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Arma letale o Die Hard? Se un film d’azione diventa la visione perfetta per Natale

E se Martin Riggs, Roger Murtaugh e John McClane fossero davvero (moderni) eroi natalizi?

Un altro Natale: Mel Gibson e Danny Glover con Bruce Willis.

ROMA – Abbiamo due film: in uno un sergente della Omicidi e uno della Narcotici – caratterialmente agli antipodi – fanno squadra per indagare su una prostituta morta. Nell’altro invece, un poliziotto di New York arriva a Los Angeles per salvare il suo matrimonio ritrovandosi – suo malgrado – al centro di un attentato. Vi chiederete: cosa mai avrebbero a che spartire questi due concept con il Santo Natale? Nulla, vi diremmo noi a questo punto, non fosse che stiamo parlando di Arma letale e Trappola di cristallo, meglio noto come Die Hard. Sì, due autentici capisaldi dell’action buddy-cop dal retaggio sfolgorante che tra il 1987 e il 1988 consacrarono le stelle di Mel Gibson, Danny Glover e Bruce Willis. Ma la domanda qui è un’altra: è davvero possibile parlare di film di Natale quando parliamo delle gesta di Martin Riggs, Roger Murtaugh e John McClane? Scopriamolo!

Sì, ci sono anche le magliette.

Facciamo non uno, ma ben due passi indietro. Perché la storia di Arma letale parte da molto lontano. Precisamente da quando lo sceneggiatore, Shane Black, fresco di laurea alla UCLA, lavorò come dattilografo presso un’agenzia interinale. La mansione? Addetto all’inserimento dati per il centro informatico delle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Parallelamente, Black faceva l’usciere in un cinema di Westwood. Nei tempi morti lavorava assieme a Fred Dekker – futuro regista di Scuola di mostri – ad un thriller ambientato in Vietnam, The Shadow Company, una sorta di antenato di Predator. Lo script fece il giro degli Studios. Alla 20th Century Fox non piacque, ma vedevano del talento nella penna di Black. Gli proposero il ruolo di script editor. Rifiutò. Perché? Perché voleva fare cinema, in prima linea. Da sceneggiatore (e un domani, chissà, da regista).

Arma letale vs Die Hard: se il buddy-cop è un film di Natale
Arma letale vs Die Hard: se il buddy-cop è un film di Natale

All’inizio dell’anno successivo, accantonato (in parte) The Shadow Company, Black iniziò a lavorare su un film d’azione: «Un western urbano alla maniera della saga dell’Ispettore Callaghan in cui un personaggio violento, insultato per le sue azioni e per ciò di cui è capace, viene reclutato per essere quello che potrebbe risolvere il problema». Basta? No: «I protagonisti sarebbero poliziotti qualunque. Ragazzi che si trascinano in una città come Los Angeles alla ricerca di qualcosa di nobile come la giustizia, ragazzi in abiti logori che cercano solo di portare a casa uno stipendio». Ovvero l’inizio del viaggio di Arma letale. Un Arma letale ben più cupo però di quello poi reso in forma dal veterano Richard Donner. Basti pensare al climax originale: un camion pieno di cocaina che, esploso, finiva con il nevicare sull’insegna di Hollywood.

Danny Glover e Mel Gibson sono Roger Murtaugh e Martin Riggs

Black odiava quel draft, lo scartò senza pensarci, preferendo lavorarci ancora. Al suo agente però piaceva lo script di Arma letale e provò a proporlo ad alcuni Studios. Tutti risposero picche, perfino la Warner Bros che finirà poi con il produrlo. L’unico che credeva sul serio in quel progetto? Il produttore Mark Canton che intravedeva qualcosa tra le pagine scritte da Black. Dello stesso avviso il produttore esecutivo Joel Silver – di cui, guarda caso, leggeremo più avanti anche per Die Hard – che volle collaborare personalmente con Black nella stesura del draft successivo. Risultato? Script acquistato dalla Warner per 250.000 dollari e inizio di una carriera stellare. Per la regia si pensò a Leonard Nimoy che, in virtù del tono cupo del racconto, preferì continuare a lavorare su quello che sarebbe diventato un altro cult: Tre scapoli e un bebé.

Gli istinti suicidi di Riggs o del lato oscuro di Arma letale
Gli istinti suicidi di Riggs o del lato oscuro di Arma letale

La seconda scelta della Warner corrispose al nome di Richard Donner – reduce da LadyHawke e da I Goonies – che dalla sua, proprio come Nimoy, espresse qualche perplessità sul tono impostato da Black. Chiamò così lo scrittore Jeffrey Boam al fine di addolcire un po’ linee dialogiche e, in generale, alcuni passaggi particolarmente oscuri dello script originale. A questo punto si trattava di dare volto e corpo ai protagonisti di Arma letale: Martin Riggs e Roger Murtaugh. La casting director Marion Dougherty impiegò poche settimane prima di trovare in Mel Gibson e Danny Glover i due interpreti. Li andò a prendere, personalmente, tra Sydney e Chicago per una lettura di prova dello script. Volete sapere com’è andata? Provate a chiederlo a Donner: «Ci sono volute due ore e quando abbiamo finito ero al settimo cielo. […] È stato magico, dinamite totale».

La maglietta dedicata al Nakatomi Plaza.

«[…] Hanno trovato allusioni e risate dove non le avevo viste, lacrime dove prima non esistevano e – cosa più importante – hanno trovato una relazione, tutto in una sola lettura». Dello stesso entusiasmo anche Gibson che di Arma letale ebbe a dire in un’intervista: «L’azione è davvero un’attività secondaria ma che intensifica la storia e la relazione di Riggs e Murtaugh», parole a cui fece eco Glover: «Uno dei motivi per cui ho accettato il progetto? L’aspetto familiare. La possibilità di interpretare relazioni intricate e il sottile umorismo che esiste in ogni famiglia ristretta è stata una sfida intrigante. E poi interpreto un uomo alla soglia dei cinquant’anni. L’amore è minacciato. Il suo risveglio è parallelo a quello di Riggs».

Riggs e Murtaugh alla prova del poligono.

Il resto è leggenda. Presentato nelle sale statunitensi il 6 marzo 1987, Arma letale portò il buddy-cop codificato nel 1982 da Walter Hill e dal suo 48 ore (di cui potete leggere il nostro Revisioni qui) al suo apogeo creativo dosando opportunamente amicizia fraterna, dramma tagliente, una componente action sporca e sudicia come deve essere sempre, e risate, soprattutto le risate. A tal proposito, a detta dello sceneggiatore Jeb Stuart: «Da quando Arma letale è arrivato nelle sale, la commedia è diventata parte integrante del cinema d’azione. Ed è stata una parte importante anche in Die Hard. Quando inviammo lo script a Clint Eastwood ci rispose: Cos’è questo? Ma ci sono delle barzellette qua dentro!». Il viaggio di Die Hard partì esattamente in quel periodo. Non un periodo facile per Stuart.

«Da quando Arma letale è arrivato nelle sale, la commedia è diventata parte integrante del cinema d'azione. Ed è stata una parte importante anche in Die Hard»
«Dopo Arma letale, la commedia è diventata parte integrante del cinema d’azione»

Era in gravi difficoltà finanziarie e alcuni progetti con la Columbia e la Disney non presero la giusta direzione. A quel punto il suo agente, Jeremy Zimmer, contattò Lloyd Levin della Gordon Company, un ramo produttivo della Fox, che propose a Stuart di lavorare sull’adattamento del romanzo Nothing Lasts Forever di Roderick Thorp del 1978 dal concept decisamente particolare. L’idea venne a Thorp nel 1974, dopo aver visto al cinema L’inferno di cristallo. Quella notte sognò un gruppo di assalitori armati che inseguivano un uomo attraverso un edificio: l’originale Die Hard, in buona sostanza. La Fox, che nel 1966 aveva adattato il romanzo precedente di Thorpe (Inchiesta pericolosa) possedeva già i diritti di utilizzazione di Nothing Lasts Forever, dando libertà creativa sterminata a Stuart, o quasi. Aveva solo due condizioni da rispettare: l’ambientazione a Los Angeles e l’atmosfera del Natale.

«Non è Natale finché Hans Gruber non casca giù dal Nakatomi Plaza»

Il motivo? È presto detto. Dopo che si fecero soffiare Black, la sua penna e – chiaramente ex-post – il successo clamoroso di Arma letale (oltre 120 milioni di dollari worldwide), serviva un blockbuster estivo che rappresentasse una risposta produttiva all’altezza e non poteva che essere Die Hard. Presentato al pitch da Stuart come «Rambo in un ufficio», l’idea piacque subito ai produttori esecutivi Lawrence Gordon e – manco a dirlo – Joel Silver che di Arma letale era stato il factotum. Alla regia fu scelto quel John McTiernan fresco del successo di Predator in cui, ironicamente, Black fu ingaggiato come interprete di Rick Hawkins per una ragione: snellire lo script originale di Jim e John Thomas nelle pause dalla lavorazione. Il risultato? Tanto era impegnativo il lavoro sul set che non riuscì a scrivere una riga che fosse una.

Bruce Willis è John McClane in una scena di Die Hard
Bruce Willis è John McClane

McTiernan aveva un’idea ben precisa di Die Hard: «Doveva contenere un po’ di gioia e non semplicemente atti di violenza meschina e gratuita. Un grande thriller che avesse un nocciolo con una grande storia». Qualcosa scoppiò nel cuore di Stuart. Complice una vita coniugale tutt’altro che serena visto il periodo che stava passando, immaginò un tema centrale insolito visto il genere, ma a lui molto vicino: la storia di un uomo che avrebbe dovuto chiedere scusa a sua moglie prima di una catastrofe. Tornato a casa dalla riunione raccontò tutto alla moglie. I due si riconciliarono. Quella notte Stuart scrisse di getto trentacinque pagine su cui modellare il background narrativo-caratteriale dei coniugi McClane, o Ford secondo il primo draft. Il primo protagonista di Die Hard si chiamava infatti John Ford. La Fox si oppose, ritenendo l’omaggio irrispettoso verso il maestro del Western.

«Vieni in California, vedrai che bello, ci divertiremo da matti…»

Scelse così McClane perché credeva fosse un buon nome scozzese forte, di carattere, basato sulla sua eredità celtica. Stuart immaginò la dimensione caratteriale di John McClane come quella di un eroe imperfetto: «Un uomo che impara una lezione nella peggiore situazione possibile, diventando una persona migliore». Gli farà eco, mesi dopo, proprio Bruce Willis che l’anno prima fu in lizza per il ruolo di Riggs di Arma letale e che per McClane fu inizialmente costretto a dire di no causa contemporanea lavorazione di Moonlightning, telefilm che noi di Hot Corn amiamo da sempre, ve lo avevamo raccontato in un TV Column qui.  La gravidanza della partner-in-crime Cybill Shepherd cambiò tutto, lo show fu sospeso per undici settimane e Willis diventò McClane: «Chi è McClane? Un uomo di tutti i giorni catapultato in circostanze straordinarie. Un po’ super-poliziotto, un po’ preoccupato per sua moglie, per la sua vita e che si preoccupa di rimanere in vita».

«Benvenuto alla festicciola!»

Che poi è proprio questa la ragione del successo di Die Hard: un uomo ordinario costretto allo straordinario per dovere, ma soprattutto, per amore. Lo sapeva bene Stuart che, nel puntare i fari sulla riconciliazione dei McClane, trovò la carta vincente che rese Die Hard un successo strepitoso dal retaggio filmico prezioso. Quando fece il pitch del nuovo draft, Gordon e Silver – entusiasti – lo interruppero dopo pochi minuti: «Torna a casa e finisci il draft!». Sei settimane e un Nothing Lasts Forever opportunamente rielaborato dopo – a detta di Stuart il romanzo di Thorpe era troppo triste e nichilista – il draft definitivo datato giugno 1987, o quasi. McTiernan – con il sostegno della Fox – credeva, si, nella visione di Stuart ma riteneva che servisse ancora qualcosa nel fondere al meglio la componente action e quella comedy.

Die Hard, Hans Gruber o del guardare il film dalla prospettiva del cattivo
Die Hard, Hans Gruber o del guardare il film dalla prospettiva del cattivo

Fu ingaggiato lo sceneggiatore Steven E. de Souza che ebbe un’intuizione geniale: avvicinarsi al racconto di Die Hard ribaltandone il punto di vista narrativo, o per dirla in altre parole, come se fosse Hans Gruber (Alan Rickman) il protagonista: «Se non avesse pianificato il furto e fossero stati messi lì insieme, McClane sarebbe andato alla festa e si sarebbe riappacificato, o meno, con sua moglie. La verità è che a volte dovresti pensare a guardare il film attraverso il punto di vista del cattivo che poi, se ci pensi, è colui che sta davvero guidando la narrazione». La Fox ebbe finalmente tra le mani il suo Arma letale. Presentato a Los Angeles il 12 luglio 1988, Die Hard divenne rapidamente un fenomeno mediatico globale incassando oltre 140 milioni di dollari: venti in più del diretto concorrente!

«Stavolta John Wayne non cavalcherà verso il tramonto con Grace Kelly».

Eppure, nonostante la rivalità di due franchise nati da esigenze filmico-produttive ben differenti, c’è come un impercettibile filo conduttore tra Arma letale e Die Hard. Prima che del Natale sullo sfondo infatti ciò che accomuna le sceneggiature è il meccanismo narrativo che fa muovere i personaggi: il senso di riconciliazione, il ritrovarsi. In Die Hard parliamo di una ricongiunzione effettiva: marito e moglie che superano la crisi coniugale rinsaldando l’unità familiare attraverso i gesti eroici di McClane che, pur di tornare con sua moglie (Bonnie Bedelia), sgomina una banda di terroristi. E funziona perché esplicita, dichiarata, sotto gli occhi di tutti, al sapore senza tempo di un cinema lontano e classico.

Die Hard o del Natale come ricongiunzione coniugale
Die Hard o del Natale come ricongiunzione coniugale

In Arma letale invece è più raffinata. Nel climax Riggs fa pace con i fantasmi del passato, elabora il lutto della moglie Victoria Lynn, annienta del tutto gli istinti suicidi aprendo nuovamente il suo cuore all’amore fraterno di Roger e la sua famiglia. È più una redenzione umana frutto di un processo intimo il suo. Lo stesso, per certi versi, che spinge George Bailey (James Stewart) ne La vita è meravigliosa di Frank Capra – il classico di Natale per eccellenza – a non suicidarsi accettando il proprio posto nel mondo dopo la rivelazione dickensiana di un mondo privato dal suo calore. Di riflesso, manco a dirlo, cambia anche il rapporto con il Natale. È sempre sullo sfondo, chiaro – ambo le narrazioni risolvono il conflitto scenico la notte della Vigilia – ma c’è come un sapore diverso nel come viene gestito da Stuart e Black.

Arma letale o del senso del Natale secondo Shane Black
Arma letale o del senso del Natale secondo Shane Black

Per certi versi è come se Die Hard si fosse appropriato del Natale e del suo status di film natalizio. Complice il dibattito creatosi – con tanto di fazioni che vedono McTiernan («Die Hard è senz’altro un film di Natale») e Willis («Per quanto mi riguarda Die Hard è un film estivo con una certa risonanza natalizia a causa del periodo in cui si svolge») agli angoli opposti dello scacchiere dialogico – negli anni ci ha pensato la stessa Fox ad alimentarlo arrivando esplicitamente a definire Die Hard in occasione del trentesimo anniversario così: «La più grande storia di Natale mai raccontata». È tutto frutto di una coincidenza però. Il Natale di Die Hard non è voluto e/o sentito. Nasce solo e soltanto dall’intuizione avuta da Thorpe nello scrivere il romanzo originario, non – per intenderci – dalla volontà dello sceneggiatore e da una sua poetica.

«Adesso ho un fucile mitragliatore. Ho, ho, ho»

Nel caso di Arma letale invece il Natale c’è perché lo ha voluto Black, e non come semplice elemento di contorno. È una costante del suo cinema. Da Last Action Hero a The Nice Guys passando per Kiss Kiss Bang Bang e Iron Man 3, il Natale entra molto spesso sullo sfondo in ogni narrazione di Black per arricchire di senso con le sue atmosfere ora i torbidi intrecci neo-noir, ora il magico senso di incredulità, ora la redenzione degli agenti scenici: «Il Natale per me è una balbuzia nella marcia di tutti i giorni. Un silenzio in cui abbiamo la possibilità di valutare e ripensare alle nostre vite. Tendo a pensarlo come a uno sfondo».

L’omicidio-suicidio di Amanda Hunsaker che apre Arma letale

Un colore filmico che Black notò per la prima volta guardando un grande classico non-natalizio del cinema hollywoodiano: «La prima volta l’ho notato in I tre giorni del Condor di Sidney Pollack, film dove il Natale sullo sfondo, aggiunge una strana controparte all’intreccio da spionaggio. Penso poi che il Natale sia uno spettacolo, specialmente in posti come la Los Angeles di Arma letale dove non è così ovvio e devi scavare (un po’) per trovarlo». Per argomentare il suo punto di vista, Black raccontò anche un aneddoto: «Una notte della vigilia sono passato davanti a un vagone ristorante messicano che serviva tacos e ho visto un filino, su di esso una statua di plastica rotta con dentro una lampadina, della Vergine Maria. Lì ho pensato: è solo un piccolo pezzo nascosto di magia e questa è una città tutta di piccoli spicchi, piccole icone del Natale».

«Il Natale per me è una balbuzia nella marcia di tutti i giorni…»

Badate bene però, non sentirete mai Black usare il termine «Natalizio» per etichettare i suoi film, vi preferirà sempre la locuzione «Ambientati a Natale», ma al pubblico poco importa. Se Die Hard è un classico di Natale moderno – e quella Let It Snow! Let It Snow! Let It Snow!, nei titoli di coda ne va a suggellare, in parte, i dichiarati intenti filmici – lo è, a pari merito, Arma letale dal cuore natalizio forte, pulsante e dolce, che nell’aprire e chiudere il racconto – rispettivamente – sulle note di Jingle Bells Rock di Bobby Helms e I’ll Be Home For Christmas di Johnny Mathis si impone automaticamente come classico di Natale di razza. Un’altra grande (e doppia) storia natalizia del nostro amato cinema.

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Qui sotto potete vedere il trailer di Die Hard a tema natalizio:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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