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Un tranquillo weekend di paura | I cinquant’anni del cult di John Boorman

Jon Voight e Burt Reynolds, Brando e Lee Marvin, il dramma di Ned Beatty. Analisi di un capolavoro

La banda di Un tranquillo weekend di paura in posa.

ROMA – All’indomani del dittico sulle due facce del crepuscolo western (Il mucchio selvaggio e La ballata di Cable Hodge) per Sam Peckinpah erano due le strade: accettare la sfida di Giù la testa con cui avrebbe collaborato con Sergio Leone nelle vesti di produttore, o inaugurare quel western urbano che farà grande (e sperimentale) la New Hollywood con Cane di paglia. Scelse la seconda, ma per puro caso, perché in origine il progetto che avrebbe dovuto inaugurare il nuovo corso era un altro: Un tranquillo weekend di paura. La pensava così anche l’autore del romanzo (Dove porta il fiume) del 1970, James Dickey. Al foto-finish però la spuntò John Boorman che, fresco della doppietta di impegno civile (Senza un attimo di tregua e Duello nel Pacifico) e del Prix de la mise en scène a Cannes (Leone l’ultimo), strappò per primo i diritti di utilizzazione proponendo il progetto alla Warner Bros.

Il viaggio in canoa de Un tranquillo weekend di paura
Il viaggio in canoa de Un tranquillo weekend di paura

Avviata la pre-produzione con Lynn Stalmaster come casting director, la Warner mise subito in chiaro come – per via della criticità del concept e dell’inerzia registica di Boorman – Un tranquillo weekend di paura avrebbe visto il buio della sala solo con almeno due volti noti al grande pubblico su quattro. Il progetto viene così proposto a stelle come Henry Fonda, Steve McQueen, Warren Beatty, James Stewart, Charlton Heston. A un certo punto della pre-produzione vennero annunciati Jack Nicholson e Marlon Brando come interpreti principali. Il cachet di entrambi però superava il milione di euro: metà del budget previsto dalla Warner. In sostituzione Dickey propose Gene Hackman, fresco Oscar al miglior attore protagonista dl 1973 (Il braccio violento della legge), Boorman suggerì invece Lee Marvin che però, dopo aver letto lo script, ritenne che sia lui che Brando fossero troppo in là con gli anni per scene così impegnative.

Burt Reynolds e Jon Voight in una scena de Un tranquillo weekend di paura
Burt Reynolds e Jon Voight

Marvin suggerì loro però di puntare su attori più giovani: Jon Voight e Burt Reynolds, entrambi semi-sconosciuti e ad uno snodo cruciale della carriera. Se l’ex-Joe Buck da marciapiede vide la sua stella spegnersi tra Comma 22 e Un ragazzo tutto americano dando a Boorman il merito di avergli salvato la carriera per poi «Cercare di uccidermi con stunt estremi», Reynolds vide in Un tranquillo weekend di paura il primo turning point della sua vita dopo B-movies mediocri (4 bastardi per un posto all’inferno): «Fu il miglior film a cui abbia mai preso parte. Fu un film pericoloso da girare. Tutti dicevano che non si poteva fare e noi l’abbiamo fatto!». Fu talmente magnetico nel ruolo che si dice fosse in odore di nomination come attore protagonista agli Oscar 1973.

Burt Reynolds è Mister Lewis Superman in una scena de Un tranquillo weekend di paura
Burt Reynolds è Mister Lewis Superman

La celeberrima foto sul paginone centrale di Cosmopolitan dell’Aprile 1972 fu accolta con freddezza nell’ambiente cinematografico, come sintomo di poca serietà. Lui stesso comprese il passo falso, ma dal canto suo non è mai stato un campione di lungimiranza. Venticinque anni dopo, quando come Jack Horner in Boogie Nights di Paul Thomas Anderson (di cui potete leggere qui) sconvolse il mondo del cinema con la sua performance, fece di tutto per dissociarsi dal film, giocandosi ancora una volta la nomination agli Oscar. Il quartetto di interpreti fu completato dagli esordienti Ronny Cox – nell’unico ruolo positivo in oltre cinquant’anni di carriera – e Ned Beatty suo malgrado protagonista della scena più iconica di Un tranquillo weekend di paura. Quella feroce sequenza di stupro (Squeal like a Pig) di pura prevaricazione e sottomissione che accompagnò Beatty per oltre quindici anni di carriera.

Jon Voight è Ed in una scena de Un tranquillo weekend di paura
Jon Voight è Ed

Sull’evento un paio d’anni dopo parlò Reynolds raccontando come: «Il giorno prima di girare ho notato che Bill McKinney era accanto a Ned. Mi sono seduto in mezzo a loro. Volevo che vedesse che ero suo amico, non diverso da quello in sceneggiatura. […] Nella sua genialità John ha rassicurato Ned inserendo diverse telecamere aggiuntive, sapendo che non ci sarebbe mai stata una seconda ripresa: Ned avrebbe girato quella scena un’unica volta». I veri problemi però sorsero al momento di girare la critica scena di Un tranquillo weekend di paura: «Per la prima e unica volta ho visto operatori girare la testa dall’altra parte. Alla fine non ce la facevo, sono corso sulla scena tuffandomi su McKinney. Ned piangeva di rabbia e paura, trovò un grosso bastone e iniziò a picchiarlo in testa: una mezza dozzina di ragazzi della troupe lo hanno atterrato e poi trascinato via».

Squeal like a Pig!

Finché, il 16 maggio 1989, non scelse di affidare alle colonne del The New York Times uno sfogo di pura autoaffermazione (Suppose Men Feared Rape) con cui chiudere definitivamente il discorso e chiedere al pubblico di andare oltre l’iconica scena: «Quante volte mi è stato gridato o sussurrato da allora? Suppongo che dovrei abbassare la testa e sembrare imbarazzato. La verità è che sono solo orgoglioso di aver fatto parte di Un tranquillo weekend di paura, reso da John Boorman un classico del cinema», per un inizio sfolgorante che lo vedrà poi volto eccellente della New Hollywood (e non solo) tra Nashville (di cui potete invece leggere qui), Tutti gli uomini del presidente (e ancora qui) e Quinto potere. Per comprendere bene il ruolo avuto da Un tranquillo weekend di paura nella storia del cinema però bisogna prima partire dal titolo originale.

«Il cercare tra i boschi la liberazione/Deliverance dallo stress della vita moderna»

Quel Deliverance di cui l’opera di Boorman a dire il vero non esplicita mai il significato, ma che nel romanzo originale di Dickey è inteso come «cercare tra i boschi la liberazione/Deliverance dallo stress della vita moderna». Connotazione che Un tranquillo weekend di paura fa suo a partire dall’apertura di racconto e quell’incisivo dialogo off-screen reso da Boorman in voice-over che contribuisce a creare la base drammaturgica, approfondire il contesto scenico, e al contempo, settare il sottotesto del racconto: l’avvento della civilizzazione industrializzata, l’uomo contro la natura, o per usare le parole di Lewis/Reynolds: «Ci fanno una bella diga e il fiume va a farsi fot*ere». Intenti filmici immediati e netti di una narrazione che è autentica invasione dei civili di un mondo autoctono e inviolato del Sud Carolina, dove «Qui finisce la civiltà, siamo ai confini dell’ignoto».

L’enigmatico e spiazzante climax

Una preziosa chiave di lettura de Un tranquillo weekend di paura ci viene offerta da Voight:«È stato realizzato dopo il Vietnam. Era un attacco alla virilità e questo, in qualche modo, ne faceva parte: aveva profondità in quel tempo». Un’allegoria della disfatta vietnamita dalle ombre anti-Imperialiste e/o di proto-restaurazione della dicotomia Western cowboy/indiani, dove l’umano incontra il disumano mescolando, tra le rive di un fiume violento e macchiato di sangue, interrogativi morali e legali sulla valenza della morte e le ragioni dell’atto dell’omicidio che il dispiego dell’intreccio muta gradualmente i contorni da efferato delitto ad azione necessaria atta alla sopravvivenza del singolo, o per dirla ancora attraverso le parole di Voight: «Che cos’è l’eroismo? Come affronti il male?». Il violento evento al centro del racconto finisce così con il mutare per sempre l’inerzia dei protagonisti, forzandoli verso un’evoluzione caratteriale selvaggia e dalle regole proprie.

«Qui finisce la civiltà, siamo ai confini dell’ignoto»

Lungo il suo cinquantennale retaggio – fu presentato a New York il 30 luglio 1972 – l’opera piccola nei mezzi ma grande negli intenti di Boorman ha saputo ritagliarsi una buona fetta di immaginario grazie alla caustica impronta popolata di vivido realismo. Su pressioni di Boorman la Warner ridusse al minimo sindacale i costi assicurativi della produzione: tutti (o quasi) gli stunt che vediamo in Un tranquillo weekend di paura sono realizzati dagli stessi interpreti, a detta di Boorman: «Non avevo controfigure né stuntman. Non mi piace l’idea dello stuntman perché se una scena è abbastanza pericolosa da aver bisogno di uno stuntman allora non andrebbe mai fatta». Questo chiaramente incise, e non poco sui tempi di lavorazione, come l’infortunio occorso a Reynolds al coccigee dopo aver disceso la cascata in canoa. Beatty rischiò d’annegare. Voight scalò da solo la montagna nella celebre sequenza.

«È stato realizzato dopo la guerra del Vietnam. Era un attacco alla virilità»

I veri problemi però Boorman li ebbe con Dickey. Che qualcosa non quadrasse lo capì immediatamente. Poco prima di iniziare la lavorazione infatti l’autore svelò a Boorman un segreto: «Ti dirò una cosa che non ho mai detto ad anima viva. Tutto in quel libro è successo a me», la dirà praticamente ad ogni membro del cast e della troupe. Al primo giorno di riprese, saliti assieme su una canoa, Dickey la fece capovolgere: «Lì mi sono reso conto che non gli era successo nulla di quanto raccontato nel libro». Discussero costantemente al punto che lo stesso regista arrivò a definire la lavorazione de Un tranquillo weekend di paura come: «Fare quindici round con un peso massimo. Dickey è come uno che dopo avergli fatto bere un paio di Martini vorresti solo infilargli una granata in gola», e non era una semplice battuta: beveva e parecchio!

Il cameo di James Dickey in Un tranquillo weekend di paura
Il cameo di James Dickey

Perennemente ubriaco chiamava continuamente gli attori con i nomi dei personaggi. Una situazione insostenibile che raggiunse l’apice durante una delle sequenza in canoa. Dopo un’aspra discussione a seguito di una riscrittura dello script da parte di Boorman, finirono con il fare a pugni: Boorman si ruppe il naso e quattro denti, Dickey fu espulso dal set. Insistendo nel salutare gli attori prima di andarsene, disse loro: «Sembra che la mia presenza sarà più efficace per la sua assenza». Frase spiazzante a cui Reynolds rispose: «Un momento, significa che va o che resta?!?». Alla fine si riconciliarono, divennero perfino buoni amici, con Boorman che gli regalò un cameo come sceriffo nella sequenza finale. Un’altra grande storia del nostro amato cinema.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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