ROMA – Ci sono tanti momenti indimenticabili in Salvate il soldato Ryan. L’arrivo solenne della macchina con le persone incaricate di comunicare ad una madre la morte dei suoi figli. La carneficina dello sbarco a Omaha Beach dei soldati americani, un orrore che passa anche attraverso il moto casuale di una pallottola che non risparmia alcuna vita, anche se alle volte può sembrare persino misericordiosa. Infine, la voce del capitano John Miller (Tom Hanks) che spirando sussurra a James Ryan (Matt Damon) «Meritatelo».
Una frase gigantesca che è anche un testamento pesante, un obbligo a vivere la propria vita pensando sempre al sacrificio di quel gruppo di eroi loro malgrado, morti per farlo tornare a casa. Inutile girarci attorno: quando si tratta di far risuonare le corde dell’epos, Spielberg non è secondo a nessuno e, dopo aver consegnato al mondo il suo capolavoro sulla Shoah, Schindler’s List, nel 1998 decide di raccontare ancora la Seconda Guerra Mondiale attraverso una piccola storia all’interno della grande Storia. L’ispirazione per la scrittura di Salvate il soldato Ryan – che potete rivedere su CHILI – arriva allo sceneggiatore Robert Rodat dalla visita a un monumento in memoria dei caduti delle guerre, nel New Hampshire.
Milioni di nomi scolpiti sul marmo e tra questi quelli di otto fratelli morti durante la Guerra Civile. Affascinato e al tempo stesso angosciato dalla scoperta, Rodat inizia una serie di ricerche che lo portano alla lettura del libro D-Day. Storia dello sbarco in Normandia, scritto dallo storico Stephen Ambrose. Tra le pagine è raccolta la storia dei fratelli Niland, così somigliante a quelle immaginate visitando il monumento sulla costa Nord Orientale.
Chi era, dunque, il vero protagonista di Salvate il soldato Ryan? Si chiamava Frederick Niland ed era nato a Tonawanda, nello stato di New York, da una famiglia di origini irlandesi. All’entrata in guerra degli Stati Uniti, come altri suoi coetanei, Frederick e i tre fratelli, Bob, Preston ed Edward, raggiunsero i due fronti principali del conflitto, la Francia e il Pacifico. Edward, creduto erroneamente morto, fu fatto prigioniero in un campo della Birmania, mentre Preston e Bob, invece, persero la vita durante i primi giorni del D-Day. Frederick lo scoprì quando provò a far visita a Bob, assegnato all’82.ma Divisione Aviotrasportata. La notizia arrivò con tutto il suo carico d’angoscia, che sarebbe diventato più pesante alla scoperta del decesso di Preston, a Utah Beach.
Secondo il Sole Survivor Policy, una serie di codici istituiti dall’esercito americano dopo la morte nel ’42 dei cinque fratelli Sullivan durante l’affondamento dello USS Juneau, per proteggere i nuclei familiari impegnati in battaglia, Frederick venne rimpatriato. Fu prima trasferito in Inghilterra e poi negli USA dove avrebbe fatto parte della polizia militare fino al termine della guerra. Rispetto a Salvate il soldato Ryan, quindi, non ci fu alcuna missione di salvataggio, ma la semplice applicazione di una regola stabilita in occasione di una tragedia che colpì molto l’opinione pubblica americana e che fu portata al cinema nel ’44, in piena guerra, con il film La famiglia Sullivan. Anche in quel caso a perdere la vita furono cinque giovani uomini, legati da un vincolo di sangue. Come tanti altri prima di loro.
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