MILANO – Se è vero che, guardando a Oriente, in società – come quella giapponese – permeate dalla cultura della morte, è facile ritrovare nella produzione cinematografica degli ultimi decenni già un ingente numero di horror, non lo è altrettanto per quanto riguarda l’industria del cinema occidentale. Anzi, cult a parte – e quest’anno è atteso persino il remake de L’esorcista firmato da Jason Blum – il genere horror non ha mai goduto di grande appeal nel passato per quanto riguarda le platee europee e statunitensi. È un dato di fatto però che nei primi anni del Duemila alcuni registi americani ci abbiano visto bene (e lontano) adattando e rivisitando classici del J-Horror come The Ring o la saga di Ju-On ai gusti e ai canoni estetici di un pubblico meno incline alla regia di suspense e più favorevole al piacere dello shock e della sorpresa.
Nonostante questo, fino a qualche anno fa (potremmo prendere come anno di riferimento ad il 2018), il genere horror – pur muovendo ingenti quantità di denaro a Hollywood – era comunque alquanto elitario, un culto per gli appassionati, chiuso in un ghetto dorata con i suoi cliché e le sue monotonie che tanto irritavano (e irritano) il pubblico generico di scettici che non è mai riuscito a lasciarsi andare e a considerarlo. Oggi, la situazione appare decisamente in controtendenza: gli horror hanno acquisito un appeal mai visto, le produzioni sono tantissime (sia sul grande schermo, che in streaming) e – soprattutto – la critica sta finalmente mostrando apprezzamento per diversi registi che sono considerati a oggi veri e propri autori. La domanda quindi è inevitabile: quali sono i fattori che hanno contribuito alla rivalutazione del genere e al suo successo?
Dallo streaming alla Generazione Z, tra social e casi mediatici (ricordate The Blair Witch Project?), l’horror ha conquistato il pubblico in molti modi diversi, anno dopo anno. Una delle migliori saghe horror dell’ultimo ventennio è senz’altro Insidious di James Wan (altro elemento fondamentale con il primo film volato a 100 milioni di dollari di incasso), ma volendo capire come si è arrivati al mainstream dobbiamo partire da una data: 4 marzo 2018. Cosa accadde? Jordan Peele saliva sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles per ritirare l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale: Scappa – Get Out, candidato anche come miglior film (poi vinse Guillermo del Toro con La forma dell’acqua) e capace di arrivare dove solo L’esorcista era riuscito (Oscar alla sceneggiatura non originale). Ma com’è riuscito Peele a portare l’horror a Hollywood? Con uno degli elementi chiave che ha contribuito alla rinascita del genere horror: la commistione di generi.
Cosa significa? L’horror contemporaneo non è più incastrato nelle sue stesse trame, tra spettri e poltergeist, ma respira a maglie larghe. Peele ha sapientemente mescolato l’horror al thriller psicologico, creando una nuova dimensione di angoscia, inquietudine e terrore: non contento, ha affrontato nel film tematiche sociali ed etiche di estrema rilevanza, parlando di razzismo in termini mai visti prima. Non a caso, lo stesso Peele ha più volte espresso ciò che pensa delle paure dell’uomo contemporaneo: le nuove generazioni, come i Millennials e ancor più la Gen Z, si sono rese conto che non sono più i mostri sotto al letto a terrorizzarci e a popolare i nostri incubi, ma è la società stessa. In altre parole, per trovare il villain in un horror moderno non serve andare troppo lontano da casa. Anzi. L’horror a sfondo sociale – potremmo quindi così definirlo – ha dato nuovo respiro al genere e negli ultimi anni sono stati diversi i titoli che hanno strizzato l’occhio a Peele (anche su Netflix, ad esempio, con Il Buco).
Proprio le piattaforme, come Netflix e Prime Video, rimangono un ulteriore fattore di slancio alla scena horror: l’investimento che lo streaming sta facendo sul genere non è irrilevante e sta dando opportunità anche a registi emergenti di esprimersi senza le strette cinghie dell’industria di Hollywood, dove qualunque genere va adattato alle logiche e ai trend di mercato. Parallelamente, lo streaming ha rilanciato il genere anche nelle serie: pensiamo al successo su Netflix di The Midnight Club di Mike Flanagan (che avevamo incontrato qui per Doctor Sleep). Non solo: oggi l’horror è anche donna. Pensiamo a Jennifer Kent, che già nel 2014 ci aveva regalato un grande film come Babadook (ve ne avevamo parlato nel nostro Horror Corn qui) oppure anche al repertorio di personaggi femminili protagonisti degli horror contemporanei. Un esempio? Attenzione a Anna Kendrick in Alice, Darling, diretta da un’altra regista come Mary Nighy (sì, figlia di Bill Nighy).
Propro sui personaggi, ecco che si allarga la riflessione: il villain oggi non è più solo qualcuno con una maschera tipo Michael Myers o un fantasma con questioni in sospeso, perché il regista esplora i personaggi in un modo mai visto. Ricordate Elisabeth Moss ne L’uomo invisibile? E Hereditary con Toni Collette? Senza dimenticare It Follows (che vi avevamo raccontato qui) anticipava una scia di horror diversi oppure Umma con Sandra Oh e Lamb con Noomi Rapace. C’è molta sperimentazione nella scena, tanta creatività e innovazione, ed è per questo che il genere continua ad attrarre sempre più spettatori, pubblico che prima probabilmente non avrebbe mai visto un horror. E la sperimentazione non è solo a livello narrativo, ma anche di regia, diventata più lenta, più propensa alla costruzione della suspense, piuttosto che dello jumpscare.
E dopo il successo di M3gan, al momento a 170 milioni di dollari nel mondo, di Nope (quasi 200) e il ritorno di Shyamalan in Knock at the Cabin, ecco il futuro prossimo, tra Scream 6, The Nun 2 e il terrificante slasher Winnie the Pooh: Blood and Honey senza dimenticare la Disney e il reboot di Haunted Mansion con Jared Leto. L’horror non è mai stato così vivo…
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