MILANO – Un lungo tunnel buio e spaventoso, un confine tra il mondo reale e una fantasia sconosciuta che viene oltrepassato inconsapevolmente dalla famiglia Ogino per raggiungere la loro nuova casa, ma che, una volta varcato, stravolgerà per sempre la vita della piccola Chihiro. Si apre così La città incantata (lo trovate su Netflix), con un brusco e inaspettato trauma, con la scioccante trasformazione dei genitori in avidi e affamati maiali e con la sconvolgente consapevolezza da parte della bambina di essere rimasta sola dentro un mondo ostile e che la respinge. La città incantata, come accade nei film più complessi e sfaccettati di Miyazaki, inizia con una drammatica rottura dello status quo così da creare un’intricata tela narrativa che ha l’obiettivo di riequilibrare una situazione ormai perduta e allo stesso tempo permettere ai personaggi che disegnano la storia di evolvere e cambiare.

Accade questo anche a Chihiro, che prima deve abbandonare il luogo in cui ha vissuto e gli affetti che ha stretto e successivamente viene catapultata in una realtà diversa da quella a cui era abituata, un mondo pieno di spiriti e divinità, fantasmi senza volto e streghe maligne. Se La città incantata è riuscito più di tutti gli altri film Ghibli a raggiungere anche il plauso internazionale con la vittoria di un Oscar e di un Orso d’oro è perché il progetto di Miyazaki che in originale è intitolato La sparizione di Chihiro e Sen riesce ad amalgamare perfettamente una forte identità orientale a una sensibilità emotiva e narrativa occidentale. Il difficile viaggio che deve compiere la piccola Chihiro è molto simile al percorso che compie Alice nel Paese delle Meraviglie, un percorso verso ciò che è ignoto per poter conoscere e cambiare il proprio essere, intriso e inserito però nel folklore e nella spiritualità giapponese.

La protagonista, infatti, si ritrova all’interno di un enorme complesso termale dove spiriti e divinità si recano per rilassarsi e purificarsi, dove gli esseri umani non sono i benvenuti e dove la spiritualità shintoista permea ogni spazio di quel mondo fantastico. Il suo è un percorso che inizia dal basso e deve scontrarsi con l’alto, viene aiutata e accolta dal misterioso ragazzo Haku e il gentile ragno umanoide Kamaji che lavora nelle caldaie, grazie all’eccentrica Lin riuscirà a farsi spazio tra i lunghi corridoi e ad abituarsi a resistere in quel luogo per poi raggiungere il piano più alto dove la strega Yubaba le farà firmare un contratto per lavorare e con cui la terrà in pugno rubandole il nome e iniziando a chiamarla Sen (la strega le ruba solo un Kanji che in giapponese si legge proprio Sen).

Un’avventura travagliata e a tratti pericolosa che porterà Chihiro a schiudersi e a compiere una metamorfosi, a cercare la sua vera identità scontrandosi con i suoi spigoli e le sue stranezze, a cambiare grazie ai traumi che subisce e tramite le persone che incontra e ai legami che instaurerà in un non-luogo che però diventerà più influente della realtà. Quello che crea Hayao Miyazaki con La città incantata riesce ad andare oltre ogni concetto e confine cinematografico, è il perfetto esempio di come l’animazione sia lo strumento giusto per andare oltre, fare un passo oltre il tangibile per riuscire a raccontare la realtà stessa da un’altra prospettiva, raggiungibile solo da meravigliosi disegni che riescono a prendere vita.

Miyazaki scappa dal mondo reale per raccontarlo ancora più profondamente tramite la sua poetica così unica e personale legando una storia stratificata e avvincente insieme a un immaginario visivo imparagonabile a ogni altro lavoro animato. La chiave di volta che ha reso Miyazaki uno dei registi più importanti della storia del cinema è la capacità di inserire stratificazioni, costruire una storia capace di reggersi su più piani narrativi ed emotivi che a loro volta riescono sia a intrecciarsi per unirsi in un connubio filmico che scorre perfettamente, sia a restare indipendenti ed essere compresi e analizzati da chi ha la capacità di intercettarli.

Così un bambino viene trascinato nel cuore della storia dalla straordinaria bellezza visiva, l’aspetto magico e misterioso del film e grazie alla diretta empatia verso la sua protagonista, un adolescente viene colpito dai legami amicali e amorosi che il film sviluppa e un adulto approfondisce e si confronta con il tema dell’inquinamento, del lavoro, del capitalismo moderno, cardini della poetica Miyazakiana e che anche all’interno de La città incantata sono presenti e fondamentali. Ecco che allora un film d’animazione riesce a oltrepassare ogni confine, abbattere ogni pregiudizio ed evadere dal tempo, diventando così uno spettacolo visivo e narrativo quasi impareggiabile che vivrà per sempre e che fortunatamente torna in sala, il suo luogo d’appartenenza e l’unico luogo che merita di accogliere un’opera d’arte così mastodontica e fondamentale per il cinema.
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