in

Rocky | Sylvester Stallone, la sceneggiatura perfetta e l’origine del mito Balboa

John G. Avildsen, Carl Weathers, il caso Chuck Wepner, il cane, Apollo Creed. La storia di un capolavoro

Rocky
Sylvester Stallone nei panni di Rocky Balboa. Era il 1976.

ROMA – Alzi la mano chi conosce Chuck Wepner. È stato un pugile di discreta fama attivo tra il 1964 e il 1978. Lo chiamavano L’azzuffatore di Bayonne, poi diventato Il sanguinante di Bayonne per la facilità con cui si feriva. No, non ebbe mai particolare fortuna. Certo, il suo score realizzativo a fine carriera recitava un totale rispettabile di 51 incontri (35 vinti, 14 persi, solo 2 pareggiati), ma furono proprio le sconfitte a renderlo memorabile. Una, in particolare, divenne iconica: Wepner vs. Ali, 24 marzo 1975. In palio il titolo dei pesi massimi. I bookmakers davano (ovviamente) Ali favorito. E vinse, ma per KO tecnico alla 15ª ripresa. Wepner resistette per quindici round contro il più grande di tutti i tempi. Ora, non chiede come e perché, ma la gloriosa impresa di Wepner colpì talmente Sylvester Stallone da lasciarsene ispirare: il viaggio di Rocky parte esattamente da qui e da qui parte anche la nostra nuova puntata della nostra serie di Longform.

Rocky
Rocky venne presentato a New York il 20 novembre 1976.

Ma facciamo un passo indietro, perché la vita di Stallone prima del successo di Rocky (economico oltre che artistico) non era esattamente tutte rose e fiori. Anzi. Sly lavorava come usciere al cinema Baronet per 36 dollari a settimana con indosso un’uniforme umidiccia, di quelle che poi, sotto i riflettori, sviluppano un odore terribile che rimane sulla pelle per giorni. Cercava di sfondare come attore ma finì con il raccogliere più noie (Italian Stallion – Porno proibito) che gioie (Il dittatore libero dello stato di Bananas, Happy Days – La banda dei fiori di pesco) culminanti in un provino per un ruolo ne Il Padrino (qui per il nostro Longform) che non andò per il meglio. La svolta arrivò però nel 1974 quando, ad un provino, fece leggere a Robert Chartoff e Irwin Winkler lo script di un romanzo in cerca di editore dal titolo Taverna paradiso.

Sylvester Stallone è Rocky Balboa, al pari di John Rambo il suo ruolo più iconico
Sylvester Stallone è Rocky Balboa, al pari di John Rambo il suo ruolo più iconico

«Ho scritto prima il libro e poi lo script, questo molto prima di pensare a Rocky, nel 1974. Ero al verde. Puntai su Taverna paradiso. Quando incontrai Chartoff e Winkler per la prima volta dissi loro: Ho questa sceneggiatura da mostrarvi. Volevano realizzarlo ma l’altro cretino che mi aveva opzionato lo script era talmente odioso che non se ne fece nulla. Uscendo dalla sala mi dissero: se hai qualche idea saremmo felici di esaminarle. Portai loro la storia di Rocky. Quella notte capii che la porta dell’opportunità si era spalancata, non dovevo fare altro che varcare la soglia». Ma badate bene, Stallone non si è mai montato la testa, ha sempre ritenuto la genesi di Rocky un autentico colpo di fortuna. In soli tre giorni buttò giù il primo draft di una sceneggiatura da 90 pagine. Era sua la storia, la sentiva sbocciare, lo stava aspettando.

La scena madre del film: La scalinata di Rocky
La scena madre del film: la scalinata.

A quel tempo il protagonista omonimo di Rocky era ben lontano dal personaggio dolce e amorevole in cerca di riscatto che rese grande quel film. Da intendersi piuttosto come un anti-eroe puro e crudo, cupo, violento, grezzo. Fu la prima moglie, l’attrice Sasha Czack, sua collega ai tempi del Baronet (da quest’unione nacque lo sfortunato Sage, scomparso nel 2012) a consigliargli di addolcirne i lineamenti caratteriali. Ci vide bene. Stallone puntò tutto su Rocky. Sul conto in banca aveva appena 115 dollari e a nemmeno una settimana da quella riunione con Chartoff e Winkler che cambiò per sempre la sua vita, dovette addirittura vendere il proprio cane, Butkus, per soli 50 dollari. Quando giunse quel giorno, successe l’impensabile: Chartoff e Winkler si innamorarono talmente di Rocky da mettere sul tavolo 360.000 dollari immaginando già il volto principe sulle locandine (Robert Redford, James Caan, Burt Reynolds, Ryan O’Neal). Stallone disse di no.

Birillo (Butkus in originale), il cane di Rocky, è il "vero" cane di Stallone
Birillo (Butkus in originale), il cane di Rocky, era il vero cane di Stallone

Era un interprete, era sua la storia, la scrisse per sé: voleva (e doveva) essere Rocky Balboa. Dopo un diniego iniziale accettarono le condizioni poste da Stallone, a patto di non ricevere compenso come sceneggiatore (pur risultando accreditato), come attore ricevette invece 230 dollari a settimana e la prima cosa che fece – manco a dirlo – fu di andare a riprendersi Butkus che si porterà perfino sul set (è lui l’italianizzato Birillo di Rocky). La United Artists avallò l’intera operazione dando il via libera alla lavorazione per una sorta di malinteso. Mike Medavoy era il top man di Los Angeles e adorava il concept, ma per ottenere semaforo verde era necessario convincere il CEO dell’epoca, Arthur Krim. Gli fecero vedere Happy Days – La banda dei fiori di pesco e, per una casualità, confuse Stallone con il biondo del gruppo (Perry King).

«Nessuno è mai riuscito a resistere con Creed, se io riesco a reggere alla distanza, e se quando suona l’ultimo gong io sono ancora in piedi saprò per la prima volta in vita mia che non sono soltanto un bullo di periferia»

Quando si rese conto del suo errore, diversi mesi dopo e a lavorazione già ampiamente avviata, fu tutt’altro che divertito. Stallone protagonista di Rocky (lo trovate su CHILI, Prime Video, Apple TV+) però cambiava e non poco le carte in tavola. In previsione di una star nel titular role la United Artists pianificò un budget da 2 milioni di dollari, con Stallone non solo il budget fu dimezzato, ma Chartoff e Winkler furono intesi responsabili finanziariamente dell’eventuale superamento della soglia: Rocky costerà in tutto 1 milione e 100.000 dollari, e quell’eccedenza fu coperta dai due executives dalle ipoteche accese sulle proprie case. Per la regia, dopo il rifiuto di John Boorman si pensò a quel John G. Avildsen fresco del successo di Salvate la tigre, che tanto credeva in Rocky dall’arrivare a dimezzarsi il compenso in favore di una percentuale dei profitti (incasserà oltre 115 milioni di dollari world-wide).

Sylvester Stallone e Carl Weathers in una scena di Rocky
Sylvester Stallone e Carl Weathers

La collaborazione tra Stallone e Avildsen diede buoni frutti, specie nello smussare alcune caratterizzazioni piuttosto rozze nella sceneggiatura. Fu di Avildsen, ad esempio, l’idea di rendere il gangster Mr. Gazzo (Joe Spinell) una scomoda figura fraterna per Rocky, ma non suo fratello di sangue (come avrebbe voluto Stallone), così da evitare facili accostamenti con Fronte del porto. E fu sempre di Avildsen l’idea di alleggerire un po’ il lato oscuro di Mickey (Burgees Meredith) che in origine sarebbe dovuto essere un razzista violento e Rocky decideva di abbandonare l’incontro clou per ritirarsi a vita privata. I veri problemi però sorsero per il climax di Rocky. Stallone voleva Apollo Creed (Carl Weathers) come vincitore incontrastato, ma Avildsen, in un cut provvisorio per un test-screening, lasciò il tutto in sospeso, quasi mettendo in disparte Adriana (Talia Shire) dal momento in cui la narrazione si concentrò sul match.

In Italia Rocky fu invece distribuito il 25 marzo 1977
In Italia il film fu invece distribuito il 25 marzo 1977

Per poco non vennero alle mani. Lo stesso Stallone però, riguardando la copia preliminare di Rocky, si rese conto che qualcosa non tornava nel rapporto tra il protagonista e Adriana. Fu programmato così un re-shoot agli albori della post-produzione per aggiungere un piccolo (ma prezioso) elemento. Nelle battute finali del film, Adriana entra nell’arena a guardare gli ultimi minuti del match per poi chiamarsi a vicenda, sopra il rumore della folla, per ricongiungersi. In origine Stallone aveva immaginato la sequenza come estesa. Dopo l’abbraccio, Rocky e Adriana si sarebbero diretti verso lo spogliatoio, in campo lungo. Quella sequenza fu girata, ma non venne mai utilizzata. In un cut di prova si resero conto che finiva con lo spezzare il ritmo di montaggio. Un frame di quel momento esteso fu però utilizzato per la locandina ufficiale, ciò che è rimasto ha contribuito alla leggenda di Rocky.

«Adriana!»

Quel grandioso momento di cinema il cui iconico (e urlato) happy-ending pose i sigilli su di una narrazione del più puro e semplice Sogno Americano visto dagli occhi del perfetto outsider: un italo-americano dal cuore d’oro ma dalla vita sfortunata ritrovatosi per puro caso con la chance di salire sul tetto del mondo, praticamente ciò che stava vivendo Stallone nella sua repentina ascesa: «Ho preso la mia storia, la mia frustrazione nel diventare un attore di successo e l’ho iniettata nel corpo di Rocky e nella sua voglia di diventare un pugile, ma la verità è che vorrei poter essere nobile come lui». Uno script perfetto dove tutto – dalla crescita della complicità nel rapporto d’amore tra Rocky e Adriana, ai coloriti allenamenti – funziona spontaneamente, tutto vive di un’inerzia impareggiabile di pura armonia filmica nel suo sviluppo lineare e apparentemente semplice immediatezza.

Rocky: la legittimazione della steadicam di Garrett Brown
Rocky: la legittimazione della steadicam di Garrett Brown

Oltre che per i suoi meriti artistici però, Rocky è riconosciuto come fondamentale pellicola di innovazione tecnologica. Dopo Il maratoneta è da intendersi come la seconda produzione non ufficiale (per la prima chiedere a Questa terra è la mia terra) ad aver legittimato ad alti livelli l’uso della steadicam di Garrett Brown. A quel tempo Brown, che era di Filadelfia, si stava preparando per andare a Los Angeles a cercare di piazzare il suo prototipo. Per impressionare i più esperti addetti ai lavori, chiese alla sua ragazza di correre su e giù per i gradini che conducono poi alla Philadelphia Museum of Art. Diversi mesi dopo, mentre preparava le riprese di Rocky, Avildsen vide il video e pensò che quella sequenza sarebbe stata perfetta per il suo film (e pensò bene!) da quell’intuizione nacque infatti la scena madre del film: La scalinata di Rocky!

Sylvester Stallone e Talia Shire

«Di cosa parla Rocky? Di orgoglio, reputazione, di non essere un altro perdente del quartiere. Il pubblico ha accettato Rocky Balboa come un uomo autentico». Sì, abbastanza dall’arrivare agli Oscar del 1977 come avversario da battere in una cinquina impareggiabile comprendente classici senza tempo come Questa terra è la mia terra, Tutti gli uomini del Presidente, Quinto potere e Taxi Driver. L’opera di Stallone e Avildsen si porterà a casa appena tre Oscar a fronte di dieci nomination, ma tutti prestigiosi: miglior film, regia, montaggio. Di quella sera, che immaginiamo Stallone abbia vissuto come un sogno ad occhi aperti, esiste un curioso aneddoto. Fu John Wayne a dargli il benvenuto nel cinema che conta «Ho visto il tuo film, sei stato molto bravo. Benvenuto nell’industria di Hollywood», l’inizio di un’ascesa straordinaria e di un franchise formidabile destinato per sempre, tra reinvenzioni e innovazioni, alle memorie del tempo.

  • STORIE | Dal Porno a Rocky, 50 anni di carriera per Sylvester Stallone
  • STORIE | Carl Weathers e Michael B. Jordan, alle origini di Creed
  • PREVIEW | Jordan: «Creed III? Un film che parlasse a tutti»

Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

Lascia un Commento

Creed

Carl Weathers, Michael B. Jordan e le origini di Creed. Tra Muhammad Ali e Rocky

Bif&st 2024 | Cortellesi, Garrone e un tributo a Marco Bellocchio: cosa vedremo a Bari?