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I film, il mito, l’incidente e quella lezione | L’eterna ribellione di Montgomery Clift

La leggenda, le nomination, i Clash e i R.E.M. Storia di un ribelle che non volle piegarsi a Hollywood

Montgomery Clift
Montgomery Clift in una scena de Il fiume rosso. Era il 1948.

ROMA – Per essere tale la ribellione ha sempre un prezzo da pagare. Altrimenti – nel migliore dei casi – è solo eccentricità ostentata. Nella storia della cultura del Novecento la lista dei ribelli è lunga, ma sono stati pochi quelli capaci di andare fino in fondo, a costo della loro stessa vita. Edward Montgomery Clift fu uno di loro, un’anima inquieta che scelse sempre di fare di testa propria e pagò sempre tutto in prima persona. C’è un libro di John William Law, mai pubblicato in Italia, dal cui titolo si possono capire molte cose riguardo la vita di Clift: The Longest Suicide in Hollywood. Il suicidio più lungo di Hollywood. Bello e dannato, Clift ad un certo punto degli anni Cinquanta aveva Hollywood e il mondo ai suoi piedi, ma scoprì che non era affatto quello che voleva. E agì di conseguenza. Non è un caso se un altro gruppo di ribelli, veri, come i Clash, ad un certo punto di London Calling infilarono una canzone dedicata proprio a lui, The Right Profile, in cui Joe Strummer raccontava della sua carriera, del suo aspetto e del suo essere punk prima ancora che il termine fosse inventato (potete ascoltarla qui).

Montgomery Clift
Montgomery Clift in una scena de Un posto al sole. Era il 1951.

Non solo: qualche anno dopo, Michael Stipe scrisse una canzone per lui e la mise in Automatic for the people dei R.E.M descrivendone l’alone: Monty got a raw deal. Perché in Monty c’era più della semplice leggenda attorno al mito e fu lui il motivo per cui molti attori vollero diventare attori. Nato nel 1920 a Omaha, nel Nebraska, nello stesso luogo in cui quattro anni dopo sarebbe nato un altro mito (incredibile, ma vero) come Marlon Brando, Monty visse un’infanzia dorata tra tutor e viaggi in Francia e Svizzera prima che la Grande Depressione colpisse le finanze del padre e i Clift si dovettero trasferire a New York. Ed è qui che nasce l’attore, dalla scintilla del palco, della recitazione, che lo porterà alle prime particine a tredici anni e addirittura al debutto a Broadway nel 1934 con Fly Away Home. Aveva solo quattordici anni. Dopo un decennio sul palcoscenico e studiando sotto la guida di Strasberg, Clift volò verso Hollywood, verso il successo, ma anche verso una vita che non voleva. Lo capì dopo.

Montgomery Clift
Con Katherine Hepburn a New Orleans in Improvvisamente l’estate scorsa.

Perché? Semplice: Clift amava la recitazione, non il successo. Clift amava immergersi nel lavoro e costruire ruoli e personaggi, ma odiava tutto quello che veniva dopo. Le luci, la mondanità, le feste, i rapporti di convenienza da mantenere, le relazioni, il gossip. Ovvero l’essenza stessa di Hollywood. In soli cinque anni, dal 1948 al 1953, Clift firmò un cult in fila all’altro: Odissea tragica di Fred Zinneman – che fu la sua prima nomination all’Oscar – poi Il fiume rosso con John Wayne, quindi Un posto al sole di George Stevens, Io confesso di Alfred Hitchcock e poi – dopo il passaggio forse meno memorabile (ma da recuperare) a Roma in Stazione Termini di Vittorio De Sica – ecco Da qui all’eternità con la sua interpretazione di Robert E. Lee Prewitt, il trombettiere della compagnia e ex pugile finito dentro gli occhi grandi di Donna Reed. Fu Frank Sinatra a vincere l’Oscar, ma Clift – alla terza nomination in cinque anni – si rubò il film.

Montgomery Clift
Il capolavoro: Da qui all’eternità

Qui inizia un’altra storia: il 12 maggio del 1956, dopo una serata a casa di Elizabeth Taylor, Clift si schianta su Summitridge Drive, a Beverly Hills, con la sua auto su un palo del telegrafo. Sarà la stessa attrice – sua grande amica – a salvarlo e a bloccare i fotografi dal pubblicare le foto. Dopo l’incidente, chiunque si sarebbe ritirato, finito per sempre. Non lui. Il viso mutò espressione e lui, dopo un lungo periodo, ritornò sul set e girò un pugno di film che per altri attori sarebbero stati impossibili da girare. Non solo: usò i postumi dell’incidente per creare personaggi enormi, più grandi della stessa vita: il soldato timido Noah Ackerman ne I giovani leoni (dove c’era anche Brando), il dottor Dr. John Cukrowicz ne Improvvisamente l’estate scorsa (tra la Taylor e Katharine Hepburn) e infine l’apice, Perce Howland ne Gli spostati di John Huston.

Montgomery Clift
Con Clark Gable e Eli Wallach ne Gli Spostati. Siamo nel 1961.

Più che un film, il testamento del Sogno Americano: l’ultima volta sul set per Clark Gable e Marilyn Monroe e Clift che nel ruolo di un cowboy fallito sintetizza tutta l’assurdità della vita. Basterebbe una sola scena – quella in cui il suo Perce chiama la madre da una cabina telefonica e in cui le parole dell’attore si mescolano a quelle del personaggio – per una carriera intera. Ma c’era sempre molto altro in Edward Montgomery Clift. Se ne andò giovane, il 22 luglio del 1966, a nemmeno 46 anni. Il suo corpo oggi è sepolto al Friends Quaker Cemetery, a Brooklyn, ma la sua lezione non è mai così viva, soprattutto in tempi di conformismo esasperato, in tempi in cui la ribellione si fa solo se conviene.

  • LEGENDS | I miti di ieri rivisti oggi da Hot Corn
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