MILANO – Ossessivo e ripetitivo, profondo, perturbante e viscerale. Chi è il Babadook? Il mostro che conserviamo fino da piccoli nella nostra cameretta. Un inquietante gentiluomo dotato di cilindro che bussa prima di affacciarsi sul nostro inconscio, una sorta di Nosferatu che scompare e riappare come un incubo a occhi aperti con cui siamo costretti (inconsapevolmente) a convivere. Per il piccolo Samuel si tratta dell’assenza di un padre che non ha mai potuto conoscere; per la madre Amelia (l’ottima Essie Davis) è il dolore di un marito che ha perso, ma anche il vuoto incolmabile di un’ideale realizzazione familiare che ora si rivela incompleta, irrealizzabile, traumatica.

Dopo un inizio di millennio privo di horror memorabili, l’esordio di Jennifer Kent è lo shock emotivo che torna a confrontarsi con le paure e le fragilità dell’infanzia, con i buchi neri affettivi della crescita e con la mostruosità del quotidiano. Uscito nelle sale tre anni fa e presentato all’edizione del Sundance del 2014 (qualche mese prima dell’altro baluardo del cinema dell’orrore degli ultimi anni, It Follows), Babadook – distribuito in Italia da Koch e Midnight Factory e in streaming su CHILI – ricolloca un genere che stava deragliando verso demoni, vampiri, streghe e le futilità del mockumentary nella categoria più nobile, quella delle opere in grado di penetrare nel rimosso e portarci, di conseguenza, a fare i conti con i nostri limiti.

Evitando le più banali e stereotipate soluzioni visive e sonore, la regista – l’anno scorso alla Mostra di Venezia con il caso The Nightingale – si concentra in modo particolare sulla scrittura e sulla caratterizzazione dei personaggi, sulla genesi di un’atmosfera irrequieta e nervosa, sempre più colma di disagio e disperazione, nella quale le urla frastornanti del piccolo e straordinario protagonista Noah Wiseman si incollano a un sentimento interiore che a tratti sembra non riuscire a contenere l’ansia che viene gradualmente accumulata.

Dramma interno e psichico che si regge su un labile filo di razionalità, Babadook fa paura per un motivo molto semplice: non spaventa nell’immediato ma si insinua come una minacciosa infezione nel lato più oscuro e sconosciuto della nostra anima. Un terribile, cupissimo saggio cinematografico sui fantasmi, sulla malattia della paranoia, sulla sua presenza costante, talmente nero da obbligare a far scatenare una reazione da parte dello spettatore. Un racconto morale, in fondo: affrontare il buio è l’unica maniera possibile per credere ancora in uno spiraglio di luce.
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