ROMA – Lo scorso 5 settembre cadeva un anniversario cinematografico importante. Di quelli che qui a Hot Corn scaldano il cuore. Vent’anni fa, a Venezia 61, Il Castello Errante di Howl di Hayao Miyazaki fu presentato in concorso ufficiale aggiudicandosi il Premio Osella per il migliore contributo tecnico. Lo stesso Miyazaki tornerà poi a Venezia l’anno successivo per essere insignito del prestigioso Leone d’oro alla carriera (l’unico, finora, tra i registi d’animazione a riuscirci nda). Negli Stati Uniti, invece, in questi giorni siamo nel pieno delle celebrazioni del ventennale visto che l’anime di Miyazaki è tornato al cinema come evento speciale dal 26 settembre al 3 ottobre in alcune sale selezionate. Appena in tempo, quindi, per poterlo celebrare come si deve nella nuova puntata di Longform.
Il viaggio de Il Castello Errante di Howl (lo trovate su Netflix), in verità, parte da molto più lontano di quanto non si pensi. Prima che formidabile anime dello Studio Ghibli, infatti, è una premiata opera letteraria del 1986 a firma Diana Wynne Jones. Composto di ventuno capitoli e una nota esplicativa finale – nonché prima parte di una trilogia fantasy comprendente Il castello in aria del 1990 e La casa per Ognidove del 2008 – Il Castello Errante di Howl nacque, come (molto) spesso succede in ambito creativo, per volere del caso. Precisamente da un’idea suggerita alla Jones da uno studente che incontrò durante una sua visita presso una scuola, che le chiese di scrivere un romanzo dal titolo The Moving Castle/Il Castello Errante. Howl arrivò dopo. Jones lo caratterizzò come un potente mago libertino e donnaiolo.
Nulla a che vedere con quanto fatto da Miyazaki che ne ribaltò invece l’inerzia caratteriale dipingendolo come avventuroso, coraggioso ma anche insicuro, fragile e tormentato dagli spiriti dell’oscurità. La principale attrattiva legata all’adattamento per immagini animate de Il Castello Errante di Howl riguardava, però, il castello stesso. La Jones lo raffigurò come una torre alta, sinistra e oscura. Miyazaki come un rotondo collage di camini, tetti, tubi a vapore e altre strane appendici trasportate su zampe di uccello meccanizzate, non dissimile dalla capanna di Baba Yaga della popolare fiaba, ma soprattutto organico e vitale. E fu proprio l’immagine del Castello Errante a spingerlo ad adattare l’opera della Jones. Rimase colpito dall’idea di vederlo muoversi liberamente nella campagna gallese. Ciò che il romanzo non spiega, però, è come mai il Castello Errante è in movimento.
Da qui l’idea del demone brontolone Calcifer come azione motrice, del legame maledetto con Howl, e degli arti posteriori. Partì proprio da queste intuizioni l’adattamento dello Studio Ghibli. Precisamente da un comunicato nel settembre 2001 che annunciò la realizzazione di due anime. Uno sarebbe stato La Ricompensa del Gatto di Hiroyuki Morita, l’altro proprio Il Castello Errante di Howl. Alla regia, in un primo momento, Mamoru Hosoda della Toei Animation alla ricerca della sua opera prima (sarà One Piece – L’isola segreta del Barone Omatsuri, del 2005), che tuttavia produsse un primo draft di storyboard e idee concettuali ritenuti inadatti da Toshio Suzuki. Dopo un paio di mesi in pausa quindi, proprio Miyazaki che ne prese il controllo operativo nel febbraio 2003. Decise di recarsi a Colmar e Riquewihr, in Alsazia, per studiare l’architettura e i dintorni per l’ambientazione dell’anime.
Ulteriore ispirazione è venuta dai concetti di tecnologia futuristica nel lavoro di Albert Robida e dall’arte dell’illusione dell’Europa alla fine del XIX secolo. A differenza di molti film occidentali, infatti, Miyazaki procedette sviluppando un immaginario realistico a partire da un’immagine molto specifica (il Castello Errante nda). Oltre 1400 tavole di storyboard e sfondi originali disegnati a mano e dipinti prima di essere digitalizzati dopo, ecco Il Castello Errante di Howl come opera – come sempre – personale per il maestro dell’animazione nipponico. Per la Jones, infatti, Sophie, Howl e Calcifer sono gli strumenti per raccontare, in formato fiabesco, una storia sulle aspettative di classe e di genere. Con Miyazaki diventano i protagonisti di una storia sulla lealtà personale e le debolezze dell’individuo, sulle fragilità e il tramonto della vita, sulla forza dell’amore e la compassione, sulla violenza e gli orrori della guerra.
Perché c’è la guerra in Il Castello Errante di Howl, si staglia lì, all’orizzonte, sino a compenetrare il racconto tra occupazioni e bombardamenti. Miyazaki fu influenzato all’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti del 2003, al punto da temere che l’anime sarebbe stato accolto in modo negativo Oltreoceano. E l’odio verso la guerra in tutte le sue forme emerge in modo chiaro e lampante tra le pieghe del racconto, fino a risultare didascalico: una scelta che ci sentiamo di definire necessaria. È una posizione anti-bellica dal cuore puro quella di Miyazaki, qui trasposta nella dimensione caratteriale di Howl. Il suo è un nichilismo senza alternative. Combatte contro entrambe le parti sino a diventare il terrore di tutto e tutti nella sua dimensione di uccello mostruoso.
In quello stato, Howl rischia di perdere la sua umanità fino a degradarsi perché condannato da una forma spirituale di maledizione. Il suo orrore e la sua furia crescono di trasformazione in trasformazione, perché è di questo che è fatta la guerra – ogni guerra – di orrore e desolazione, isolamento e disumanità. Per certi versi il contraltare di Principessa Mononoke dove Ashitaka cercava invece di negoziare una pace tra le fazioni del conflitto. Purtroppo non c’è più tempo per la pace nel mondo – nostro e in quello disegnato-e-immaginato da Miyazaki – perché condannato da mancanza di identità, conformismo e corruzione, ma c’è (ancora) tempo per l’amore.
Ne Il Castello Errante di Howl l’amore è forza non conformista e scoperta identitaria ed emotiva, è ordine nel caos di un subconscio impasticciato e accesso al proprio Io – e a quello dell’altro – più profondo. È sogno, gioventù e salvezza, attesa e maledizione. Qualcosa in grado di condividere i luoghi dell’anima e le memorie del tempo, che fa superare confini spazio-temporali altrimenti impossibili da valicare e le più complesse leggi fisiche. È tutto, è l’alfa e l’omega, la fine e il principio. Un anime splendente di modernità e sacralità, Il Castello Errante di Howl, percorso di suggestioni steampunk eppure caratterizzato di natura immacolata, di silenzi esistenziali e di un senso di sospensione e di disconnessione dalla società e dal mondo.
Ma soprattutto di musica, perché di tutte le partiture composte da Joe Hisaishi, quella de Il Castello Errante di Howl resta – a distanza di vent’anni (e al pari di quella de La Città Incantata) – una delle composizioni più commuoventi, dolci e struggenti che la storia del cinema ricordi. Tutti almeno una volta nella vita hanno sognato – a occhi chiusi e aperti – sulle note di Merry-Go-Round of Life (qui). Tutti hanno provato a tuffarsi dentro quelle immagini e a viaggiare assieme a Sophie e Howl e a fermare quella guerra. Tutti sanno che di anime come Il Castello Errante di Howl ne nascono pochi ma sanno come entrare (e restare) in un piccolo spazio del proprio cuore con facilità e purezza. E non cambierà, non ancora perlomeno.
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