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La cosa | John Carpenter e la paranoia aliena che fece la storia del cinema

L’amore per Howard Hawks, Ennio Morricone, la sfida al botteghino con E.T. – L’extra-terrestre

La cosa | John Carpenter e la paranoia aliena che fece la storia del cinema
La cosa | John Carpenter e la paranoia aliena che fece la storia del cinema

ROMA – In tutto il suo cinema non c’è stato momento in cui John Carpenter non abbia in qualche modo citato Howard Hawks e la sua pesante eredità artistica. In Distretto 13: Le brigate della morte ad esempio – oltre che accreditarsi come John T. Chance come montatore – Carpenter rilesse le dinamiche d’assedio di Un dollaro d’onore privandolo della magia musicale di My Rifle, My Pony & Me e di quella dolce sinfonia d’amicizia, in favore di una dose extra-forte di violenza cruda e amore posticcio. Con Halloween – La notte delle streghe, invece, realizzò l’omaggio definitivo citando La cosa da un altro mondo come il film dell’orrore per eccellenza nella notte di Halloween di Laurie Strode. Non deve stupire più di tanto scoprire però come, fosse stato per lui, non avrebbe mai diretto La cosa (lo trovate su CHILI).

I titoli di testa sulla scia dell’originale del 1951

E non perché non fosse interessato, sia chiaro. Fu il suo amore trascendente per Hawks e il suo cinema a parlare, e pur ritenendo il mostro de La cosa da un altro mondo ampiamente superato (e per certi versi ridicolo), credeva sarebbe stato impossibile eguagliarne il successo: aveva torto! Eppure, nonostante tutta Hollywood sapesse quanto Hawks rappresentasse per Carpenter, non era lui la prima scelta nei piani della Universal (a dire il vero nemmeno la seconda), ma Tobe Hooper che dopo Non aprite quella porta era letteralmente sulla cresta dell’onda (e poi era già sotto contratto). Solo che visione di Hooper non funzionava. Lo script presentato nel 1976 assieme a Kim Henkel riguardava un fantomatico requel comedy-horror de La cosa da un altro mondo da lui definito come: «Un’epopea di azione e avventura spavalda, un moderno Moby Dick ambientato non sull’oceano ma sul fondo del mondo: l’Antartide».

La scoperta dell’astronave aliena

Incontrò talmente poco i favori degli executives Drew Turner e Stuart Cohen che a quel punto non poterono far altro che licenziarlo in tronco. Anni dopo lo stesso Cohen ebbe a dire come: «Abbiamo evitato un disastro. Sarebbe stato uno dei peggiori film mai realizzati». Non proprio. Dalle ceneri di quel disastro di script, Hooper darà vita poi allo spassoso Non aprite quella porta – Parte II del 1986 che solo i vulcanici Menahem Golan e Yoram Globus della Cannon Film ebbero il coraggio di produrre. Smaltita la delusione, Turner e Cohen passarono al piano-b John Landis che però, impegnato com’era tra The Blues Brothers (di cui potete leggere qui) e Un lupo mannaro americano a Londra, preferì tirarsi indietro. Poco dopo, tra il successo di Halloween e The Fog, Carpenter finì con l’avere abbastanza credito dall’essere l’unico candidato possibile (e credibile) alla regia de La cosa.

Norris-Thing!

Non avendo appigli creativi, Carpenter seguì il consiglio di Cohen di partire dal romanzo originale del 1938 di John W. Campbell (Who Goes There?). Cosa che spinse il regista a valutare l’idea di un riadattamento dell’opera originale piuttosto che del diretto remake de La cosa da un altro mondo, e non solo per venerazione/riconoscenza verso uno dei suoi film del cuore. Tra le pagine del romanzo infatti Carpenter colse nella trovata narrativa un evidente parallelismo con Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, da lì l’intuizione: adattarlo sulla base del linguaggio filmico e del tono del (suo) presente. Le dinamiche paranoiche convertite da Hawks in un agire di virile coesione americana in virtù dello stampo socio-politico maccartista della fantascienza del 1951, divenne nel 1982 di Carpenter amplificazione dell’elemento paranoico in una progressiva disgregazione dell’umanità tra percezioni e suggestioni registiche nella cornice di un whodounit innevato di puro orrore sanguinoso e purulento.

Le mutazioni horror de La cosa

Una netta opposizione stilistica e tematica figlia del suo tempo che si tradusse, oltre che in un differente contesto narrativo (l’Antartide di Carpenter/l’Artide di Hawks) e in un approccio alla regia meno limpido, più cupo e claustrofobico, in una morfologia differente per l’alieno: mostruosamente umanoide nel 1951/subdolo mutaforma orrorifico nel 1982. Un processo di ricalibratura filmica a tutto tondo sulla scia di quanto compiuto da Philip Kaufman e W.D. Richter, che nell’adattare Invasione degli Ultracorpi di Don Siegel del 1956 alla contemporaneità del Terrore dallo spazio profondo del 1978, asciugarono del tutto gli intenti da fantascienza sociale per incanalare il racconto verso binari di genere più solidi come il thriller paranoico «alla Alan J. Pakula». Differenti ratio, quindi, per un’opposizione dei La cosa che è celebrazione riflessa della bontà di un concept senza tempo che vive proprio nei punti in comune tra le sfumature di racconto.

Una scena del film

Eppure fu un progetto che non ebbe mai vita facile. Ci fu un punto preciso della pre-produzione in cui La cosa rischiò di saltare. Fu nel 1980, l’EMI Films era sul punto di dare il via alla pre-produzione di El Diablo di cui Carpenter aveva curato lo script. La Universal mise in preallarme Walter Hill e Sam Peckinpah come sostituti. Fortunatamente non se ne fece nulla (per El Diablo ci vorranno altri dieci anni per vederlo al cinema) e La cosa ebbe finalmente il semaforo verde. Lo stesso dicasi per i diritti di utilizzazione economica. La prima volta che sentiamo parlare de La cosa è nel 1976 quando i produttori David Foster e Lawrence Turman suggerirono alla Universal un adattamento del romanzo di Campbell che fosse più coerente rispetto a quello hawksiano. I diritti del remake diretto erano in mano agli sceneggiatori Hal Barwood e Matthew Robbins che però rinunciarono, cedendoli alla Universal.

Dog-Thing

A sua volta però, Wilbur Stark acquistò da tre finanzieri di Wall Street un pacchetto di diritti di remake autorizzato di ben 23 film della RKO Pictures (tra cui La cosa da un altro mondo) in cambio di una percentuale sugli introiti. La Universal dovette intavolare una trattativa con Stark che si accontentò di essere citato come produttore esecutivo in tutte le pubblicità su stampa, i poster, le locandine, gli spot televisivi e nei titoli di coda di ognuna delle 23 produzioni di cui deteneva i diritti. Con un budget di oltre 15 milioni che lo rese, nel 1982, il più costoso film horror di tutti i tempi, La cosa passò per tra le mani dello sceneggiatore Bill Lancaster (figlio d’arte del più famoso Burt) che i primi tempi, quando incontrò Turman, Foster e Cohen, sembrava volessero replicare da vicino l’originale hawksiano piuttosto che dargli una nuova vita creativa.

L'esame del sangue per stanare La cosa
L’esame del sangue per stanare La cosa

Con Carpenter a bordo, invece, tutto cambiò. Le intuizioni narrative delle mutazioni umane dell’alieno, nonché l’identificarne il contagio attraverso gli esami del sangue (cosa che scatenò un intelligente sottotesto legato alla diffusione dell’AIDS), diedero al racconto tensione e realismo orrorifico. Lancaster lavorò soprattutto sui personaggi, perché i 37 del romanzo di Campbell erano pressoché impossibili da gestire. Lì snellì a 12, cucendogli addosso caratterizzazioni semplici, efficaci, ed incisive. Un po’ come il MacReady di Kurt Russell che tra Campbell e Hawks fu descritto come un meteorologo super-competente, e che Lancaster disegnò attraverso questa semplice linea caratteriale: «35. Pilota di elicottero. Gli piacciono gli scacchi. Odia il freddo. La paga è buona». Proprio per la sua aura da Whodounit, Lancaster credeva che non avrebbe mai funzionato l’idea narrativa dell’eroe alla Doc Savage ben delineato sin dall’inizio, ciò a cui puntava era un’armonia caratteriale da cui sarebbe emerso poi l’eroe.

Kurt Russell è MacReady in una scena de La cosa
Kurt Russell è MacReady

Il grosso del problema arrivò nella gestione del climax per cui Lancaster scrisse quattro differenti draft. Nel finale originale sia MacReady che Childs (Keith David) si trasformavano nella Cosa per poi tornare alla civiltà, scelta che però, a detta di Carpenter, suonava troppo Ai Confini della Realtà/The Twilight Zone. In un altro Lancaster immaginava un Alaskan Malamute come quello visto in apertura di racconto, fuggire sullo sfondo della base in fiamme, così da dare al racconto una certa ciclicità narrativa. Ne fu girato uno più positivo, perché a detta del montatore Todd Ramsey il climax nichilista avrebbe avuto poco successo di pubblico, dove il solo MacReady veniva salvato e sottoposto a un esame del sangue in cui non sarebbe risultato infetto. Sembrava tutto pronto per il cut definitivo, quando la produttrice Helena Hacker si fece portavoce del malumore di Carpenter secondo cui nessuno di questi finali risultava abbastanza eroico.

Blair-Thing nel finale de La cosa
Blair-Thing nel finale de La cosa

Si optò così per il finale poi licenziato. Quello dove l’ambiguità traspare in quel confronto faccia a faccia tra MacReady e Childs sullo sfondo della base in fiamme. Un momento intimo, di fiducia e sfiducia, sollievo e paura, dove tutto si gioca nelle intenzioni registiche di un detto/non detto tra una bottiglia di whiskey piena di benzina e il fiato caldo che si condensa nella gelata aria dell’Antartide. Larga parte del retaggio quarantennale de La cosa sta però nella colonna sonora di puro minimalismo elettronico di Ennio Morricone che in realtà, oltre ad aver incontrato poco il favore della critica del tempo (sarà nominata ai Razzie Awards 1983), visse del dualismo con gli intenti di un Carpenter da sempre abituato a comporre la musica dei suoi film: «Morricone ha inciso 20 minuti di musica senza vedere alcun filmato e che potevo usare come meglio credevo».

Una scena del film

Iniziando a lavorarci su in post-produzione, scoprì però come la musica incisa da Morricone poco si prestava al ritmo filmico de La cosa: «Ho tagliato la sua musica e mi sono accorto che in certi momenti non funzionava. Sono scappato di nascosto e ho registrato in un paio di giorni alcuni pezzi da usare. I miei pezzi erano pezzi elettronici molto semplici, quasi dei toni. Non era affatto musica, ma suoni di sottofondo, qualcosa che oggi potremmo perfino chiamare effetti sonori». Ironicamente però, come spesso è capitato nella storia del cinema, il tempo ha ragione su tutto. Una parte delle incisioni di Morricone inutilizzate da Carpenter saranno riciclate da Quentin Tarantino in The Hateful Eight  – che de La cosa è un po’ il gemello narrativo Western – e per cui Morricone vincerà (ancora più ironicamente) l’Oscar alla Miglior colonna sonora 2016, l’unico in carriera.

Kurt Russell nel finale de La cosa
Kurt Russell nel finale de La cosa

Licenziato il cut definitivo, c’era grande fervore e curiosità intorno a La cosa, specie perché fu fatto trapelare pochissimo a proposito degli effetti speciali. Cohen e Foster, agli inizi del 1982, misero insieme una sorta di showreel/long trailer composto principalmente di scene alternative ed estese che enfatizzasse l’azione e la suspense del racconto. I beta-tester reagirono positivamente, tanto che l’executive Robert Rehme confidò a Cohen di avere grande fiducia nel successo commerciale de La cosa, specie perché presupponevano che l’altro asset Universal, E.T. – L’extra-terrestre, fosse destinato ad target di pubblico di bambini/pre-adolescenti: si sbagliarono, e di grosso anche! Da alcune indagini di mercato risultò come l’attrattiva di pubblico degli horror era calata del 70% negli ultimi mesi. Solo La casa, Un lupo mannaro americano a Londra, L’ululato, Il signore della morte/Halloween II e L’assassino ti siede accanto/Friday the 13th Part 2, ebbero vita facile al botteghino nel 1981.

La mutazione più spaventosa de La cosa

Furono drasticamente abbassate le pretese economiche al botteghino. La reazione generale ad E.T. – L’extra-terrestre (di cui potete leggere qui), che al cinema ci arriverà l’11 giugno 1982, indusse Foster a commentare seccamente: «Siamo morti». Con La cosa prevista in sala quasi due settimane dopo, il 25 giugno 1982 (in concomitanza con il Warner, Blade Runner), la Universal corse ai ripari optando per un restyling della campagna marketing e una tagline più accattivante che passò da «L’uomo è il posto più caldo in cui nascondersi» a «Il massimo del terrore alieno» con l’obiettivo di intercettare l’interesse del pubblico di Alien (con cui condivideva la ratio narrativa da whodounit). Carpenter tentò, senza successo, di cambiare il titolo da La cosa a Who Goes There? del romanzo originale fino a una settimana prima dal rilascio in sala. Fu un disastro.

Wilford Brimley è il Dr. Blair in una scena de La cosa
Wilford Brimley è il Dr. Blair

E.T. – L’extra-terrestre e la sua fantascienza rassicurante e family-friendly monopolizzarono l’attenzione dell’audience totalizzando quasi 360 milioni di dollari al botteghino. Cifra che annientò il cupo e distopico La cosa costretto ad un magro incasso di poco meno di 20 milioni di dollari. C’è chi fece peggio però, come il distopico (e mitologico) Blade Runner (di cui potete invece leggere qui) che incasserà appena 27 milioni e mezzo di dollari a fronte di un budget di 28. Il flop commerciale ebbe ripercussioni su tutta la linea. Stark citò in giudizio la Universal per danni e calunnie da 43 milioni di dollari: a suo dire non fu riconosciuto adeguatamente negli accordi di marketing. Carpenter perse l’accordo multi-film con la Universal trovandosi licenziato dalla regia di Fenomeni paranormali incontrollabili (di cui Lancaster scrisse lo script) che passò così nelle mani (meno ispirate ed esperte) di Mark L. Lester.

Kurt Russell in una scena de La cosa
Kurt Russell in una scena de La cosa

Un turning point critico il flop de La cosa, di cui il regista fu pienamente consapevole della portata catastrofica, ma in ogni caso figlio – più che dei demeriti artistici di un’opera invece raffinata e preziosa – della cattiva gestione distributiva di una Universal poco lungimirante e lucida: «La mia carriera sarebbe stata diversa se La cosa fosse stato un grande successo. […] Sono stato chiamato un pornografo della violenza. Non avevo idea che sarebbe stato recepito in quel modo: era semplicemente troppo forte per quel tempo, non ho preso in considerazione i gusti del pubblico». Per Carpenter rappresentò l’inizio di un periodo poco florido in termini commerciali ma ricco artisticamente, popolato di high-concept incisivi, in cui tra Columbia Pictures (Christine – La macchina infernale, Starman) e 20th Century Fox (Grosso guaio a Chinatown) seppe inanellare irresistibili cult movie destinati a riecheggiare per sempre nelle memorie del tempo.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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