in

Babadook | Una madre, il buio e la mostruosità del quotidiano secondo Jennifer Kent

Tra dramma familiare e horror: il film di Jennifer Kent? Ecco perché rimane un’opera da (ri)vedere

Babadook
Essie Davis in una scena di Babadook

MILANO – Ossessivo e ripetitivo, profondo, perturbante e viscerale. Ma chi è il Babadook? Il mostro che conserviamo fin da piccoli nella nostra cameretta. Un inquietante gentiluomo dotato di cilindro che bussa prima di affacciarsi sul nostro inconscio, una sorta di Nosferatu che scompare e riappare come un incubo a occhi aperti con cui siamo costretti (inconsapevolmente) a convivere sempre. In questo caso per il piccolo Samuel si tratta dell’assenza di un padre che non ha mai potuto conoscere, mentre per la madre Amelia (l’ottima Essie Davis) è il dolore di un marito che ha perso, ma anche il vuoto incolmabile di un’ideale realizzazione familiare che ora si rivela incompleta, irrealizzabile, traumatica.

Essie Davis e Noah Wiseman in una scena del film.

Dopo un inizio di millennio privo di horror memorabili, l’esordio di Jennifer Kent nel 2014 fu lo shock emotivo che tornava a confrontarsi con le paure e le fragilità dell’infanzia, con i buchi neri affettivi della crescita e con la mostruosità del quotidiano. Uscito nelle sale (maluccio) solo nel 2017 e presentato all’edizione del Sundance del 2014 (qualche mese prima dell’altro baluardo del cinema dell’orrore degli ultimi anni, It Follows), Babadook – distribuito in Italia da Koch e Midnight Factory e ora in streaming su Prime, CHILI e Apple TV ricolloca un genere che stava deragliando verso demoni, vampiri, streghe e le futilità del mockumentary nella categoria più nobile. Quale? Beh, quella delle opere in grado di penetrare nel rimosso e portarci, di conseguenza, a fare i conti con i nostri limiti.

Lui, il Babadook

Evitando le più banali e stereotipate soluzioni visive e sonore, la regista – che nel 2019 portò alla Mostra di Venezia con il caso The Nightingale – si concentra in modo particolare sulla scrittura e sulla caratterizzazione dei personaggi, sulla genesi di un’atmosfera irrequieta e nervosa, sempre più colma di disagio e disperazione, nella quale le urla frastornanti del piccolo e straordinario protagonista Noah Wiseman si incollano a un sentimento interiore che a tratti sembra non riuscire a contenere l’ansia che viene gradualmente accumulata.

Una scena di Babadook.

Dramma interno e psichico che si regge su un labile filo di razionalità, Babadook fa paura per un motivo molto semplice: non spaventa nell’immediato ma si insinua come una minacciosa infezione nel lato più oscuro e sconosciuto della nostra anima. Un terribile, cupissimo saggio cinematografico sui fantasmi, sulla malattia della paranoia, sulla sua presenza costante, talmente nero da obbligare a far scatenare una reazione da parte dello spettatore. Un racconto morale, in fondo: affrontare il buio è l’unica maniera possibile per credere ancora in uno spiraglio di luce.

Horror Corn #1: It Follows e quella metafora di una generazione
Horror Corn #2: La City, i non-morti e la famiglia di London Zombies
Horror Corn #3: Dietro la maschera di Goodnight Mommy
Horror Corn #4: Paura, paranoia e la cena di The Invitation

 

 

 

 

 

Lascia un Commento

L'Esorcista del Papa

L’Esorcista del Papa | Russell Crowe, Gabriele Amorth e un irresistibile guilty pleasure

Pastrone

Soundtrack Sessions #2 | In studio con Davide Tomat e Federico Bisozzi