ROMA – Sarebbe dovuto essere un film piccolo Un sogno lungo un giorno per Francis Ford Coppola. Un film di passaggio, specie dopo gli ambiziosi precedenti de Il Padrino Parte I e II e Apocalypse Now, nato da una varietà di influenze e ispirazioni: «I musical degli anni Quaranta e Cinquanta, gli spettacoli di Broadway che ho visto crescendo. Molto influenti sono stati anche i drammi televisivi degli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare quelli diretti da John Frankenheimer», dal budget di appena 2 milioni di dollari. Era questa la cifra che la MGM – Metro-Goldwyn-Meyer aveva messo a disposizione di Coppola e del suo genio creativo per finanziarlo. E invece Coppola lo tenne per sé, lasciando che della produzione se ne occupasse la sua – e di George Lucas – American Zoetrope, mantenendo però gli accordi di distribuzione con la MGM.
Nato come una vivace e misurata rom-com, ben presto Coppola mutò le forme di Un sogno lungo un giorno in qualcosa di più ambizioso, denso e profondo. Qualcosa che appare già evidente nel lungo prologo di presentazione. Cinque minuti in cui Coppola intreccia luci al neon, chiaroscuri, suoni e insegne sulle note delle straordinarie Tom’s Piano Intro, Once Upon a Town e The Wages of Love della colonna sonora firmata Tom Waits e Crystal Gayle, catapultando lo spettatore in una Las Vegas immaginifica, artefatta, ai confini di realtà e finzione, teatro della messinscena di un amore al capolinea. Quello tra Hank il meccanico (un Frederic Forrest intenso, vulnerabile, un burbero dal cuore d’oro) e Frannie l’agente di viaggio (una Teri Garr mai così fragile, aggraziata, tenace e vogliosa di vita) al loro quinto anniversario di relazione.
Non sono sposati Hank e Frannie, non hanno un lavoro stabile, né una casa di proprietà, né tantomeno appare un figlio nel loro orizzonte di vita. Una coppia che va avanti per inerzia quella al centro di Un sogno lungo un giorno, di cui Coppola ci racconta i delicati (dis)equilibri mostrandoceli come anime inconsapevolmente solitarie, scollegate, dall’incedere parallelo. Poi il punto di rottura, l’inizio del viaggio nel mondo straordinario della notte rivelatrice del secondo atto, cristallizzato da Coppola in quel campo lungo di Teri Garr vestita di rosso – una delle tante, bellissime, immagini dalla costruzione filmica variopinta, colorata e ricchissima di Un sogno lungo un giorno – che è separazione di Hank e Frannie verso quei Leila (Nastassja Kinski) e Ray (Raúl Juliá) romantici e malinconici. Lei, donna di circo, lui, ballerino, pianista di piano bar e cameriere all’occorrenza.
Tentazioni seducenti dall’alchimia straripante che ben presto l’incedere della narrazione di Un sogno lungo un giorno finisce con il rendere concrete occasioni di un nuovo inizio: una nuova vita mai realmente acciuffata. Perché tra transizioni sensazionali e passaggi registici fluidi e veloci, Coppola non allontana mai veramente Hank e Frennie, lasciando che le loro orbite vitali si sfiorino per tutto il tempo, fino al definitivo incrocio per strada che è tacito assenso e ribaltamento della percezione. Arrivando così nel terzo atto dove Coppola tira fuori tutta la carica sperimentale di Un sogno lungo un giorno, ora giocando con i topos del cinema romantico tra corse e rincorse d’amore, ora nel classico gesto plateale (regalandoci la più dolce, straziante e stonata You Are My Sunshine mai udita), ora in una disattesa ricongiunzione con uno dei finali più commuoventi della storia del cinema.
E parleremmo oggi di Un sogno lungo un giorno come uno dei più grandi film di tutti i tempi se non fosse per tutto ciò che in termini produttivi e di realizzazione ci ha lasciato. Certo, il pionieristico uso dell’editing video nell’armonizzare le transizioni fece la storia e viene studiato tutt’oggi, ma l’ambizione e la ricerca di nuove forme di sperimentazione – ovvero ciò che rese grande la New Hollywood – spinse Coppola verso un pericoloso passo falso degno dell’isterica follia del peggior Michael Cimino de I Cancelli del Cielo (qui per il nostro Longform). Anziché girare il film direttamente a Las Vegas, Coppola ne fece costruire una sua replica esatta e scintillante direttamente negli studi dell’American Zoetrope. Fu perfino realizzata una replica esatta dell’aeroporto McCarran di Las Vegas. Il risultato? Il budget passò rapidamente da 2 a 26 milioni di dollari!
Questo fece sprofondare l’American Zoetrope in un baratro economico con tutto il personale che finì per lavorare per una cifra ben al di sotto del minimo salariale, e questo mentre Coppola dava le sue indicazioni registiche, da remoto a bordo della Silver Fish. Si trattava di un quartier generale mobile completamente fornito di angolo cottura, macchina per il caffè espresso, vasca idromassaggio e comfort vari. Gli investitori del rifugio fiscale si ritirarono e la MGM finì con il rinunciare ai diritti di distribuzione. In soccorso di Coppola e Un sogno lungo un giorno intervenne il magnate Jack Singer che con le sue Atlas Finance e Realty Corporation fornì loro 8 milioni di dollari che divennero essenziali per portare a casa la post-produzione. A quel punto Coppola organizzò una proiezione di prova con una copia provvisoria nell’agosto 1981 per invogliare i distributori.
Gli unici che si fecero sotto furono gli executive della Paramount Pictures che si fecero onere della distribuzione a partire dall’11 febbraio 1982 con la promessa di sponsorizzare Un sogno lungo al giorno per la corsa agli Oscar. Non la mantennero. Non furono mai davvero convinti del prodotto finito realizzato da Coppola, preferendo concentrarsi sui più solidi Reds e Ragtime. Di parere contrario Coppola che iniziò ad organizzare anteprime stampa per conto suo, senza l’autorizzazione della Paramount. Questo portò a una frattura tra le parti, a cui Coppola riuscì a mettere una pezza accordandosi con la Columbia Pictures a poche settimane dalla distribuzione nelle sale statunitensi: fu un disastro su tutta la linea. Al box-office Un sogno lungo un giorno totalizzerà la misera cifra di poco meno di 640.000 dollari. Per Coppola e la sua American Zoetrope fu l’inevitabile bancarotta e il palesarsi dell’amministrazione controllata.
Una situazione difficile che Singer sfruttò biecamente accaparrandosi all’asta fallimentare gli studi della American Zoetrope per la cifra irrisoria di 12 milioni e mezzo di dollari (furono gli unici offerenti) opportunamente ribattezzati Hollywood Center Studios. Questo spinse Coppola ad andare oltre Un sogno lungo un giorno tanto da pronunciarsi così al riguardo: «Sono sempre stato un po’ deluso da quel film perché volevo davvero renderlo più simile al cinema dal vivo. Per me resterà sempre un esperimento un po’ incompleto. Aveva una musica meravigliosa, canzoni meravigliose, sarebbe bello se alla gente piacesse perché è stato il mio grande fallimento». Inizierà un periodo, i suoi anni Ottanta, ricchissimo in termini artistici (I ragazzi della 56° strada, Rusty il selvaggio, Cotton Club, Peggy Sue si è sposata, Giardini di pietra, Tucker – Un uomo e il suo sogno tutti cult straordinari) ma prolifico per necessità.
Soltanto gli anni Novanta de Il Padrino: Parte III e Dracula di Bram Stoker riequilibreranno la situazione per Coppola. Per Un sogno un lungo un giorno invece, la casualità degli eventi frutto del contemporaneo cambio di paradigma industriale nel passaggio da cinema moderno a postmoderno americano – con la conseguente fine della libertà al potere della New Hollywood – finì con l’accomunarlo ai vari 1941 – Allarme a New York, Shining, The Blues Brothers, I Cancelli del Cielo, Toro Scatenato (qui per il nostro Longform). Tutti sussulti di pura creatività filmica accolti in maniera mista da critica-e-pubblico del proprio tempo e tutti, ironicamente, riscoperti nei successivi quarant’anni come film preziosi, irrinunciabili, pietre miliari entrate di diritto nella storia del cinema
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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