MILANO – Quindici anni di (500) giorni insieme, quindici anni di quello che per molti è Il tempo delle mele della generazione indie degli anni Duemila, cresciuta tra brani degli Spoon e dei Doves scaricati sui primi iPod e l’amore vintage per i vinili degli Smiths, dei Pixies e dei Clash. E quindici anni di Joseph Gordon-Levitt e Zooey Deschanel che – qualche anno fa – si sono anche ritrovati grazie ad una reunion in cui hanno fantasticato su un immaginario sequel che segua il punto di vista di Summer, per molti ancora oggi l’unica responsabile della rottura del rapporto: «Ma la gente spesso fraintende il film, si pensa che Summer sia cattiva ma lei dice le cose come stanno sin dall’inizio…», confessò l’attrice in quell’occasione.
E se la Deschanel prese (abbastanza prevedibilmente) le difese del suo personaggio, Summer, lo fece però inaspettatamente anche Gordon-Levitt: «Perché la colpa è soprattutto di Tom, perché non ascolta, idealizza ed è egoista, ma per fortuna cresce e matura. Il film è un’autobiografia dello sceneggiatore Scott Neustadter, che disse esplicitamente che si trattava di un’esperienza che aveva vissuto così». Oggi i due attori considerano 500 giorni insieme (lo trovate su Disney+) il punto di svolta della loro carriera: dopo il successo del film di Marc Webb (che sarebbe poi finito a girare The Amazing Spider-Man), Zooey è diventata la star della sit-com New Girl, mentre Joseph ha recitato per registi come Steven Spielberg, Christopher Nolan, Oliver Stone e Robert Zemeckis.
Ma, rivista oggi, qual è il segreto di una pellicola che non ha perso un briciolo della sua freschezza e della sua malinconica ironia? La capacità di trovare gli ingredienti giusti per realizzare un manifesto generazionale (il look dei protagonisti, la colonna sonora, l’estetica indie) e nello stesso tempo riuscire a immergersi nella condizione sentimentale di un ragazzo che vive emozioni e struggimenti universali, dovuti all’inesperienza nei confronti del gioco dell’amore. (500) giorni insieme è il punto di vista di un amore giovane, al di là delle differenze di genere. Perché racconta ciò che capita quando si è ancora convinti che la persona della propria vita sia lo specchio di noi stessi. Oggi forse chiameremmo la situazione di Tom una “friendzone”, e alzi la mano chi non si è mai ritrovato prima o poi nei suoi panni.
«Ci sono due possibilità: o si tratta di un essere malvagio, senza cuore, cinico e di un sadismo monumentale oppure è un robot, un replicante, tipo Blade Runner». Un concetto piuttosto chiaro ed espresso in maniera magnificamente sintetica, che chiunque può aver pensato nei confronti di una persona che non ricambia(va) gli stessi sentimenti. Ritmato, divertente, a tratti struggente, 500 giorni insieme celebra poi il karaoke come luogo di esposizione (e di espiazione) delle emozioni: Summer rimane colpita da Tom dopo che lo ammira scatenarsi sulle note di Here Comes Your Man, ed è sempre Tom a sfogare la frustrazione e la delusione degli eventi urlando a squarciagola le parole di Joe Strummer di Train in Vain dei Clash: «Well some things you can explain away/but the heartache is in me till this day». Perché il mal d’amore è una malattia di cui si conoscono benissimo i sintomi, ma di cui non si troveranno mai i rimedi…
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