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Un anno vissuto pericolosamente | Mel Gibson, Peter Weir e un grande film da riscoprire

Sigourney Weaver, una Linda Hunt da Oscar e una lavorazione al limite dell’impossibile

Sigourney Weaver e Mel Gibson sul set di Un anno vissuto pericolosamente.

ROMA – Fu un sodalizio breve ma intenso quello tra Peter Weir e Mel Gibson, entrambi australiani ed entrambi con tanta voglia di prendersi il mondo. L’uno, Weir, nato a Sydney e reduce dal successo di Picnic ad Hanging Rock. L’altro, Gibson, nato a New York ma cresciuto a Sydney, fresco del clamore di Interceptor di George Miller del 1979 autentico game-changer del cinema australiano di cui fu volto e corpo di Max Rockatansky. Poi l’incontro, nel 1981: Gli anni spezzati, opera potente sulla campagna di Gallipoli, in Turchia, con l’esercito australiano durante la Prima Guerra Mondiale visto dagli occhi di due ragazzi, due velocisti, con un grande Mark Lee in coppia con Gibson già alla maturazione drammatica. Infine, ecco un capolavoro, completamente inatteso: Un anno vissuto pericolosamente, presentato in concorso al Festival di Cannes del 1982, inizio della fine di un sodalizio strepitoso e di un film che oggi vi racconteremo nella nostra rubrica Revisioni (trovate qui le altre puntate).

Un anno vissuto pericolosamente
Mel Gibson in una scena del film: l’attore aveva 26 anni.

A partire dal titolo, perché Un anno vissuto pericolosamente, tratto dall’omonimo romanzo di C.J. Koch del 1978 – in originale The Year of Living Dangerously, mai pubblicato in Italia – è ispirato alle esperienze di vita del fratello Philip, giornalista australiano vissuto in Indonesia, a Giacarta, nella metà degli anni Sessanta e si riferisce a Vivere pericolosamente, celebre discorso di Benito Mussolini del 2 agosto 1924: «Un filosofo tedesco disse: Vivi pericolosamente. Vorrei che questa fosse la parola d’ordine del fascismo italiano. Ciò deve significare essere pronti a tutto, a qualsiasi sacrificio quando si tratti di difendere la Patria». Un passaggio poi citato dal dittatore indonesiano Kusno Sosrodiharjo, noto come Sukarno, il 17 agosto 1964 nel suo discorso nel Giorno dell’Indipendenza dell’Indonesia. Il romanzo si focalizzava proprio sul rovesciamento del governo Sukarno a seguito del golpe del 30 September Movement (G30S). Era il 1 ottobre del 1965.

Tratto dall'omonimo romanzo di C.J. Koch, il film racconta gli ultimi giorni del governo Sukarno
Gibson con Linda Hunt in una scena del film.

Manco a dirlo con un concept così avventuroso e dal marcato taglio storico-sociale, ci fu la fila dietro la porta di Koch che ebbe l’imbarazzo della scelta nel decidere a chi cedere i diritti di utilizzazione del suo Un anno vissuto pericolosamente. In lista c’era un altro australiano, Philip Noyce, che dopo Newsfront cercava qualcosa dal taglio decisamente più maturo ed esotico. La spuntò però Peter Weir in coppia con l’executive James McElroy – Noyce si rifarà poi con quel cult di Heatwave che lanciò la stella di Judy Davis – ma a dire il vero le cose non filarono proprio lisce. Anzi. Il primo draft di Koch infatti – che si impose da subito come sceneggiatore – non soddisfò pienamente Weir che preferì affidarsi ad Alan Sharp prima e all’usato sicuro David Williamson poi, con cui aveva precedentemente collaborato già per Gli anni spezzati.

Sigourney Weaver e Mel Gibson in una scena de Un anno vissuto pericolosamente
La coppia: Sigourney Weaver e Mel Gibson, ovvero Jill e Guy.

Vennero fuori altre due bozze, titolate semplicemente Vivere pericolosamente, di cui un’ultima che, su ammissione dello stesso Koch: «La paternità dello script finale? Diciamolo pure, 55% Williamson/Weir e 45% Koch». In produzione c’era la Metro-Goldwyn-Mayer che per Un anno vissuto pericolosamente stanziò un budget di 6 milioni di dollari, una cifra che lo rese, a conti fatti, il più costoso (e ambizioso) film australiano mai realizzato. Intenti elevati che trasudano tutti dalle maglie narrative di un’opera che nell’unire giornalismo d’inchiesta d’avventura, un tessuto storico-sociale immersivo e ramificato e un triangolo di amore-e-amicizia lubrificato da pulsioni di desiderio, vede Weir – al sesto film, ma con Picnic ad Hanging Rock già in filmografia – tessere le fila di un neo-noir esotico e tesissimo, codificato di immagini avvolgenti e ombrose di assoluto rigore registico e di quel tipico tocco autoriale capace di far ridere, commuovere e straniare lo spettatore nella stessa sequenza.

«Non è un diavolo dalla lingua d’argento, è solo un tipo un po’ immaturo» disse Gibson del suo Guy

Al centro della scena, Sigourney Weaver – che aveva fatto Alien tre anni prima – radiosa e mai così bella e intensa come Jill Bryant, e Mel Gibson con una mimica acerba e giovanile ma già irresistibile, padrone della scena e della caratterizzazione di un Guy Hamilton reporter senza scrupoli: «Non è un diavolo dalla lingua d’argento, è solo un tipo un po’ immaturo, spigoloso, si potrebbe dire lo stesso di me per certi aspetti». E poi, soprattutto, Linda Hunt straordinaria, da strabuzzare gli occhi. Talmente incisiva come Billy Kwan in Un anno vissuto pericolosamente da portarsi a casa un incredibile Oscar nel 1984 per la migliore attrice non protagonista per un ruolo da uomo, casting che, a conti fatti, sorprese tutti. Weir per primo che in origine aveva pensato ai più quotati Bob Balaban, Wallace Shawn e l’ex-Cabaret Joel Grey per la parte.

Linda Hunt in una scena de Un anno vissuto pericolosamente
Una straordinaria Linda Hunt premiata agli Oscar come miglior non protagonista

«Non avrei mai pensato a una donna come Billy ne Un anno vissuto pericolosamente, ma dopo il provino capii che Linda sarebbe stata perfetta». Per calarsi meglio nel ruolo la Hunt si accorciò i capelli, li tinse di nero, rase a zero le sopracciglia, indossò un’imbottitura intorno alla vita e scelse di portare sempre qualcosa con sé nel taschino della camicia. Del resto la sua interpretazione si sposò pienamente con la caratterizzazione che Williamson, Weir e Koch vollero dare a Billy: «È sovra-personale con strati di ambiguità sessuale». Quasi etereo e senza radici. Il suo Oscar infatti passò per ben due volte alla storia. Non fu soltanto la prima attrice a vincere l’Oscar interpretando un personaggio di un altro sesso, fu anche la prima (e attualmente unica) attrice a vincere l’Oscar interpretando un uomo cisgender.

Un anno vissuto pericolosamente fu presentato in Australia il 17 dicembre 1982
Un anno vissuto pericolosamente uscì in Australia il 17 dicembre 1982

E poi la musica, la colonna sonora, con un ispirato Vangelis del periodo d’oro di Momenti di gloria e Blade Runner (qui per il nostro Longform) e quella meravigliosa L’Enfant, tratta dall’album Opera Sauvage del 1979, dalle note soavi, dolci e orientaleggianti, come filo-conduttore del racconto. Non ultimo la lavorazione. Fu talmente realistica la ricostruzione storica che a un certo punto, a Manila, nel pieno delle riprese, gli animi si surriscaldarono talmente da spingere un gruppo di estremisti islamici alle minacce personali nei confronti di Weir e Gibson: «Non è stato poi così grave», ricordò Gibson. «Voglio dire, abbiamo ricevuto molte minacce di morte, ma ho sempre pensato che se ce ne sono così tante significa che non accadrà nulla. Se avessero voluto ucciderci veramente, perché inviarci dozzine di messaggi e avvertimenti, no?».

In Italia Un anno vissuto pericolosamente arrivò invece il 23 settembre 1983
Mel e Sigourney. In Italia il film uscì il 23 settembre 1983.

In ogni caso fece scuola Un anno vissuto pericolosamente – oggi incredibilmente introvabile in streaming – tanto da dare involontariamente il via a un ciclo di film dalla simile tematica, tra cui citiamo cult senza tempo come Sotto tiro, l’indimenticabile Urla del silenzio, Salvador di Oliver Stone e, non ultimo, Grido di libertà sul compianto Steve Biko. A conferma della valenza e della modernità di un’opera che oggi più di ieri, quarant’anni dopo – in Italia uscì il 23 settembre del 1983 – non smette di stupire per la bellezza delle sue immagini e per la personalità del suo autore, quel Peter Weir che di lì in avanti, tra Witness e L’attimo fuggente, Truman Show e Fearless, saprà imporsi nello spessore del suo eclettismo come un punto di riferimento degli anni Ottanta di Hollywood. Un maestro sempre troppo poco celebrato.

  • REVISIONI | Mad Max: Fury Road, l’odissea di George Miller
  • LONGFORM | L’attimo fuggente, Weir, Whitman e il carpe diem
  • STORIE | Arma letale vs Die Hard, se il Canto di Natale è un buddy-cop

Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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