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Blade Runner | Ridley Scott, un origami e il vero senso del cinema immortale

Harrison Ford e Rutger Hauer, il legame con Shining, il doppio ruolo di Deckard

Harrison Ford e il mito di Blade Runner
Harrison Ford e il mito di Blade Runner

ROMA – Nel 1962, durante le ricerche per l’ucronia The Man in the High Castle/La svastica sul sole, l’autore Philip K. Dick ebbe modo di accedere ad alcuni documenti della Gestapo all’Università di Berkeley. Tra questi si era imbattuto in alcuni diari di membri delle SS (SchultzStaffeln) di insensata crudeltà e privi di empatia umana. Una frase in particolare lo turbò: «Siamo tenuti svegli di notte dalle grida di bambini affamati», al punto da ipotizzare il nazismo come una mente collettiva difettosa, emotivamente imperfetta, di uomini impossibili da classificare come umani. In quel momento scattò qualcosa nella fantastica mente di Dick. Iniziò ad immaginarli come uomini/non-uomini, o per meglio dire Replicanti. E da lì la domanda: Do Androids Dream of Electric Sheep/Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, La risposta soltanto sei anni dopo nel romanzo Il cacciatore di Androidi: l’inizio del viaggio di Blade Runner (lo trovate su CHILI).

I titoli di testa di Blade Runner
I titoli di testa di Blade Runner e la parola: Replicanti

Perché l’idea di un Blade Runner era sempre stata nei piani di Dick. Nello stesso anno pubblicò il saggio Notes on Do Androids Dream of Electric Sheep? contente al suo interno il fan-casting ideale, con Gregory Peck/Rick Deckard e Grace Slick/Rachael, e perfino suggerimenti narrativi al fine di facilitare la trasposizione nei passaggi più oscuri del romanzo. Hollywood non si fece attendere più di tanto. Pochi mesi dopo infatti Martin Scorsese e Jay Cocks vi espressero interesse senza però mai opzionarlo. Cosa che invece fece il produttore Herb Jaffe nel 1971 scritturando il figlio sceneggiatore Robert per lo script. Dick giudicò deludente il lavoro di Jaffe Jr. (una commedia slapstick) al punto da rivelare: «Era orribile. È volato fino a Santa Ana per parlarmi e la prima cosa che gli ho detto è stata: Devo picchiarti qui in aeroporto o dopo nel mio appartamento?».

La Los Angeles del 2019 in Blade Runner
La Los Angeles del 2019

Seguì nel 1977 lo script dell’attore Hampton Fancher. Due draft dalla marcata componente dialogica asciugati del tutto dai significati esistenziali sugli androidi Replicanti (che renderanno poi mitologico Blade Runner) che immaginavano Robert Mitchum/Rick Deckard e Sterling Hayden/Tyrell. Dick li bocciò entrambi, ma lo stile di Fancher piacque al produttore Michael Deeley che come EMI veniva da co-produzioni eccellenti (Convoy, Incontri ravvicinati del terzo tipo) e – in piena Alien-mania – pensò subito a Ridley Scott come possibile regista. Solo che Scott, a quel tempo impegnato nella lunghissima pre-produzione di Dune – e con in mente un adattamento di Tristano & Isotta – declinò l’offerta. Passarono così in rassegna: Michael Apted, Ralph Bakshi, Adrian Lyne e infine Robert Mulligan che effettivamente accompagnò Blade Runner nei primi tre mesi di pre-produzione nel 1980, per poi abbandonarlo: i contrasti di vedute artistiche con Fancher erano continui, contemporaneamente Scott fu colpito da una tragedia.

Lo studio del Dr. Eldon Tyrell in una scena di Blade Runner
Lo studio del Dr. Eldon Tyrell

Il fratello maggiore Frank scomparve nel 1980 all’età di quarantacinque anni per un male incurabile. L’immobilismo di Dune lo mandava ai matti. Sentiva che l’unico modo per superare il lutto era rimettersi a lavorare. Nel febbraio dello stesso anno abbandonò il progetto tra le dune di Arrakis per abbracciare (finalmente) la distopica e cupa Los Angeles di Blade Runner le cui atmosfere marcatamente nichiliste si dice fossero proprio figlie del dolore fraterno. Il problema però era ancora lo script di Fancher. A Scott e Deeley piaceva, e parecchio, ma – e Dick era dello stesso avviso – risultava troppo cerebrale e poco fedele alle Pecore elettriche. Con il coinvolgimento dello sceneggiatore David Webb Peoples, Fancher lavorò per tutto l’anno sullo script fino a produrre ben dieci draft diversi. Arrivati al 15 dicembre 1980, Blade Runner aveva finalmente una sceneggiatura.

Il celebre primissimo piano dell’occhio nella scena d’apertura

Tra le idee scartate dai draft scritti assieme a Peoples c’era il voler mostrare la Battaglia alle porte di Tannhäuser nonché una suggestiva scena iniziale con tre Replicanti in una discarica di terminazione ai confini del mondo. Le idee saranno poi riciclate nello script di Soldier di Paul W.S. Anderson del 1998 che di Blade Runner rappresenta uno spin-off/sidequel. Il protagonista, il sergente Todd/Kurt Russell, è infatti un reduce della famosa Battaglia. Al tempo però Blade Runner non si chiamava ancora Blade Runner, ma Mechanismo prima e Dangerous Days poi. Scott avrebbe voluto intitolarlo Gotham City ma Bob Kane, il co-creatore di Batman, non gli concesse i diritti. Fu così ribattezzato Blade Runner sulla scia del romanzo Medicorriere/The Bladerunner di Alan E. Nourse del 1974 e del susseguente trattamento di William S.Burroughs dal titolo Blade Runner (a movie): da entrambi Scott comprò i diritti del titolo.

Una panoramica della Los Angeles di Blade Runner

Sopraggiunse però un ulteriore inconveniente. Nonostante i 2 milioni e mezzo di dollari investiti (su 15 promessi) la Filmways Productions si ritirò dal progetto per reinvestire il capitale su Blow Out. In meno di dieci giorni Deeley si assicurò investimenti per un totale di 21,5 milioni tramite un triplice accordo con la The Ladd Company (attraverso la Warner Bros), il produttore hongkonghese Sir Run Run Shaw e la Tandem Productions. Dell’inconveniente non fu informato Dick che visse l’esperienza con preventiva sfiducia nei confronti di Hollywood. Ammalatosi gravemente a pochi mesi dall’inizio delle riprese, prima di morire riuscì a vedere i primi venti minuti del film per poi esclamare: «L’ho riconosciuto immediatamente, era il mio mondo interiore, Scott l’ha reso perfettamente». Ora si trattava solo di scegliere il volto giusto per Deckard. Fancher voleva Mitchum, la Warner fece provini ad attori del calibro di Gene Hackman, Jack Nicholson e Clint Eastwood.

Il Gufo-Replicante di Tyrell

A spuntarla fu Dustin Hoffman con il benestare di Scott che vedeva in lui il perfetto Deckard. Dopo mesi di discussioni sulla caratterizzazione da dare al personaggio però, Hoffman si licenziò per divergenze d’opinione con il regista. Si puntò così su Harrison Ford che tra Han Solo di Star Wars (di cui potete leggere qui) e Indiana Jones de I predatori dell’arca perduta (di cui potete invece leggere qui) aveva già inanellato due personaggi iconici, di successo e di spessore. Accettò il ruolo di Deckard perché voleva mettersi in gioco in un ruolo di maggiore profondità drammatica. Alla sua vista Dick si esaltò: «È perfino più Deckard di quanto avessi immaginato, è incredibile. Deckard esiste!». Nonostante l’entusiasmo generale, l’esperienza di Blade Runner fu in realtà incredibilmente frustrante per Ford. Prima dell’inizio delle riprese, la rivista Cinefantastique incaricò Paul M. Sammon di scrivere un numero speciale sulla produzione del film.

Harrison Ford in una scena di Blade Runner
Harrison Ford è Rick Deckard

Tra i contributi c’è una frase detta dal produttore Alan Ladd Jr. che ci restituisce bene l’atmosfera che si respirava sul set: «Harrison non parlerebbe con Ridley e viceversa. Alla fine delle riprese Ford era pronto ad ucciderlo». A Ford piaceva poco lo stile registico di Scott da cui lamentava una certa mancanza d’attenzione e di indicazioni su come caratterizzare il personaggio. Scott, dal canto suo, pensava che Ford fosse talmente rodato da non aver bisogno di suggerimenti, preferendo dedicarsi a Sean Young (Rachael) e Daryl Hannah (Pris) al loro primo ruolo importante. Il grosso dei problemi fu però il perfezionismo di Scott che lo portò più volte a ripetere le scene sino a rendere le giornate di riprese da tredici ore. Quello e la pioggia: cinquanta notti di riprese a pioggia battente. Le riprese si conclusero in modo affrettato. Superata la deadline i fondi sarebbero stati tagliati.

Sean Young è Rachael in una scena di Blade Runner
Sean Young è Rachael

In realtà accadde di peggio. Al momento della firma la Tandem Productions di Bud Yorkin e Jerry Perenchio pose un’insolita clausola di completamento: se le riprese di Blade Runner avessero superato il budget previsto del 10% sarebbe subentrata nel controllo artistico in post-produzione. Il budget, dai 21,5 milioni di dollari previsti, a fine lavorazione recitava 28 milioni di dollari. Yorkin e Perenchio licenziarono Scott e Deeley (per poi riassumerli su intercessione di Ladd Jr.) ma mantennero comunque il controllo artistico. Scott licenziò un primo cut da quattro ore (Workprint Version) ritenuto meraviglioso da chi ebbe modo di vederlo ma incomprensibile e caotico in termini di sviluppo narrativo. Furono così organizzati due screen-test, a conti fatti, disastrosi. Yorkin e Perenchio spinsero così per ridurre il minutaggio a dure ore, far registrare a Ford un voice-over (parecchio) esplicativo di quasi ogni svolta narrativa del film e di aggiungere un lieto fine.

Un altro scorcio della Los Angeles futuribile in una scena di Blade Runner
Un altro scorcio della Los Angeles futuribile di Blade Runner

Per quest’ultimo problema, Scott immaginò una sequenza in auto con Deckard e Rachael in una fuga soleggiata dalla buia Los Angeles da girare tutta in elicottero per dare un’idea migliore dell’unica scena in cui compare la natura, ma ci sarebbe voluto tempo e denaro. Penso quindi di chiedere a Stanley Kubrick (grandissimo fan di Alien) alcuni footage della sequenza iniziale di Shining: gli fece avere settimane di riprese scartate! Con il voice-over invece le cose si fecero complicate, Scott se ne dissociò immediatamente non contribuendo in alcun modo alla stesura dei testi (se ne occupò Roland Kibbee). La cosa inasprì ulteriormente un già infiacchito Ford che anni dopo ebbe a dire: «Quello che ricordo più di ogni altra cosa quando rivedo Blade Runner non sono le cinquanta notti di riprese sotto la pioggia, ma il voice-over. Ero impelagato con dei pagliacci che volevano per iscritto un brutto voice-over dopo l’altro».

Rutger Hauer è Roy Batty in una scena di Blade Runner
Rutger Hauer è Roy Batty

Licenziati due specifici cut, uno per il mercato statunitense (Domestic Cut) e uno ancora più cupo e violento per il resto del mondo (International Cut), Blade Runner arrivò nei cinema il 25 giugno 1982 assieme al contemporaneo fantascientifico La cosa di John Carpenter (di cui potete leggere qui). Due grandi pellicole del loro tempo legate da uno stesso destino: il disastroso risultato al botteghino. Nemmeno due settimane prima infatti (11 giugno 1982) la fantascienza rassicurante e family-friendly di E.T. – L’extra-terrestre (di cui potete invece leggere qui) monopolizzò l’attenzione dell’audience totalizzando quasi 360 milioni di dollari al botteghino. Cifra che annientò il Whodounit alieno carpenteriano, ma soprattutto Blade Runner la cui corsa al box-office si arresterà a 27 milioni e mezzo di dollari così da non riuscire a rientrare nemmeno nei 28 milioni di fine lavorazione.

La Tyrell Corporation in una scena di Blade Runner
La Tyrell Corporation

Il tonfo di Blade Runner fece talmente rumore da generare un eco di perdite ingenti negli anni a venire, come per Scott che dovrà affrontare un decennio buio di ridimensionamento (Legend, Chi protegge il testimone, Black Rain) prima di potersi riaffacciare nel cinema che conta grazie all’on-the-road Thelma & Louise (di cui potete leggere qui), ma soprattutto per le aziende i cui loghi erano stati oggetto di product placement in alcune scene (Atari, Bell System, Cuisinart, Pan-Am, The Coca-Cola Company). Gli unici a non venirne scalfiti saranno gli interpreti: Ford continuerà la sua irresistibile ascesa da icona-pop anni ottanta (Star Wars: Il ritorno dello Jedi, Indiana Jones e il tempio maledetto), Rutger Hauer vedrà l’inizio di un periodo di carriera magico (Osterman Weekend, Ladyhawke, The Hitcher). Lo stesso sarà per Young (Dune, Wall Street) e Hannah (Splash, Crimini e misfatti, Fiori d’acciaio).

J.F. Sebastian e Pris

Eppure, nonostante tutto, quella che chiunque avrebbe indicato come la fine di Blade Runner rappresentò, in verità, il vero inizio del mito di Blade Runner. Un’opera dall’inerzia unica, popolata di magia e mistero. Solo che, a dire il vero, non era esattamente nei piani di Scott realizzare un film esoterico: «È intrattenimento, niente di più. Fantascienza ambientata quarant’anni nel futuro ma che potrebbe accadere in qualsiasi epoca». La sua visione di Blade Runner era quella di un’opera: «Estremamente cupa, sia letteralmente che metaforicamente», asciutta e nichilista. Un noir postmoderno a cavallo tra tradizione e innovazione dove l’anima classica e rigorosa della Golden Age Hollywoodiana di detective e femme fatale rinasce nel segno di un fantascientifico near-future vivido e colorito, su cui far balenare nel buio solitudini hopperiane (I nottambuli) di uomini/non uomini e Replicanti tracotanti, simili a Dei, tutti alla disperata ricerca d’amore e di uno scopo per cui vivere.

L'origami rivelatore in una scena di Blade Runner
L’origami rivelatore: Deckard è umano o Replicante?

E poi una scena in particolare. Tra le sequenze chiave della Workprint Version (poi cestinata da Yorkin e Perenchio) ve n’era una fiabesca e onirica su di un unicorno che corre per i boschi che per Scott aveva una rilevanza cruciale nell’economia del racconto: «Quella ripresa implicava specificamente che a Deckard, volendo io suggerire che fosse un replicante egli stesso, quell’immagine era stata impiantata dalla Tyrell Corporation. Ma ero stato costretto a toglierla. Così una Director’s Cut mi sembrava una perfetta opportunità per reintrodurla, insieme ad altri momenti che pure erano stati tagliati». A dieci anni di distanza dal rilascio in sala, Scott tornò in sala di montaggio sotto la supervisione di Michael Arick licenziando un nuovo cut (Director’s Cut) più fedele e coerente alla visione originale che spazzasse del tutto il disastroso apporto artistico della Tandem Productions (in particolare l’esplicativo e invadente voice-over).

Rutger Hauer in una scena di Blade Runner
«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi»

Intenti di rinascita che troveranno nel 2007 il loro apogeo nella versione definitiva di Blade Runner (Final Cut), su cui Scott ebbe il totale controllo artistico operando alcune migliorie tecniche. Nel suo retaggio quarantennale arricchito da un sequel prezioso come Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve capace di vivere di luce propria pur radicandosi nel riflesso della tradizione, Blade Runner ha saputo crescere nelle zone d’ombra del suo racconto creando suggestione e magia là dove c’erano solo nuvole ed enigmi: come nel caso della progressiva caratterizzazione di Deckard da monodimensionale umano a tridimensionale Replicante. Per un’evoluzione da leggenda, custode al suo interno del segreto della vita, del mistero della morte, del silenzio di Dio, tutte cose «che voi umani non potreste immaginarvi» ma che Scott e i suoi decadenti Replicanti resero un miracolo in forma filmica. Un capolavoro come solo pochi altri nell’ultimo mezzo secolo di cinema.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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