ROMA – Kaguya è una ninfa magica arrivata dalla Luna e trovata in una canna di bambù da un vecchio tagliatore. Accolta e cresciuta come una figlia dal taglia-bambù e sua moglie, la piccola cresce a vista d’occhio fino a diventare una splendida giovane donna. Molti sono i suoi pretendenti, ma nessuno è in grado di portarle quello che davvero desidera, e nessuno, nemmeno l’Imperatore del Giappone, riesce a conquistare il suo cuore. La Storia della Principessa Splendente, un anime del 2013 di Isao Takahata prodotto da Toshio Suzuki e animato dallo Studio Ghibli. L’ultimo dei quattro (Pioggia di ricordi, Pom Poko, I miei vicini Yamada gli altri) che Lucky Red ha scelto di (ri)portare al cinema. La Storia della Principessa Splendente, in particolare, vi resterà fino al 31 luglio.

Si tratta del capolavoro ultimo di Takahata, nonché il suo ultimo anime. Nemmeno cinque anni dopo, il 5 aprile 2018, l’autore nipponico scomparve per le complicazioni dovute ad un cancro ai polmoni. Un progetto a lungo rincorso e che affonda le sue radici creative nella sua infanzia. Da bambino, infatti, Takahata fu colpito dal Taketori Monogatari. Un racconto popolare giapponese in lingua tardoantica del X secolo trasposto letterariamente, riguardante un tagliatore di bambù che una notte notò che una canna di bambù nella foresta circostante risplendeva nell’oscurità. Tagliandola vi trovò al suo interno una bambina grande come il suo pollice: ovvero l’incipit di La Storia della Principessa Splendente. Nonostante trovasse difficolta a relazionarsi con il protagonista rimase totalmente travolto dalla Principessa: «La trasformazione dell’eroina era enigmatica» dichiarò in merito.

Anni dopo, nel 1960, Takahata iniziò a preparare un potenziale adattamento de La Storia della Principessa Splendente per la Toei Animation (all’epoca Toei Doga) in cui era entrato da circa un anno prima come allievo regista e dove stava apprendendo i rudimenti del disegno cinematografico grazie alla messa in scena di alcuni lungometraggi. Adattamento presto abbandonato perché agli executives non fu del tutto chiara la chiave di lettura narrativa. Rimettendo mano ai suoi appunti, dopo aver riletto Taketori Monogatari Takahata si rese conto di come, nonostante la sacralità della storia, quella de La Storia della Principessa Splendente potesse essere anche una storia ricca di umorismo e divertimento, purché il pubblico fosse stato capace di mettersi nei panni di Kaguya. Passeranno più di quarant’anni prima di risentirne nuovamente parlare. Quarantacinque per la precisione.

Nel 2005, anni dopo il successo stratosferico de I miei vicini Yamada, Takahata era alla ricerca di una nuova regia. Rimise mano alla suggestione dell’Heike Monogatari a lungo rincorsa durante la pre-produzione di Pom Poko e anche stavolta abbandonata perché le visioni di morte al suo interno Suzuki riteneva non essere adatte ad un’opera diretta ai più piccoli. Quindi proprio La Storia della Principessa Splendente suggeritagli da Suzuki che sapeva essere un suo desiderio artistico a lungo rincorso. Il progetto fu annunciato nel 2008 per poi entrare in lavorazione tra il 2009 e il 2010 nel pieno delle produzioni di Ponyo sulla scogliera, Arrietty e La collina dei papaveri, per poi essere annunciato, nel dicembre 2012, in arrivo al cinema il 20 luglio successivo assieme a Si alza il vento. Decisamente non una data qualunque.

L’idea dello Studio Ghibli era quella di ripetere l’espediente della doppia uscita del 16 aprile 1988, quando in Giappone furono distribuiti contemporaneamente Il mio vicino Totoro e Una tomba per le lucciole. I ritardi nella lavorazione de La Storia della Principessa Splendente, però, decisero diversamente spostandola di un paio di mesi, il 23 novembre per la precisione. Questo per via del particolare stile animato voluto da Takahata per l’anime che, alla maniera de I miei vicini Yamada, richiese tempo, cura, attenzione ai dettagli. Al punto che lo Studio Ghibli gli mise a disposizione un’intera squadra di disegnatori che lavorò esclusivamente su questo progetto. Il risultato è un’opera dal tratto onirico, emotivo, che alterna linee morbide e tonalità tenui nei momenti di gioia a colpi violenti e pesanti per esprimere frustrazione e dolore.

Tutto al servizio di un La Storia della Principessa Splendente fiaba per adulti esperienziale che alla rappresentazione fedele e reale del mondo preferisce l’uso dell’immaginazione dello spettatore, e che vede Takahata servirsi del periodo Heian e dei suoi rigidi principi di presenza e comportamento delle donne reali per raccontare di femminismo e patriarcato, di lotta di classe e identità, ma soprattutto dell’impossibilità a realizzare i desideri che albergano nel proprio cuore. Quindi la disumanizzazione, la solitudine, il mistero e l'(auto)isolamento, e la perdita del sorriso di una bambina che è ragazza, donna, principessa e creatura magica, che nell’innocenza dei suoi primi giorni era capace di illuminare con la sua gioia il volto di chiunque facendo fiorire la primavera intorno. Il cuore de La Storia della Principessa Splendente, però, sta tutto nella nozione di bellezza.

Dapprima identificata come puramente materiale, fatta di abbondanza e opulenza, lo sviluppo del racconto vede Takahata volgere La Storia della Principessa Splendente e i suoi eventi scenici verso l’immateriale così da ricercare la bellezza della vita nel puro, nell’innocente, nella pietà degli uomini nonostante dolore e sofferenza e nell’armonia con la natura. Una lezione di vita per certi versi, ma anche – e soprattutto – una delle (tante) ragioni per cui il film fu candidato agli Oscar 2015 nella categoria Miglior film d’animazione e del perché non dovete assolutamente perderlo di nuovo al cinema per nessuna ragione al mondo.
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- VIDEO | Qui per il trailer di La Storia della Principessa Splendente:
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