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I Cancelli del Cielo? Kris Kristofferson e il meraviglioso fallimento di Michael Cimino

La fine della New Hollywood, l’articolo di Les Gapay, e quell’insperata rinascita a Venezia

I Cancelli del Cielo e un film da rivalutare
I Cancelli del Cielo e un film da rivalutare

ROMA – Dalle stelle alle stalle, dagli Oscar ai Razzie. In poco meno di 2 anni Michael Cimino vide dissolvere la propria reputazione e fama. Tra il 1978 e il 1980 riuscì a passare da new-sensation, nonché folle simulacro della New Hollywood rampante, vincente e creativa, ad autore scomodo e maledetto, perfino un investimento pericoloso. Il motivo di un cambiamento così repentino? L’impatto produttivo avuto da I cancelli del cielo del 1980, l’ultimo giro di Walzer, il punto finale della New Hollywood. La terza regia di Cimino vive da quarant’anni con la nomea di cult maledetto per eccellenza. Ebbe infatti il triplice (de)merito di: stroncare del tutto la carriera del Cimino autore visionario, causare il fallimento della United Artists, per poi porre la definitiva pietra tombale sulla libertà creativa new-hollywoodiana.

Isabelle Huppert e Kris Kristofferson in una scena de I cancelli del cielo
Isabelle Huppert e Kris Kristofferson

Ragion per cui, se tra cinefili di razza vi è una certa discordanza di opinioni su quale film abbia effettivamente inaugurato la New Hollywood (Il laureato, Gangster Story, Quella sporca dozzina, Nick Mano Fredda, Easy Rider), lo stesso non può dirsi sulla sua fine ricondotta in via del tutto unanime all’opera di Cimino. Del resto, che Cimino fosse una personalità geniale ma decisamente controversa, era già chiaro dalla lavorazione de Il cacciatore del 1978 (lo trovate su CHILI). Il suo capolavoro. Agli Oscar 1979 si presentò come candidato da battere, tornandosene a casa con cinque statuette tra cui Miglior film e Miglior regia: manifesto totalizzante della libertà creativa della New Hollywood al pari del coppoliano Apocalypse Now dell’anno successivo e della sua poetica registica, ma dalla pre-produzione criminale. La paternità dello script, ad esempio, portò a una diatriba con il co-autore Deric Washburn poi risolta dall’arbitrato della Writer’s Guild.

Immagini come quadri in movimento

Sequenza come quella del prologo-esteso del matrimonio ortodosso, presentata in pre-produzione di appena 20 minuti, divenne in post-produzione di quasi un’ora. Ciliegina sulla torta, il montatore che lavorava su ordine degli executive della Universal Pictures dopo il mostruoso first cut da 3 ore e mezza (ritenuto invendibile dai produttori) fu licenziato in tronco da un Cimino che avrebbe fatto valere il final cut privilege ad ogni costo. Il cacciatore risultò infine un successo di critica e pubblico, un capolavoro da Oscar, ma a conti fatti la Universal ha rischiato il tracollo in più occasioni, nello specifico: ad ogni potenziale imprevisto di una sequenza estesa. A circa un terzo del film Cimino aveva già superato largamente il budget consentito di 8 milioni e mezzo di dollari: la Universal ne spenderà in tutto poco meno del doppio, 13. Con I cancelli del cielo saprà superarsi.

L’avvento della civilizzazione, uno degli elementi alla base della narrazione

7 milioni e mezzo di dollari di budget, 44 spesi a fine lavorazione. Costi sestuplicati. A conferma di come, con una simile metodologia produttiva, se la Universal riuscì a schivare il colpo e a portare a casa il risultato, per la United Artists – come per chiunque al loro posto – fu praticamente impossibile evitare il cataclisma finanziario. I primi vagiti creativi de I cancelli del cielo risalgono al 1971. All’epoca, l’opera di Cimino s’intitolava The Johnson County War. Soggetto di chiaro stampo storico incentrato tutto su un episodio risalente all’indomani della guerra di secessione tra coloni immigrati e mercenari al soldo degli allevatori. È proprio in questo periodo che si incrociarono le strade di Cimino e United Artists per la prima volta. Cimino lo propose come prima regia salvo poi ripiegare su Una calibro 20 per lo specialista (di cui la United Artists curò la distribuzione).

The Johnson County War: il soggetto originale de I cancelli del cielo
The Johnson County War: il soggetto originale

Otto anni dopo e con Il cacciatore prossimo a diventare tra i capolavori della decade, la United Artists, che nel frattempo aveva inanellato una serie di successi importanti (Un uomo da marciapiede, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Rocky, 007 – Moonraker, Manhattan), colse l’occasione e ingaggiò Cimino per quello che sembrava essere il suo prossimo successo. Presentatosi al colloquio con in mano un ipotetico remake de La fonte meravigliosa con Robert Redford come protagonista – giudicato però poco allettante dai produttori – Cimino giocò d’anticipo e piazzò la zampata. Ripropose infatti il vecchio The Johnson County War con alcuni accorgimenti stilistici e un nuovo titolo: I cancelli del cielo. La United Artists pensò di aver fatto il colpaccio, specie perché tra gli ingaggi di Kristofferson, Walken, Cimino e la sceneggiatura, andarono via giusto un paio di milioni. Le problematiche iniziarono però con la scelta del volto di Ella Watson.

Kris Kristofferson è James Averill in una scena de I cancelli del cielo
Kris Kristofferson è James Averill

Nei piani della United Artists il ruolo sarebbe dovuta andare ad un’attrice di primissima fascia. Proposero la parte a Diane Keaton e Jane Fonda: entrambe rifiutarono. Cimino puntò i piedi per avere un’ancora giovane (ed acerba) Isabelle Huppert che dal canto suo parlava un inglese stentato ed era l’antitesi di tutto ciò che stavano cercando i produttori. Nonostante il veto della United Artists ottenne la parte per volere di Cimino: l’inizio della fine per I cancelli del cielo. Durante la lavorazione emerse infatti il Cimino problematico de Il cacciatore ma elevato all’ennesima. Il budget aumentò a 13 milioni. Dal set risultò come, nei primi sei giorni, Cimino fosse già in ritardo di cinque sul piano di lavorazione: in quasi una settimana aveva dilapidato un milione di dollari per un minuto scarso di pellicola. Un rallentamento catastrofico frutto di continui accorgimenti minuziosi che andavano dalle istruzioni alle comparse, a set costruiti/demoliti/ricostruiti.

Passi di danza nella Heaven’s Gate

Il risultato di un simile ritmo lavorativo fu che, tra una scena e l’altra de I cancelli del cielo, John Hurt ebbe modo di lavorare a The Elephant Man, portando a casa il ruolo che gli varrà l’immortalità artistica. Era evidente come la lavorazione stesse prendendo una bruttissima piega. Specie perché i costi stavano lievitando sensibilmente aggirandosi intorno ai 20 milioni di dollari. Cifra consistente, per carità, ma sempre contenuta. In fondo parlavamo del neo-Miglior regista per l’Academy. I produttori, che nel frattempo lavoravano a fari spenti su alternative come David Lean e Norman Jewison, non misero in conto del come Cimino avrebbe reagito a simili critiche. Dinanzi alla sfiducia generale blindò il set alla produzione e alla stampa. Una situazione di folle impasse dove, nel giro di qualche settimana, il budget schizzò a 50 milioni di dollari: era già il più costoso film di sempre.

Uno scorcio d’acqua nella selvaggia Casper (Wyoming)

I cancelli del cielo stava sempre più assumendo le forme di un meteorite produttivo pronto a trascinarsi dietro chiunque e qualsiasi cosa nella sua caduta a strapiombo. Se ne rese conto lo stesso Cimino che, trovandosi con le mani legate, scese a patti con la produzione: rinunciò al final cut privilege, aumentò il ritmo di lavoro e iniziò a rispettare le scadenze del piano giornaliero. Nel momento di ritrovata fiducia generale però, accadde qualcosa. 2 settembre 1979. Sul Los Angeles Times apparve un articolo (Shoot-Out at Heaven’s Gate). Les Gapay, l’autore dell’articolo, era riuscito a farsi scritturare come comparsa. Ne emerse un ritratto spaventoso del regista premio Oscar: genio folle, megalomane schiavista dalla triste nomea di Ayatollah. Era la fine per I cancelli del cielo. Conclusasi la lavorazione nel marzo 1980, a tre mesi di distanza l’opera non era ancora stata visionata dalla United Artists.

La raffinata composizione di immagine ne I cancelli del cielo
La raffinata composizione di immagine ne I cancelli del cielo

Cimino licenziò un primo cut provvisorio di cinque ore e quarantacinque minuti, ridotti poi a cinque e mezzo dopo alcuni tagli. Gli executives gli posero un ultimatum: «O un final cut da 3 ore o il film lo monta un altro». Cimino si trovò così costretto a rispettare gli accordi giungendo infine ad un compromesso: 3 ore e mezza. Nel novembre dello stesso anno si consumò il massacro collettivo a opera della critica statunitense. All’anteprima nazionale ci andarono giù pesantissimo dissanguando con recensioni affilate come lame il già traballante risultato ottenuto. Cimino chiese alla United Artists di salvare l’opera. Propose così di congelare il rilascio in sala e di rimescolare il cut (appena) licenziato, in modo che risultasse più snella e fruibile. La United Artists accettò ma la critica statunitense ne mise in dubbio la mancanza di coraggio.

Uomini e donne della Heaven’s Gate

Fu licenziato un terzo cut da 2 ore e 40 minuti (quello ufficiale) che a conti fatti snaturò l’essenza stessa del concept risultando, ironicamente, ancora più insoddisfacente. Le recensioni non mutarono il giudizio, in sala fu disertato, la perdita era di 44 milioni di dollari: un disastro. Nonostante le difficoltà e la messa in croce della stampa – quasi come fosse uno scherzo del destino – nello stesso giorno in cui la United Artists dichiarava bancarotta I cancelli del cielo veniva presentato a Cannes33 incontrando i favori di critica e pubblico: l’ennesimo evento infelice capitato a un’opera, si sbilenca e prodotta nel caos totale, ma che deve molta della sua sfortuna a cattivo tempismo e a una stampa inutilmente polemica, perché i meriti artistici de I cancelli del cielo ci sono, e sono molteplici. Non ultimo l’inerzia di una narrazione sulla scia della vita in one-shot de Il cacciatore.

Christopher Walken è Nathan D. Thompson in una scena de I cancelli del cielo
Christopher Walken è Nathan D. Thompson

Il Vietnam come agente disgregatore della linfa vitale di uno speranzoso sogno americano di russo-statunitensi di seconda generazione, lascia così il posto agli albori della civilizzazione a stelle e strisce. Un salto all’indietro di quasi un secolo con cui Cimino, nell’alleggerire I cancelli del cielo delle complesse (e più attrattive) componenti sociali del Vietnam americano, arricchisce il racconto di un atto sociologicamente e narrativamente sacrilego: smontare il topos del sogno americano dei grandi pionieri dalle fondamenta. Gettando i suoi protagonisti in un tripudio di cruda violenza e prevaricazione sociale verso il più debole e lo straniero, Cimino dà forma a un meticoloso e colorato contro-sogno americano che è demitizzazione della Frontiera e, al contempo, decostruzione del Western come «genere americano per eccellenza».

Rileggere il Mito della Frontiera

Immagini di fucilate e razzie, tentati stupri e lotta di classe, dalla natura geometricamente perfetta, lasciate vivere nella fotografia di un Victor Zgismond ispirato negli esterni di malinconiche albe e negli interni di fiabeschi chiaroscurali che è pura poesia di dolore dalla regia rigorosa ma fine a sé stessa. L’insormontabile bellezza delle immagini de I cancelli del cielo finisce quasi con l’offuscare la trasformazione degli archi narrativi il cui sviluppo appare, a dire il vero, poco armonico e rarefatto, come a dissolversi gradualmente nella moltitudine di eventi a cui Cimino mette di fronte lo spettatore. Ed è proprio questo il bello. Con il suo stile magnificentemente postmoderno, Cimino articola un linguaggio filmico nel tempo e fuori dal tempo che finisce con l’intessere un racconto di base new-hollywoodiano ma che per tempi, ritmo e montaggio, riecheggia ai più puri kolossal del cinema moderno americano.

I fiabeschi chiaroscurali della fotografia di Victor Zgismond

Un’inerzia strutturale tipicamente ciminiana che se ne I cancelli del cielo salta all’occhio per via della sua natura narrativa e produttiva disequilibrata, ne Il cacciatore è già lì, ben mascherata (e meglio gestita), dalle abbaglianti performance di attori di razza come Robert De Niro, Meryl Streep, John Cazale, Christopher Walken e John Savage. Sui vari montaggi de I cancelli del cielo s’è discusso per decadi, al punto da ritenere la versione da 219 minuti fosse quella definitiva mentre quella da 149 una barbara imposizione della United Artists. In realtà sembra che fossero state volute entrambe da Cimino, chiusosi negli anni in un doloroso silenzioso. Questo fino al 2012. Anno in cui Cimino presentò a Venezia69 un nuovo (e definitivo) cut de I cancelli del cielo. Saranno applausi e lodi anche da parte di quella critica specializzata resasi più mansueta e comprensiva nei suoi confronti: Cimino vide finalmente riabilitato il suo nome.

Jeff Bridges, Isabelle Huppert e Kris Kristofferson in una scena de I cancelli del cielo
Jeff Bridges, Isabelle Huppert e Kris Kristofferson

Quarantadue anni e un retaggio scomodissimo dopo, è evidente come, al di là dell’atteggiamento problematico del suo autore, I cancelli del cielo sia stato semplicemente vittima degli eventi. Il fallimento simultaneo di una United Artists già in crisi ha finito con gli amplificarne gli effetti devastanti sulla sua nomea, ma è un falso storico ritenere il solo I cancelli del cielo come la causa principale della fine della New Hollywood. In quel biennio infatti furono tante le opere che incisero sulla famigerata transizione produttivo-industriale (Reds, Shining, Toro scatenato). Cimino fu solo il più ambizioso, quello che spinse sull’acceleratore più degli altri. Il cinema stava semplicemente cambiando pelle. Le ambizioni registiche, le necessità produttive, un nuovo pubblico a cui rivolgersi, la New Hollywood era ormai in rotta di collisione. Serviva un nuovo paradigma industriale in grado di garantire maggior disciplina, velocità d’intenti, e un approccio produttivo unitario.

L’alba di un nuovo cambiamento

Non è un caso se nei favolosi anni ottanta sarà proprio il regista veloce Steven Spielberg ad imporsi come costruttore di immaginari tra I predatori dell’Arca Perduta (di cui potete leggere qui) ed E.T. – L’extra-terrestre (di cui potete invece leggere qui). Dal canto suo I cancelli del cielo è stato unicamente il tonfo che ha fatto più rumore e più eco, il pretesto del cambiamento. Per questo l’opera di Cimino non va osteggiata, bensì studiata, compresa e infine preservata nelle memorie del tempo.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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