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Il Ribelle | Cary Grant, Clifford Odets e gli ottant’anni di un grande classico

Ethel Barrymore, Jane Wyatt, l’opera originaria e quella notte degli Oscar. Celebrare un mito

Cary Grant nei panni di Ernie Mott, l'eroe buono de Il Ribelle, opera prima (cinematografica) di Clifford Odets del 1944
Cary Grant nei panni di Ernie Mott, l'eroe buono de Il Ribelle, opera prima (cinematografica) di Clifford Odets del 1944

ROMA – Nel giorno che di Cary Grant ricorda la nascita – e una vita intera la sua leggenda, centoventi anni dopo – non si può non parlare de Il ribelle del drammaturgo Clifford Odets (lo trovate sul canale Youtube di Film&Clips, qui). Una pellicola ed un’interpretazione personalissima per l’attore inglese, prossima all’ottantennale – il film fu distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 17 ottobre 1944 –, che vedeva nel concept dell’opera originaria, l’omonimo romanzo di Richard Llewellyn del 1943, ciò che sarebbe potuto diventare se non avesse mai lasciato la nativa Bristol. Talmente importante, per Grant, che molti anni dopo, agli Oscar 1970, quando ricevette il suo Oscar onorario (l’unico in carriera nda), fu il solo film di cui pretese di vedere delle sequenze nella clip pre-premio.

Il Ribelle di Clifford Odets fu distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 17 ottobre 1944
Il Ribelle di Clifford Odets fu distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 17 ottobre 1944

Ne parlò così, infatti, in un’intervista del 1958: «Il cinema? Sai, se alcune persone avessero fatto a modo loro, non avrei mai dovuto fare nessun film. Non ho superato il mio primo test-screening. Il regista pensava che il mio collo fosse troppo grosso. E aveva ragione! Ho realizzato settanta, o forse settantuno film, non ricordo (saranno settantasette nel 1966 nda). Uno dei film che penso mostri un po’ di recitazione riuscita è Il ribelle. È lì che ho trovato un modulo adatto a me. Ho interpretato un ragazzo ben vestito e abbastanza sofisticato che si trova in situazioni intollerabili. È una formula e l’ho usata spesso».

«Questa è la storia di Ernie Mott che cercava di vivere una vita libera, bella e nobile, nel secondo quarto del XX° Secolo»
«Questa è la storia di Ernie Mott che cercava di vivere una vita libera, bella e nobile, nel secondo quarto del XX Secolo»

Eppure, che ci crediate o meno, nonostante l’affetto mostrato negli anni da Grant verso Il ribelle e per il ruolo di Ernie Mott – oltre al fatto che l’allora Presidente della RKO, Charles Koerner, acquisì i diritti di utilizzazione economica del romanzo di Llewellyn solo e soltanto per cucirgli addosso il ruolo principale – lì per lì non fu proprio un ingaggio facile da accettare e non tanto per le tematiche in gioco, quanto per una questione anagrafica. Odets rimase di stucco quando scoprì che sarebbe stato il quarantenne Cary Grant il suo attore protagonista: «Non capisco, il romanzo parlava di un ragazzo di 19 anni con i brufoli i cui soli due desideri erano avere una ragazza e comprare un vestito nuovo».

Cary Grant è Ernie Mott
Cary Grant è Ernie Mott

Una perplessità comprensibile – condivisa dallo stesso Llewellyn – considerando che per Odets, pur con una brillantissima carriera teatrale alle spalle, quello de Il ribelle avrebbe rappresentato il battesimo di fuoco cinematografico (si ripeterà una sola altra volta, nel 1959, con Inchiesta in prima pagina nda): «Così chiesi alla RKO: Siete davvero sicuri che sia Grant il vostro uomo? Sembrava di si, quindi ho dovuto cambiare considerevolmente il concetto che avevo del libro». Ed è proprio in quella forbice di valore che la pellicola cambia, diventa qualcos’altro. Da romanzo di formazione su di un poco più che adolescente wide-boy, a pellicola esistenziale su di un uomo adulto, formato, eppure ancora immaturo, in cerca del proprio posto nel mondo.

Cary Grant e Jane Wyatt in un momento del film
Cary Grant e Jane Wyatt in un momento del film

Ma soprattutto indipendente, perché lo è – indipendente – Ernie Mott, senza radici, o forse semplicemente messe da parte, in giro per l’Inghilterra con il cane Nipper, finché non decide di tornare a casa. Un momento magico de Il ribelle, reso in scena – un po’ alla maniera di quell’inquadratura iniziale di Furore di John Ford – in un campo lungo che è inizio-e-fine di un viaggio come esplicitazione dell’arco di trasformazione dell’agente scenico principe. E Odets ci introduce con garbo nella vita di Ernie Mott, tra luci fioche che appaiono timidamente nella nebbia inglese e un voice-over che ne cementifica il registro di fiaba per adulti: «Questa è la storia di Ernie Mott che cercava di vivere una vita libera, bella e nobile, nel secondo quarto del XX° Secolo».

L'incipit de Il Ribelle
L’incipit de Il Ribelle

Poi c’è lo stile drammatico di Odets, traslato al cinema, e con esso la sua aura di drammaturgo socialista con un occhio di riguardo verso il micromondo dei proletari e delle loro esistenze tragiche. Un occhio umano che catapulta il pubblico nel conflitto, senza introduzione, senza fronzoli, in un discorso di strada poetico dove il personaggio – in questo caso Ernie Mott – diventa automaticamente il centro della scena e il motore stesso del racconto. Non a caso è un impianto narrativo semplice ma efficace quello de Il ribelle, fatto di pochi agenti scenici, un contesto ridotto all’essenziale, eppure capace di svilupparsi in un intreccio solido, avvincente.

Per Cary Grant Il Ribelle è uno dei dichiarati film (e annesso ruolo) del cuore
Per Cary Grant Il Ribelle è uno dei dichiarati film (e ruolo) del cuore

Un melò vecchio stile, Il ribelle, nel ritmo e nel sapore delle svolte narrative, capace di unire, a una base drammatica ramificata, elementi brillanti e romantici estesi in componenti dialogiche dense. Qui crescono le storie tragiche di Ma’ (Ethel Barrymore) – la madre di Ernie, il motivo per cui decide di restare e ricominciare –, del saggio Henry (Barry Fitzgerald), del cattivissimo Jim Mordinoy (George Coulouris), della dolce Aggie (Jane Wyatt) e della triste Ada (June Duprez), tutte innescate dall’agire deciso di quell’Ernie Mott reso leggenda da un Grant intenso, commuovente, ironico e caparbio come in poche altre occasioni sul grande schermo. Non a caso arrivò la seconda nomination come Miglior attore protagonista agli Oscar dopo quella del 1942 per Ho sognato un angelo.

June Duprez in un momento del film
June Duprez in un momento del film

Perse, in entrambe le occasioni (Gary Cooper con Il sergente York, Bing Crosby con La mia via), ma poco importa, perché Ernie Mott lo rese orgoglioso. Un personaggio buono, eroico, imperfetto, eppure capace di saper fare la cosa giusta al momento del bisogno, che pone i sigilli su di un Il ribelle che oggi come ieri, ottant’anni dopo, ci ricorda dell’importanza d’avere basi solide e di integrità nel frenetico mondo là fuori. Il resto lo fece l’epoca di riferimento. Quei dolorosi anni Quaranta bellici che influenzarono la componente valoriale dello script di Odets gettandovi una coltre funerea addosso che arricchì di senso la matrice esistenziale del film.

Cary Grant e Barry Fitzgerald nel climax de Il Ribelle
Cary Grant e Barry Fitzgerald nel climax de Il Ribelle

Nonostante il tragico ne Il ribelle – e quindi la morte, l’incertezza, l’inquietudine – c’è speranza. La speranza di una vita onesta e con essa il trionfo dell’amore: il motore dell’Universo, capace di smuovere le montagne e mettere fine alle guerre, come in quel falso monologo nel secondo atto con cui Grant ottenne di diritto la nomination: «Pace, non voglio altro dalla vita. Solo vedere gente felice, semplice, senza sporcizia e senza dolore. La cosa ti sorprende, vero? Pace, a milioni non desiderano altro, e senza doversi rifare sul pesce più piccolo, pace senza essere mastini e neppure prede, solo pace e dignità, e almeno una vita decente! È chiedere troppo, forse?».

Il titolo originale del film: None but the Lonely Heart
Il titolo originale del film: None but the Lonely Heart

Non ultimo, Il ribelle segnò anche il ritorno sulle scene cinematografiche di Ethel Barrymore (sorella dei leggendari John e Lionel nda) undici anni dopo All At Sea, un film di E.H. Kleinhert del 1933. Non un coming-back a pieno titolo però, perché in quel decennio la Barrymore fu attivissima a Broadway dove fondò un teatro dandovi il proprio nome e divenne la prima Direttrice Artistica dell’Olney Theatre Center nel Maryland. Pur di averla nel film, la RKO coprì tutte le spese necessarie al fine di sospendere, temporaneamente, la produzione teatrale de Il grano è verde, opera di Emyln Williams che per la regia di Herman Shumlin rimase in cartellone per un totale di 477 rappresentazioni.

Cary Grant ed Ethel Barrymore in una scena del film
Cary Grant ed Ethel Barrymore in una scena del film

Nei panni della tragica, affettuosa e disperata Ma’ Mott de Il ribelle vinse l’Oscar 1945 come Miglior attrice non protagonista che la vide nuovamente protagonista sul grande schermo rilanciandone le ambizioni artistiche. Nei successivi dieci anni Ethel Barrymore collaborò con autori del calibro di Robert Siodmak (La scala a chiocciola, Il grande peccatore), Alfred Hitchcock (Il caso Paradine), George Sidney (Il Danubio Rosso), Norman Taurog (Il bacio di mezzanotte), William Dieterle (Il ritratto di Jennie), Frank Borzage (La luna sorge), Vincente Minnelli (Storia di tre amori), John Sturges (Kind Lady), Elia Kazan (Pinky), costruendosi un secondo tempo da caratterista eccezionale che le varrà tre nomination agli Oscar tra il 1947 e il 1950, ma quella è tutta un’altra storia…

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Qui sotto potete vedere il trailer originale del film 

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