggi lo conosciamo. Presentato a New York il 14 luglio 2008, a quindici anni di distanza Il Cavaliere Oscuro (The Dark Knight) continua a stupire per l’impressionante intensità delle immagini raccontate da un maestro dell’intrattenimento d’autore come Christopher Nolan. Uno che, da Memento a Oppenheimer passando per Inception e Interstellar, ad ogni film ha saputo alzare sensibilmente l’asticella della solidità narrativa attraverso trovate cerebrali innovative, spiazzanti, perlopiù divisorie. Il capitolo di mezzo dell’omonima trilogia, che comprendente Batman Begins del 2005 e Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno del 2012, unì tutti: critica, pubblico, appassionati (e non) di cinecomic. Oltre un miliardo di dollari di incasso nel mondo, autentico campione del box-office!
Il motivo? L’approccio filmico scelto da Nolan. Inedito per il genere – e per il Batman cinematografico in particolare sviluppatosi nei decenni tra il fumettoso/gotico di Tim Burton e il kitsch di Joel Schumacher – che nello spostare il focus del racconto dalla paura di Begins al puro e crudo caos di un’escalation di anarchica follia incontrollabile, vive di un respiro maturo dal realismo marcato, o per dirla con le parole dello stesso Nolan: «Con Il Cavaliere Oscuro volevamo raccontare una storia molto ampia. Una storia in una città o la storia di una città. Se vuoi prendere Gotham devi darle peso, un respiro, una profondità: così devi trattare personalità politiche e figure mediatiche, è tutto parte del tessuto che avvolge una città». Far sentire il sapore di Gotham, il marcio delle strade e il vacuo modernismo dei piani alti.
Non a caso, tanto fu impetuoso l’impatto de Il Cavaliere Oscuro nell’industria cinematografica da aver rappresentato la rinascita del genere, quasi a indicarne la via nel successivo DCEU – DC Extended Universe dove Nolan figurò come produttore esecutivo della visione filmica di Zack Snyder propagatasi tra L’uomo d’acciaio, Batman v Superman: Dawn of Justice e il chiacchierato Justice League (di cui potete leggere qui) che visse due volte tra il 2017 e il 2021, ma anche del nuovo corso DC inaugurato dallo scorsesiano Joker vincitore del Leone d’Oro a Venezia76 (di cui potete leggere qui la nostra recensione) poi proseguito da The Batman che tanto devono alla visione di Nolan anche solo nell’aver potuto concepire un simile respiro autoriale. Facciamo un passo indietro però.
Perché, nonostante la Warner Bros avesse sempre avuto fiducia nella visione di Nolan – fu messo sotto contratto nel 2003 all’indomani del successo di Memento e Insomnia – tanto da decidere di accantonare del tutto il tanto vociferato (e fortunatamente mai realizzato) Justice League: Mortal di George Miller alle pendici della pre-produzione, che ci crediate o meno, fosse stato per lui non ci sarebbe mai stato alcun Il Cavaliere Oscuro! Certo, il climax di Batman Begins con il Jolly del Joker lasciava davvero poco spazio all’immaginazione – «Il senso di quella carta? Trasmettere l’errore della convinzione di Batman che la sua guerra al crimine sarebbe stata temporanea» –, ma Nolan non credeva che avrebbe guadagnato abbastanza da giustificarne un sequel: incasserà oltre 370 milioni di dollari in tutto il mondo. Non c’era altro da fare se non andare avanti.
Si trattò del primo sequel in carriera per Nolan e la moglie Emma Thomas. Con loro il co-sceneggiatore David S. Goyer che sviluppò durante la lavorazione di Begins uno schema narrativo per due sequel. Il problema per Nolan era capire come continuare il racconto inaugurato nel 2005 in modo da mantenerlo narrativamente coerente e pertinente. L’unica certezza de Il Cavaliere Oscuro nella mente di Nolan? Joker. Un grandissimo Joker: «Distillato di paura dell’anarchia». Nei successivi tre mesi lavorarono ai punti centrali del racconto: «Esplorare il tema dell’escalation e l’idea che gli sforzi di Batman per combattere i crimini comuni avrebbero portato a un’escalation opposta da parte dei criminali attirando il Joker che usa il terrorismo come arma» in modo, cioè, da giocare di parallelismi politico-tematici nel mondo reale con la guerra al terrore.
Intenti elevati, raffinati, che Nolan e Goyer non vollero mai dichiarare pubblicamente. Volevano che sgorgassero spontaneamente dalle lettura del sottotesto de Il Cavaliere Oscuro in modo da far riflettere il proprio pubblico senza aspettative e/o pregiudizi pre-visione. Qui entrò in scena Goyer che, da grande stimatore del primo Batman burtoniano – quello con uno stratosferico (ma poco spaventoso) Jack Nicholson sugli scudi – volle partire da quella visione per rendere Joker straordinariamente malvagio. Dalla sua infatti immaginò il suo Joker come un personaggio irriconoscibile, simile alla minaccia ittica alla base de Lo Squalo (di cui potete leggere qui): «Nessun cliché, nessuna origin story, nessun effettivo arco narrativo. Solo puro caos. Anarchia totale», privo di qualsiasi background caratteriale alle spalle – a cui gli fece eco Nolan – «Il Cavaliere Oscuro lo si potrebbe ribattezzare: L’ascesa del Joker».
Il risultato? Un Joker – quello portato in scena dal compianto Ledger scomparso tragicamente nel 2008 – che, al pari dell’inerzia narrativa de Il Cavaliere Oscuro in relazione al cinecomic nella sua totalità, ha rappresentato un autentico punto di rottura, o per dirla con le sagge parole dell’interprete di Alfred, Michael Caine: «Jack (Nicholson) era come una figura clownesca, benigna e maligna, forse un vecchio zio assassino. Potrebbe essere (perfino) divertente e farti ridere. Heath (Ledger) è andato in una direzione completamente diversa da Jack: è come uno spaventoso psicopatico. È un ragazzo adorabile Heath e il suo Joker sarà la rivelazione del film». Ci vide benissimo. Quell’Oscar 2009 al Miglior attore non protagonista postumo fu molto più che un omaggio, ma un premio artistico, vero: la celebrazione di un talento immenso dalla devozione totale e tragica al Metodo.
Nel mezzo c’è però il miracolo narrativo targato Nolan e Goyer. Più un dramma poliziesco che non un tradizionale cinecomic, che nel cucire pezzi di puzzle filmici tra inseguimenti supersonici, svolte narrative sorprendenti e perfino un incipit di puro heist dichiaratamente ispirato alla similare sequenza di Heat – La sfida tramite spruzzate di anarchia a continuità ritmica, vede Il Cavaliere Oscuro riflettere sul caos, la corruzione d’animo, il valore della legalità nonché su topos cardine del genere come la caduta dell’eroe (Harvey Dent è l’eroe di cui Gotham merita/Batman quello di cui ha bisogno) e il peso del mantello. Dalla sua però (e qui sta l’innovazione offerta da Nolan) Il Cavaliere Oscuro procede nel declinarli de-mitizzando del tutto la componente supereroistica in favore di un approccio umano reso possibile dalla duplicità caratteriale del suo (anti)eroe protagonista.
Quel Bruce Wayne/Batman reso da un grande Christian Bale come un uomo divorato dal proprio dono, in perenne conflitto interiore-esistenziale tra la straordinaria vita da crociato incappucciato e quella ordinaria da miliardario comune, reso esplicitato e compenetrante da Nolan e dalle inerzie narrative di un Il Cavaliere Oscuro che ne cristallizza il dolore nel concetto di limite («Batman non ha limiti. […] Ma lei si, signore» recita un celebre scambio dialogico). L’uomo Wayne fatto di carne, paure e traumi, conosce limiti che il super Batman non può permettersi di avere. La differenza la fa il peso (e l’accettazione) del mantello. È su questa base che Nolan sguinzaglia il confronto tra Batman e Joker come quintessenza della dicotomia bene/male che vede infine Harvey Dent (un grande Aaron Eckhart) sacrificato come Due Facce in virtù del «O muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo».
In virtù di un simile approccio nichilista, è evidente come – specie per il 2008 di riferimento – Nolan non abbia mai concepito Il Cavaliere Oscuro e il suo contesto narrativo come un universo espanso: «Non penso proprio che il nostro Batman, la nostra Gotham, siano adatti a dei crossover. Mi viene in mente una delle prime cose che abbiamo chiarito quando iniziammo a mettere insieme la storia: è questo un mondo dove esistono i fumetti? I supereroi, qui, esistono già?» – per poi proseguire svelando le reali ragioni dietro all’apparente impossibilità di condivisione del ruolo di eroe – «Se pensate a Batman Begins e alla filosofia di questo personaggio che cerca di reinventarsi come simbolo, la nostra posizione, sebbene non fosse dichiarata nel film, era che i supereroi semplicemente non esistono».
Ma chissà che oggi, in un 2023 dove il cinecomic è sempre più proiettato nel Multiverso di più varianti dello stesso personaggio come nel caso del DCEU e dei due Batman coesistenti tra passato e presente (Michael Keaton e Ben Affleck) di The Flash – e con il sentiero arato da Joker e The Batman – la sofferente Gotham nolaniana priva di eroi (oltre che di supereroi) de Il Cavaliere Oscuro non possa essere aperta a una condivisione industriale oltre che tematica. Sperare forse è troppo ma sognare non costa nulla, e in questo si sa, il magico potere del cinema non ha limiti.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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