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Boogie Nights | Paul Thomas Anderson e le memorie di un film epico

Le perplessità della 20th Century Fox, gli scontri con Burt Reynolds, la citazione a Toro Scatenato

Boogie Nights | Paul Thomas Anderson e le memorie di un film epico
Boogie Nights | Paul Thomas Anderson e le memorie di un film epico

PALERMO – «Un pornoattore dal grande pene». Era questa la frase della log-line con cui Paul Thomas Anderson apriva il pitch di Boogie Nights per attirare l’attenzione delle major hollywoodiane. All’indomani di Sidney il brillante cineasta losangelino si era prefissato una sfida industriale tutt’altro che facile per la sua opera seconda: scardinare un taboo etico-filmico. Far raccontare alla sfavillante e luccicante Hollywood il mondo del porno: l’altra Hollywood. La New Line Cinema accettò la sfida e lanciò Anderson tra i grandi aprendogli la strada per quel capolavoro di Magnolia. E le altre? Al solo sentire la parola porno le case di produzione gli sbattevano la porta in faccia. Celebre, in tal senso, il rifiuto della 20th Century Fox del 1994 di cui da un paio d’anni circola in rete lo script report. Non solo non fu raccomandata la realizzazione di Boogie Nights ma si criticò pesantemente concept e narrazione.

Heather Graham in una scena di Boogie Nights
Heather Graham in una scena di Boogie Nights

In fondo era anche plausibile, no? Provate ad immaginare una United Artists o una The Weinstein Group – celebri per stile e compostezza – produrre un’epica del self-made-man ambientata nel (lurido) mondo del porno. Ma eravamo negli anni novanta del resto. Culmine produttivo del postmodernismo cinematografico. Qualcosa di cui l’intero concept di Boogie Nights – ampliamento filmico del mockumentary The Dirk Diggler Story realizzato dal diciassettenne Anderson nel 1988 – è in valore assoluto la sua più pura e spregiudicata espressione filmica. Un’opera che vive di un vento creativo sperimentale da rediviva New Hollywood imbrigliato però in un’estetica contemporanea tra visione autoriale e necessità commerciali.

Julianne Moore in una scena di Boogie Nights
Julianne Moore in una scena di Boogie Nights

Nonostante le evidenti difficoltà etico-produttive fu un successo strepitoso Boogie Nights: tre nomination agli Oscar 1998 (Miglior attrice non protagonista, Miglior attore non protagonista, Miglior sceneggiatura originale), due nomination e una vittoria ai Golden Globes 1998 (Miglior attrice non protagonista, Miglior attore non protagonista) culminate, in quest’ultimo caso, in un premio che suona quasi come “alla carriera” per Burt Reynolds. Una performance, quella nei panni del regista sognatore pragmatico Jack Horner, dove Reynolds ha saputo dosare in modo magistrale carisma, mestiere, pugno duro e spirito paternale.

Burt Reynolds in una scena di Boogie Nights
Burt Reynolds in una scena di Boogie Nights

In Jack Horner vive infatti l’anima filmica di Boogie Nights. La trasversalità di un sottotesto legato a doppio filo con il sogno americano a luci rosse di Eddie Adams/Dirk Diggler (Mark Wahlberg) fatto trasparire dalla narrazione con cui raccontare del mondo del porno e dell’evoluzione dell’industria pornografica tra gli anni settanta e ottanta attraverso una componente meta-linguistica codificata attorno alla coscienza e gli occhi di un regista dall’agire metodico e tecnico. Horner non si arrende al videotape e agli amatoriali su cassetta. Sperimenta, gira su pellicola. Concepisce il porno non soltanto come sesso filmato ma narrazione fatta di «azione, ca**i grandi, tette grandi, belle ragazze e recitazione».

Burt Reynolds e William H. Macy in una scena di Boogie Nights
Burt Reynolds e William H. Macy in una scena di Boogie Nights

B-movies erotici di carattere alla maniera del nostro Joe d’Amato attraverso cui esplicare la sua anima sognante e indomita da regista hollywoodiano consumato, consapevole però di come il porno e le sue fioche luce non siano altro che una scappatoia, un premio di consolazione al posto delle impossibili e accecanti luci del vero cinema. In pratica il ruolo della vita per Burt Reynolds. Eppure il rapporto tra lui e Anderson fu complicatissimo. Per via della criticità del racconto Reynolds rifiutò il ruolo di Jack Horner non una, non due, ma ben sette volte. Credeva che prendendo parte a Boogie Nights avrebbe perso credibilità agli occhi dei suoi fan affezionati. Anderson non si arrese mai e da buon mastino lo provocò: con quest’energia come Jack Horner sarebbe potuto arrivare sino all’Oscar. La ebbe vinta. Reynolds accettò la parte ma per tutto il resto fu un disastro.

Burt Reynolds e Mark Wahlberg in una scena di Boogie Nights

Sul set arrivarono più volte alle mani. Perfino a fine riprese. Dopo aver visto un cut provvisorio Reynolds andò in escandescenze e licenziò il suo agente per averlo convinto a prendervi parte. Eppure la stima di Anderson nei suoi confronti restò immutata. Gli offrì una parte nel successivo Magnolia ma Reynolds, ancora bruciato dall’esperienza con Boogie Nights, non volle sentir ragioni. Ironia della sorte fu proprio questo malessere a tagliarlo fuori da una vittoria praticamente annunciata come Miglior attore non protagonista. Per l’Academy era lui il front runner. Il suo continuo dissociarsi da Boogie Nights (il Golden Globe vinto finì all’asta quasi dieci anni dopo) spinse i giurati a premiar il comunque ottimo Robin Williams in Will Hunting – Genio ribelle.

Mark Wahlberg in una scena di Boogie Nights
Mark Wahlberg in una scena di Boogie Nights

Quello di Reynolds non fu comunque un caso isolato. Da Albert Brooks ad Harvey Keitel passando per Jack Nicholson, Warren Beatty, Sidney Pollack, Jason Lee, Vincent Gallo, Joaquin Phoenix, furono in tanti a rifiutare Boogie Nights per via della sua criticità narrativa. Chi invece non si fece scoraggiare era Leonardo DiCaprio. Nella testa di Anderson era lui la prima scelta come Eddie Adams/Dick Diggler. Il conflitto di lavorazione con le riprese di Titanic però lo costrinsero a fare un passo indietro. Non prima di consigliare allo stesso Anderson quello che riteneva sarebbe potuto essere il suo sostituto ideale: proprio Mark Wahlberg.

Heather Graham in una scena di Boogie Nights
Heather Graham in una scena di Boogie Nights

Ci furono delle eccezioni comunque. Tipo Jeff Lynne degli ELO – Electric Light Orchestra che inizialmente rifiutò di concedere i diritti di Livin’ Thing alla New Line Cinema per via della tematica trattata salvo poi cambiare idea dopo una proiezione privata. Con William H. Macy fu esattamente come con Reynolds ma a parti invertite: era il suo agente a ritenere spazzatura Boogie Nights, ma non lui. Nemmeno una settimana dopo aver accettato la parte la sua moglie scenica (e attrice porno professionista) Nina Hartley lo trascinò su un set a luci rosse per prepararlo al ruolo.

William H. Macy in una scena di Boogie Nights

Chi riuscì a superare la diffidenza verso lo script (e tra John C. Reilly, Don Cheadle, Heather Graham, Julianne Moore si può dire che furono in tanti) scoprì come Boogie Nights fosse in realtà un’opera dal cuore fragile e delicato. In un’intervista del 1998 Paul Thomas Anderson spiegò come dietro la sudicia patina pornografica il suo film parlasse principalmente di legami, dignità, e ricerca dell’amore: «Si tratta di trovare una famiglia. So che suona un po’ assurdo perché si tratta di porno. Beh, riguarda l’industria pornografica […]. La cosa che mi è davvero piaciuta, e su cui mi sono concentrato, è che si tratta di molte persone che cercano la loro dignità. Cercano di trovare ogni tipo di amore e affetto, e lo trovano in modi fo**uti e contorti».

Mark Wahlberg e Julianne Moore in una scena di Boogie Nights
Mark Wahlberg e Julianne Moore in una scena di Boogie Nights

Le parole non furono chiaramente prese sul serio. Molti si soffermarono unicamente sul grande dono di Eddie/Diggler senza tener conto dell’evoluzione degli archi di trasformazione o della causale emotiva del loro agire. Ogni personaggio di Boogie Nights vive infatti di un’assenza più o meno radicata emotivamente. C’è chi come Eddie/Diggler abbraccia il mondo del porno per scardinare le catene valoriali della propria famiglia borghese perbene; chi come Amber (Julianne Moore) colma l’assenza del figlio biologico attraverso un simulacro simil-incestuoso; o chi come Rollergirl (Heather Graham) vede sublimare le frustrazioni liceali e l’abbandono della famiglia ricercando nel porno riscatto sociale ed auto-affermazione.

Il valore della famiglia di Boogie Nights

Il porno quindi come pretesto narrativo con cui incrociare esistenze altrimenti sperdute che nell’unione con la famiglia Horner vedono compensazione di assenze irrisolte. Anime caratteriali – quelle di Anderson – colorate, complesse e problematiche, che navigano tra le acque tematiche di una narrazione che vive si di giocosità e spensieratezza, ma anche di sudiciume e oscurità. Nel sapore di un sogno americano dissoluto tra il comico-scanzonato e il marcatamente tragico Boogie Nights si sviluppa in costruzioni di immagine prodigiose che nella sensibilità registica di piani sequenza fluidi e trascinanti vede Anderson dar forma ad una narrazione solida su cui vibra, vive, e prospera, l’evoluzione ideologica di un’America che attraverso gli occhi di uomini e donne del porno – e la relativa meta-transizione da b-movie a cassetta – passa dal calore della libertà ribelle dei suoi ruggenti anni settanta all’esplosione di energia industriale degli anni ottanta.

La citazione a Toro Scatenato

Un piccolo grande capolavoro dagli alti intenti autoriali che trova il culmine proprio in un climax sensazionale di rara bellezza cinefila. Un raffinato bricolage narrativo con cui Anderson ricostruisce analiticamente l’oramai mitologica chiusura di racconto di Toro scatenato avvolgendo l’esistenza irrisolta di Eddie/Diggler della tragicità crepuscolare dell’anti-eroe scorsesiano Jake LaMotta. Prima di Magnolia, Il petroliere, Il filo nascosto e Licorice Pizza – che dell’opera in questione suona un po’ come il gemello spirituale – c’era Boogie Nights: opera seconda ma prima per maturità artistica del Paul Thomas Anderson regista raffinato e narratore sublime.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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