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Il Padrino | Francis Ford Coppola, Marlon Brando e la storia del più grande film di tutti i tempi

La genesi, Mario Puzo, Al Pacino, gli Oscar, la New Hollywood. Storia di un capolavoro assoluto

Il Padrino e l'intramontabile capolavoro di Francis Ford Coppola
Il Padrino e l'intramontabile capolavoro di Francis Ford Coppola

ROMA – Nove milioni di copie vendute soltanto nel 1969. Il New York Times in totale estasi. Più che un best-seller Il padrino di Mario Puzo fu un autentico evento mediatico. Non ci volle molto infatti prima che le major si interessassero ad una trasposizione cinematografica. A battere tutti sul tempo fu la Paramount Pictures che, nella figura del vicepresidente dell’epoca Peter Bart, giocò d’anticipo opzionando i diritti di utilizzazione anzitempo: ben due anni prima. Nel 1967 infatti, dopo aver letto le prime sessanta pagine dell’opera, a nome della Paramount offrì a Puzo dodicimila dollari e mezzo per finirlo promettendogliene ottantamila se avesse accettato di farne un adattamento cinematografico. Un’offerta che non poté rifiutare parafrasando la frase iconica. Perché Puzo, dipendente dal gioco d’azzardo, era talmente sommerso dai debiti che non poté fare altro che dire di si.

Il Padrino, analisi di un film infinito
Il Padrino, analisi di un film infinito

Nonostante il successo letterario però nei corridoi della Paramount si avvertiva un certo scetticismo. Nemmeno un anno prima infatti il similare ma con molta meno classe La fratellanza di Martin Ritt con Kirk Douglas e Irene Papas per poco non trascinò la Paramount in crisi finanziaria. Fu un flop conclamato. La critica dell’epoca lo stroncò puntando il dito contro il miscasting di Douglas e un racconto ritenuto inverosimile e pericoloso. Al botteghino fu un fiasco totale. Un flop che andò a sommarsi agli investimenti infelici de Operazione crepes suzette, La ballata della città senza nome, e Waterloo. Secondo Robert Evans, l’allora Presidente della Paramount, l’unico modo per evitare che Il padrino seguisse le orme de La fratellanza era di affidarne la regia a qualcuno realmente ispirato da quella materia narrativa. O per dirla con le sue parole: «Che gli facesse sentire l’odore degli spaghetti».

Francis Ford Coppola sul set
Francis Ford Coppola sul set

Il nome in cima alla lista era quello di Sergio Leone. All’indomani de C’era una volta il West (prodotto proprio da Paramount) però il regista del dollaro dovette rifiutare perché impegnato a raccogliere materiale per il suo Il padrino: l’ambizioso C’era una volta in America (che infatti vedrà la luce soltanto quattordici anni e un Giù la testa dopo). Evans passò così in rassegna alcuni dei volti registici più interessanti del tempo: Peter Bogdanovich, Arthur Penn, Elia Kazan, Costa-Gavras, Otto Preminger, Richard Brooks, Fred Zinnemann, Frankin J. Schaffner. Ad un certo si pensò perfino a Sam Peckinpah (qui per leggere di Pat Garrett e Billy Kid) che avrebbe voluto riadattarlo in chiave western. La scelta cadde infine su Francis Ford Coppola. Regista trentaduenne fresco vincitore dell’Oscar 1971 per la Miglior sceneggiatura originale (Patton, generale d’acciaio) che corrispondeva all’ideale di Evans: ambizioso, in ascesa e italo-americano.

il padrino
Foto di famiglia

Eppure, nonostante anni dopo lo stesso Coppola ebbe a dire come: «Nel bene e nel male Il padrino mi ha cambiato completamente la vita», in un primo momento rifiutò l’offerta della Paramount. Seguendo le proprie aspirazioni sperimentali lui e la sua American Zoetrope (con la Warner Bros in co-produzione) erano totalmente immersi nel distopico THX 1138 – L’uomo che fuggì dal futuro di George Lucas (qui invece per leggere di Star Wars). Dopo lo scarso successo commerciale – e ben quattrocentomila dollari di debito nei confronti della Warner però – si rifece sotto su esortazione dello stesso Lucas. Il padrino vide finalmente la luce della pre-produzione ma non esattamente nel migliore dei modi. Quello tra Coppola e Paramount infatti fu un braccio di ferro continuo tra visione registica giovane e tradizionali esigenze produttivo-industriali.

Una delle inquadrature più citate del Novecento al cinema
Una delle inquadrature più citate del Novecento

La Paramount voleva la Saint Louis contemporanea come contesto narrativo (ben più economica). Coppola si impose con la New York degli anni quaranta-cinquanta. E la ebbe vinta. Solo che il budget schizzò alle stelle. E se la cifra stanziata ad inizio lavorazione era di poco più di due milioni di dollari e mezzo, dopo le riprese newyorchesi d’epoca e le continue frizioni in fase di casting (Brando, Caan, perfino Pacino, erano tutte vittorie di Coppola) si arrivò a sette milioni di dollari tondi tondi. Certo, c’è da dire come Coppola rispettò i tempi di lavorazione previsti. Ma con Jack Ballard (il successore di Bart in vicepresidenza) era guerra totale. La Paramount la spuntò però sul tono del racconto. Impose a Coppola infatti scene violente e sanguinose. Come l’esplosione domestica di Connie (Talia Shire), o l’omicidio di Sonny (James Caan) al casello (chiaro omaggio al finale di Gangster Story). Qualcosa che il regista non digerì mai tanto da esser stato sul punto di licenziarsi a più riprese.

il padrino
Marlon Brando e Al Pacino

Una situazione tossica e di difficile gestione ben rappresentata dalle parole del produttore esecutivo Albert S. Ruddy che al riguardo ebbe a dire come: «Penso sia stato il film più miserabile a cui abbia mai preso parte. Nessuno riuscì a godersi un giorno (di lavorazione ndr)». Le pressioni più colorite furono però extra-schermo. Ancor prima dell’inizio delle riprese infatti Frank Sinatra fece pressioni sulla Paramount affinché il personaggio di Johnny Fontane (Al Martino) venisse tagliato dalla sceneggiatura. Sembrerebbe che nel delinearne i contorni caratteriali Puzo si fosse ispirato (per non dire copiato, ma Puzo questo non lo ammette mai) ai rapporti di Sinatra con Cosa nostra. Come se non bastasse Joseph Colombo – il boss della Famiglia omonima – diede inizio a una campagna di boicottaggio nei confronti de Il padrino. A detta di Colombo l’opera di Puzo e Coppola era infatti offensiva verso gli italo-americani raffigurandoli unicamente come delinquenti e mafiosi. Ruddy intervenne di mestiere e le parti giunsero a un accordo: il termine mafia non sarebbe mai comparso su carta né pronunciato dagli attori.

Marlon Brando al trucco. Dietro Francis Ford Coppola
Marlon Brando al trucco. Dietro Francis Ford Coppola

Nel 2007, durante la presentazione de Un’altra giovinezza, Coppola ebbe a dire come il film in questione rappresentasse la naturale prosecuzione di quel percorso di cinema umano e intimo iniziato con Non torno a casa stasera e La conversazione. Il suo cinema. Quello che sognava di fare da cineasta ventenne squattrinato. L’opportunità dell’opera gli ha permesso di entrare in una dimensione nuova. Più industriale, kolossale. Non per questo però meno umana. O per dirla con le sue parole: «Anche se la nostra famiglia non è mai stata gangster […] la vera realtà quotidiana inserita nel film (Il padrino) era basata sulla mia famiglia e su ciò che ricordo da bambino. Non puoi fare film senza che siano personali in una certa misura».

Il Padrino, 1972
Il Padrino, 1972

C’è infatti dell’intrinseca umanità ne Il padrino. A partire dall’apertura di racconto. Quel ritrovarsi in religioso silenzio, avvolti in un chiaroscuro magico, al cospetto di Don Vito Corleone (Marlon Brando). Epico e magnetico. Fisicità prorompente e mimica malformata. Umano nei modi e bestiale nelle parole. Un insito contrasto, quasi come a costruirne un mito demitizzato, che vive di etica mafiosa e amicizia vera, cieca vendetta e carezze al gatto. Cresce così la narrazione de Il padrino nel suo ritmo dosato e mite cucendosi addosso immagini iconiche e indimenticabili. Iconografie della transizione tra passato e presente, Hollywood e New Hollywood. Immagini intense e vibranti che trovano vigore e arricchimento di senso nel respiro solenne e ricercato di una regia sontuosa e curata ma al contempo realistica e senza filtri d’indagine socio-antropologica mafiosa.

Il Matrimonio. Al centro Marlon Brando e Diane Keaton
Il Matrimonio. Al centro Marlon Brando, James Caan e poi Al Pacino e Diane Keaton

Coppola le lascia vivere e fermentare mantenendo l’inquadratura. Addolcendola di delicate dissolvenze. Lasciando che la violenza e il respiro solenne traspaiano dello schermo sino a superare i confini del tempo per cristallizzarsi nella memoria comune. Nonostante la cura delle immagini però è dei suoi uomini che vive la pellicola. Coppola ne dà brevi accenni caratteriali in apertura di racconto per poi sguinzagliarne esplosive e colorate trasformazioni con cui passare tutte le emozioni e pulsioni della natura umana tra affari di famiglia, dinamiche di potere, e punti di vista scenici. E il genio artistico di Coppola del resto: aprire con Don Vito per poi chiudere con Michael (Al Pacino). Coppola gli affida il cuore narrativo de Il padrino. In un’accettazione di sé alla distanza tra Corleone e New York che trova infine cementificazione in un climax iconico.

il padrino
Dietro le quinte del mito

Un’escalation di violenza il cui montaggio alternato ne segna il destino determinandone un nuovo inizio che sa di sanguinosa rinascita (come poi raccontato in Il padrino – Parte II e Il padrino Coda: La morte di Michael Corleone). Esattamente come il cinema moderno americano che in quella porta chiusa dell’ultimo attimo filmico sembra metaforicamente accettare la realtà del cambiamento in atto. Giunto a mezzo secolo di vita Il padrino mantiene intatta la sua aura di capolavoro intoccabile dalla strategica importanza industriale e narrativa. Come ultima opera del cinema moderno americano infatti Il padrino è riuscito a ridefinire la ratio del mob-movie e della sua lunga tradizione hollywoodiana (Piccolo Cesare, Nemico pubblico, Scarface – Lo sfregiato) raccontandocela da un punto di vista inedito, fresco, più umano e tridimensionale, attraverso un linguaggio filmico dal respiro classico con cui dar vita alla prima grande saga della storia del cinema.

marlon brando e al pacino
Padre e figlio

Un bricolage narrativo di suo già brillante e artisticamente dotato che trova potenziamento nella figura del suo autore e nel peso specifico del suo opus filmico. Quel Francis Ford Coppola autentico pioniere del postmodernismo hollywoodiano che – ironicamente – sembrerebbe che avesse pochissima fiducia nel successo de Il padrino: «Ero stato condizionato a pensare che il film fosse brutto. Troppo cupo, troppo lungo, troppo noioso». Agli Oscar 1973 saranno tre vittorie (Miglior film, Miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale) a fronte di dieci nomination. Alla cerimonia sarà regolarmente presente. Le nomination le scoprì invece grazie a sua moglie Eleanor che gli telefonò per congratularsi con lui mentre era immerso nella scrittura della sceneggiatura de Il Grande Gatsby, perché scrivere non è importante: è l’unica cosa che conta.

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