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Aspettando l’Oscar | Da Cary Grant a Detroit, quando l’Academy sbaglia a scegliere

L’Academy? Non sempre ci vede bene, anzi, a volte gli errori sono incredibili. Come in questi 10 casi…

Oscar
Oscar sì e Oscar no? Quando la statuetta finisce nelle mani sbagliate.
Freshly Popped

ROMA – Qualcuno dirà che è impossibile mettere tutti d’accordo la notte degli Oscar. Vero. Ma non tanto per logiche industriali o politiche di Hollywood che spesso e volentieri scelgono la notte come un momento in cui mettere l’America – e il mondo – di fronte a dati di fatto, e nemmeno perché, eccetto Il Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re – che con i suoi undici Oscar su undici candidature nel 2004 fece esclamare a Steven Spielberg: «E l’Oscar va a… È piazza pulita!» – non esiste più da anni un ammazza-premi in grado di colonizzare la serata. Poi però ci sono dei casi che mettono tutti d’accordo. No, non (solo) quelli dei vincitori incontrastati (quasi), ma le assenze, le mancante nomination. Alcune fanno talmente rumore da gridare ancora vendetta. Qui vi avevamo parlato di registi (De Palma!), qui di attori (Marilyn!). Ecco altre 10 imperdonabili assenze…

“And the Oscar goes to…”. Ah, no.

 CARY GRANT  – Questa è certamente una di quelle che fa più male, perché Cary Grant, mattatore della sophisticated-comedy tra Susanna! e Scandalo a Filadelfia, progenitore di James Bond con l’hitchcockiano Intrigo internazionale, oltre che protagonista di alcune delle più belle pagine di cinema tra Il sospetto, Arsenico e vecchi merletti, Notorious, La moglie del vescovo, Un amore splendido e Sciarada, non ha mai vinto l’Oscar. Appena due nomination, entrambe come attore tra Ho sognato un angelo nel 1942 e Il ribelle nel 1945, entrambi drammatici. Poi il nulla, se non il contentino dell’Oscar alla carriera nel 1970. Assurdo, ma vero.

Una scena de Il Ribelle, la seconda (e ultima) nomination agli Oscar per Cary Grant
Una scena de Il Ribelle, la seconda (e ultima) nomination agli Oscar per Cary Grant

LUCI DELLA CITTÀ – Altra anomalia. Agli Oscar del 1932 ecco Il campione di King Vidor, Shanghai Express di Josef von Sternberg, Un popolo muore di John Ford, Bad Girl di Frank Borzage, Five Star Final di Mervin LeRoy, L’allegro tenente di Ernst Lubitsch e il vincitore, Grand Hotel di Edmung Goulding con interpreti d’eccezione come Greta Garbo, John Barrymore, Joan Crawford, Lionel Barrymore. Ma a mancare però è il film che più di tutti ha saputo superare le pieghe del tempo per cristallizzarsi nella memoria comune: Luci della città di Charlie Chaplin, il cui struggente e amorevole climax fatto di fiori, silenzi e rivelazioni è ad oggi uno dei più puri momenti di cinema mai realizzati.

Luci della città di Charlie Chaplin: il grande assente agli Oscar 1932
Luci della città di Charlie Chaplin: il grande assente agli Oscar 1932

ANDREJ TARKOVSKIJ – Più volte candidato alla Palma d’Oro a Cannes, vincitore del Leone d’Oro a Venezia (ex-aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini) con L’infanzia di Ivan, nonché autore di alcune delle più indimenticabili pagine di cinema tra Andrej Rublëv, Solaris, Lo specchio, Stalker e Nostalghia, quello di Andrej Tarkovskij è cinema fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Parola di Ingmar Bergman: «Il film quando non è documentario, è un sogno, è per questo che Andrej Tarkovskij è il più grande di tutti». Già, eppure lui, dalle parti di Hollywood e degli Oscar (né come regista, né come film straniero) non si è mai visto…

Solaris di Andrej Tarkovskij, uno dei tanti capolavori del maestro russo mai considerati agli Oscar
Solaris di Andrej Tarkovskij, uno dei tanti capolavori mai considerati agli Oscar

 STEVE BUSCEMI – Altro caso specifico, perché agli Oscar del 1997, nonostante tutti sapessero che sarebbe stato Il paziente inglese di Anthony Minghella a fare piazza pulita, Fargo di Joel ed Ethan Coen si pose come alternativa eccellente con le sue sette nomination. Risultato? Oscar per la miglior attrice protagonista (Frances McDormand) e sceneggiatura originale, ma tra i candidati, complice l’erronea scelta di identificare William H. Macy e il suo Jerry Lundegaard come non protagonista, Steve Buscemi con il suo Carl Showalter finì privato della nomination. Ma non solo: ad oggi Buscemi non ha mai ricevuto una nomination all’Oscar!

Lo stupore di Steve Buscemi in Fargo nel non leggere il suo nome agli Oscar 1997
Lo stupore di Steve Buscemi in Fargo nel non leggere il suo nome agli Oscar.

 IL GRANDE LEBOWSKI – Altro giro, altra corsa, altro film dei Coen che, diciamola tutta, prima di Non è un paese per vecchi – ed eccetto il sopracitato Fargo – hanno avuto poca fortuna con l’Academy. L’assenza più bruciante dei Coen agli Oscar è senz’altro quella de Il Grande Lebowski. Neo-noir postmoderno riecheggiante al grande immaginario noir di Raymond Chandler (Il Grande Sonno, su tutti), oggi cult straordinario che però, agli Oscar 1999 – l’edizione più chiacchierata degli ultimi trent’anni di Academy – non riuscì a superare la cinquina de Elizabeth, La sottile linea rossa, Salvate il soldato Ryan, La vita è bella e Shakespeare in Love. Poco importa però, del resto: «A volte sei tu che mangi l’orso, altre, invece, è l’orso che mangia te».

Il Grande Lebowski, 0 nomination agli Oscar ma un retaggio da sogno
Il Grande Lebowski, 0 nomination agli Oscar ma un retaggio da sogno

PRINCIPESSA MONONOKE  – Questa è un trabocchetto, perché nel 2000, quando Principessa Mononoke sbarcò nei cinema americani a tre anni di distanza dalla data di rilascio giapponese, non esisteva ancora la categoria miglior film d’animazione agli Oscar. Venne creata nel 2002, il primo film a vincere l’Oscar fu Shrek. Stiamo pur certi però che il film di Hayao Miyazaki, manifesto allegorico-distopico che racconta in forma di mito l’inevitabilità dello scontro tra uomo e natura, avrebbe stravinto agli Oscar se solo gli si fosse presentata l’occasione, nulla avrebbe potuto il contemporaneo (del tempo) Le follie dell’imperatore targato Disney.

A Principessa Mononoke di Hayao Miyazaki un Oscar ad honorem sarebbe doveroso
A Principessa Mononoke di Hayao Miyazaki un Oscar ad honorem sarebbe doveroso

IL CAVALIERE OSCURO – Gli Oscar del 2009 li ricordiamo tutti, non fosse altro per la coltre funerea attorno a Il Cavaliere Oscuro e a quell’Heath Ledger premiato con un Oscar postumo nella categoria attore non protagonista per Joker. Quel che oggi fa ancora male però è l’assenza de Il Cavaliere Oscuro nella categoria di miglior film, specie considerando una cinquina non proprio di grido: The Millionaire, Milk, The Reader , Frost/Nixon e Il curioso caso di Benjamin Button. Parola di Spielberg che di recente, proprio in occasione della cerimonia d’annuncio delle nomination agli Oscar 2023 si è così espresso: «È ormai tardi per il film che meritava di essere nominato alcuni fa, ovvero, Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan…».

Il Cavaliere Oscuro non rientrò mai nella cinquina allargata degli Oscar 2009
Il Cavaliere Oscuro non rientrò nella cinquina degli Oscar 2009

LEONARDO DI CAPRIO – Agli Oscar del 2013, per inciso, la terza volta de Daniel Day-Lewis come attore per Lincoln, vide dalla sua una grande assenza sulla scia di Steve Buscemi in Fargo. Il protagonista è Django Unchained, eccellente spaghetti-western di Quentin Tarantino dalla dichiarata matrice sociale, che si portò a casa, a fronte di 5 nomination, 2 Oscar: la sceneggiatura originale e l’attore non protagonista (Christoph Waltz). Ci sarebbe dovuto essere anche Leonardo DiCaprio che come Calvin J. Candle, in appena una manciata di minuti, ruba la scena a tutti, dialoga alla grande con il fuoriclasse Waltz/Schultz e realizza una performance brutale ed esplosiva, forse la migliore della sua carriera.

Il grande assente agli Oscar 2013? Leonardo DiCaprio per Django Unchained
Il grande assente agli Oscar 2013? Leonardo DiCaprio per Django Unchained

DETROIT – Se esistesse un Oscar per il film dimenticato sarebbe sicuramente suo: Detroit di Kathryn Bigelow, del 2017, opera dalla narrazione corale abilmente orchestrata, ritmata, avente ad oggetto gli scontri di Detroit del 1967 avvenuti dal 23 al 27 luglio con un grande Will Poulter sugli scudi. Il film passò, nel giro di qualche mese, da candidato da battere agli Oscar a grande escluso (finito ancor più velocemente nel dimenticatoio) da una cinquina allargata di titoli irresistibili come La forma dell’acqua, Chiamami col tuo nome, Dunkirk, Il filo nascosto, Lady Bird, L’ora più buia, Scappa – Get Out, The Post e Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Nonostante tutto uno dei grandi film della sua decade, oltre che tra le vette del cinema della Bigelow.

Detroit: Oscar al miglior film dimenticato del decennio
Detroit: Oscar al miglior film dimenticato del decennio

DECISION TO LEAVE  – Concludiamo con la contemporaneità, perché agli Oscar di quest’anno, nella categoria film internazionale, c’era letteralmente l’imbarazzo della scelta: Argentina, 1985, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Close, EO, The Quiet Girl. A far rumore però è l’assenza di Decision to Leave di Park Chan-Wook, il punto di maturazione della poetica filmica del regista coreano, il suo film più hitchcockiano, raffinato, un’opera assoluta che in un mondo ideale sarebbe il candidato da battere ma la cui assenza, forse, lo renderà ancora più memorabile e imperdibile.

Decision To Leave: il vincitore morale dell'Oscar 2023 al Miglior film internazionale
Decision To Leave: il vincitore morale dell’Oscar 2023 al film internazionale’
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