MILANO – «Un fotografo è letteralmente qualcuno che disegna con la luce. Un uomo che descrive e ridisegna il mondo con luci e ombre». Così Sebastião Salgado si vede, così si guarda da fuori uno dei fotografi più importanti della storia quando Wim Wenders glielo chiede, come un pittore che gioca con luce e buio, che racchiude in qualcosa di immobile un mondo perennemente in contrasto e in movimento. Il sale della terra, documentario diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado presentato a Cannes nel 2014, non ripercorre soltanto l’impresa lavorativa di un uomo che per quarant’anni ha fotografato e testimoniato la condizione umana dagli angoli più remoti della Terra, ma restituisce una visione più ampia e panoramica sul ruolo e lo sguardo che può e deve assumere l’arte.
Il sale della terra (disponibile su Prime Video) è un documentario atipico, Wenders approccia Salgado quasi in modo dialogico, gli mostra delle immagini e il fotografo brasiliano le commenta, ricorda tutto quello che è presente attorno ma non si vede. Così si costruisce una grande carrellata di immagini, un viaggio cronologico dentro un lavoro capace di racchiudere l’essere umano da ogni sua prospettiva. Il progetto The Other Americas (1977-1984) sull’America Latina nascosta, quella delle campagne coltivate e dei paesaggi aridi, Sahel: The End of the Road (1984-1986) che mostra le drammatiche condizioni dei popoli africani tra fame e miseria, o Workers (1986-1991) sulle condizioni dei lavoratori in giro per il mondo dalla gelida Russia al Kuwait invasa dal petrolio.
Non ultimi Migrations (1993-1999) sulle grandi migrazioni umane e la successiva debilitazione mentale e fisica subita da Salgado a causa dell’orrore visto e testimoniato per più di vent’anni. L’ultimo grande lavoro del fotografo, infatti, si distacca da uno sguardo prettamente sociale e politico per avvicinarsi di nuovo alla terra e con Genesis (2004-2013) si dedica a mostrare e raccontare i luoghi della Terra ancora intatti e vergini dalla mano dell’uomo. Il sale della terra ritorna al nucleo, alla cellula primordiale della materia cinematografica, dimostra come un singolo frame, una semplice immagine, possa raccontare una storia, riesca a racchiudere un microcosmo indipendente ma unanime.
E Salgado, attraverso il suo caratteristico bianco e nero sporco e lirico, ha dedicato la vita a mostrare l’essere umano in ogni sua sfumatura, senza alcun filtro, rendendo la storia di un popolo massacrato dalla malaria o di un pastore delle Ande universale, empatica e vicina a ogni luogo del mondo. Salgado con le sue fotografie ha disegnato un mondo privo di confini, ha avvicinato luoghi e persone che non comunicano, con la forza di ogni singolo scatto ha preso una posizione empatica e forte verso gli esseri viventi, che sono il sale della terra.
- LONGFORM | Nel corso del tempo, Wim Wenders e un inno al cinema libero
- OPINIONI | Perfect Days, Wenders e la semplice bellezza della vita
- LONGFORM | Paris, Texas, i quarant’anni del viaggio americano di Wenders
Qui sotto potete vedere il trailer del film
Lascia un Commento