ROMA – Dopo l’inaspettato successo finanziario e l’incredibile impatto culturale avuto da Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza nel 1977, George Lucas si rese immediatamente conto che un sequel del film non solo sarebbe stato necessario, ma avrebbe dovuto superare la portata filmica dell’originale in termini ora produttivi ora narrativi. E lo sarà Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora, risultando ancora oggi, a quarantaquattro anni di distanza da quel 17 maggio 1980 che lo vide distribuito nei cinema statunitensi, l’Episodio più incisivo della saga. Quello dall’intreccio più solido, dalle caratterizzazioni meglio definite, dai momenti topici più emozionanti («No, io sono tuo padre!» è forse la sequenza più citata e imitata di sempre ndr), oltre che quello meglio scritto. L’unico problema è che Lucas, dopo la disastrosa esperienza registica sul set di Episodio IV, era riluttante (eufemismo!) al solo pensiero di dirigere il sequel.
La verità è che Lucas credeva talmente poco in Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza da scegliere di andarsene in vacanza alle Hawaii assieme alla moglie Marcia e l’amico Steven Spielberg (con lui Amy Irving) il giorno della prima al Chinese Theatre di Hollywood. Preventivò talmente l’ipotesi del fallimento da incaricare Alan Dean Foster di scrivere lo script di un ipotetico sequel dal budget irrisorio. I 79 milioni di dollari al botteghino di Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza decisero diversamente. Quello script, però, non fu cestinato, divenne un romanzo dell’Universo Espanso dal titolo La gemma di Kaiburr, del 1978. Per Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora serviva qualcosa di grandioso che la LucasFilm dell’epoca non avrebbe potuto minimamente realizzare. Prese così in considerazione l’idea di vendere il concept alla 20th Century Fox in cambio di una percentuale sugli incassi.
Di base, Lucas avrebbe voluto semplicemente campare di rendita con gli introiti ottenuti da Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza, ma sapeva perfettamente quanto quella «Galassia lontana lontana» facesse parte del suo Io più profondo. Scelse così di prendere parte al processo creativo come produttore e sceneggiatore, con la consapevolezza, però, che Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora avrebbe esplorato temi e relazioni più maturi, oltre ad ampliare il concetto e la natura stessa della Forza. Utilizzò 12 milioni di dollari derivanti dall’Episodio precedente per trasferire ed espandere la sua società di effetti speciali, la Industrial Light & Magic, e fondare il famigerato Ranch Skywalker nella contea di Marin (California) con il resto, come garanzia per un prestito ottenuto dalla Bank of America per il budget di 8 milioni di dollari del film. La Fox ebbe il diritto di prelazione sul sequel.
Le trattative per la pianificazione di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora iniziarono a metà del 1977 con la Fox che concesse a Lucas il controllo del merchandising e quello creativo della saga in cambio del 50% dei profitti lordi sui primi 20 milioni di dollari incassati e del 77,5% se il film avesse superato i 100 milioni di dollari al box-office. Una trattativa veloce, perché Alan Ladd Jr., dopo il successo di Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza, non vedeva l’ora di dare il via alla pre-produzione. Il risultato? Oltre 540 milioni di dollari al botteghino. Un risultato sensazionale che un po’ fa sorridere se pensiamo che all’epoca, a conti fatti, davvero in pochi (forse il solo Ladd Jr.) ci credettero. Per mitigare parte del rischio, Lucas fondò la The Chapter II Company in modo da poter gestire al meglio il controllo creativo del film.
Una scelta di parole niente affatto casuale. Prima ancora di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora, il titolo provvisorio con cui il sequel di Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza fu presentato fu (letteralmente) Star Wars: Chapter II. E quindi l’ingresso in scena dellolo scenografo Norman Reynolds, del consulente John Barry, del truccatore Stuart Freeborn e del primo assistente alla regia David Tomblin. Allo storyboarding ancora Ralph McQuarrie e Joe Johnston in modo da mantenere la coerenza visiva con Episodio IV. I tre lavorarono da subito alla resa per immagini della battaglia sul pianeta Hoth. Per la regia, Lucas volle qualcuno che supportasse il materiale ma che accettasse che sarebbe stato sua la parola finale. Si fecero subito i nomi di Alan Parker e John Badham prima che, nel febbraio 1978, Irvin Kershner non salisse a bordo del progetto, non senza qualche perplessità.
Credeva, infatti, che se il film avesse fallito nei suoi intenti artistici e commerciali, è a lui che avrebbero subito attribuito la colpa. Lucas lo convinse, lo fece restare, promettendogli che avrebbe potuto realizzare il film a modo suo. Kershner rimase strabiliato quando scoprì la visione di Lucas per il sequel. Immaginò, infatti, Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora non come un semplice sequel ma come un nuovo capitolo di una storia più ampia. Laddove, infatti, Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza fu concepito come uno stand-alone fatto e finito. Una storia semplice, diretta, che va dritta al punto, ma unitaria, per Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora l’intenzione era quella di renderla come la prima parte di qualcosa di più. E ci riuscì, tanto da aver ridefinito il concetto stesso di Capitolo di mezzo di una trilogia cinematografica.
La scrittura di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora si caratterizza, infatti, per la sua capacità di gestione degli archi narrativi come pochi film dell’epoca. In fondo, fu una scelta coraggiosa quella di dividere il gruppo di eroi, di farlo viaggiare su due differenti linee narrative – uno su Dagobah (Luke Skywalker, R2-D2), l’altro in fuga dall’Impero per poi arrivare nella Città delle Nuvole del pianeta Bespin (Han, Leia, Chewbacca, C3-PO) – armonizzati da un montaggio alternato morbido che va a comporre una space opera dal ritmo teso e avvolgente. Ma soprattutto, la vera innovazione di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora sta nell’evoluzione caratteriale dei suoi agenti scenici. Netta, colorita, nella composizione interiore e nella rappresentazione esteriore, eppure lasciata volutamente sospesa in attesa della risoluzione definitiva di Star Wars: Episodio VI – Il Ritorno dello Jedi del 1983, di Richard Marquand.
Prima di tutto questo però, ci fu una lunghissima pre-produzione. Perché i primi germogli creativi di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora risalgono all’estate del 1977 con Lucas che immaginò da subito la figura dell’Imperatore e di una presunta sorella scomparsa di Luke (che Hamill capì subito essere Leia). Si trovava in difficoltà però. Se per Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza, Lucas poté attingere al suo immaginario di visioni e letture, passando da Flash Gordon ad Akira Kurosawa, per Episodio V si trattava di ramificare quell’universo narrativo in modo originale. Assunse così quella Leigh Brackett stretta collaboratrice di Howard Hawks negli anni d’oro di Hollywood – oltre che leggendaria scrittrice di romanzi fantascientifici – che oltre a dare ritmo dialogico allo script, immaginò una trama centrale integrata da tre sottotrame principali, disposte tutte su 60 scene, 100 pagine e una durata di due ore.
Tra le sue intuizioni citiamo: l’Imperatore Galattico (già immaginato da Lucas ma a cui lei diede sostanza), il pianeta natale dei Wookie, un giocatore d’azzardo ambiguo proveniente dal passato di Han (Lando Calrissian), pianeti acquatici e urbani (Dagobah e Bespin), la sorella gemella di Luke e una minuscola creatura simile a una rana ma dotata di Forza: Minch Yoda. In quello stesso periodo, l’executive Gary Kurtz modificò il titolo da Star Wars II al definitivo L’Impero Colpisce Ancora. Nel febbraio 1978, Leigh Brackett produsse il suo primo draft ufficiale contenente al suo interno anche La città delle Nuvole, l’inseguimento tra lo sciame di asteroidi, la battaglia di Hoth, il triangolo amoroso tra Luke, Han e Leia e il duello culminante tra Darth Vader e Luke. In questa versione di Episodio V, però, Vader non era ancora il padre di Luke e Lando Calrissian era un clone della Guerra dei Cloni.
E forse sarebbe andata così per Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora se la Brackett, affetta da un cancro in fase terminale, non fosse spirata il 17 marzo 1978. A quel punto, Lucas lavorò direttamente sul secondo draft in cui immaginò l’ingresso scenico della sorella di Luke come un nuovo personaggio che avrebbe intrapreso un percorso non dissimile da quello dell’eroe in Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza. Oltre a questo, Lucas immaginò il castello-fortezza di Vader e la dinamica relazionale con l’Imperatore di rispetto e paura, livelli di potere distinti nel controllo della Forza, il modo di parlare non convenzionale di Yoda e Boba Fett. Il leggendario cacciatore di taglie fu immaginato da Lucas come l’unione caratteriale dell’Uomo senza Nome di Per un pugno di dollari e di un Super Stormtrooper (quest’ultimo introdotto poi in Star Wars: Episodio VII – Il Risveglio della Forza).
Il draft di Lucas includeva la menzione del fatto che Darth Vader fosse il padre di Luke, ma la sceneggiatura dattiloscritta ometteva questa rivelazione. Nonostante le informazioni contraddittorie nei draft includessero il fantasma del padre di Luke, Lucas ammise di aver sempre voluto che fosse Vader e di averlo omesso dai vari draft in modo da evitare fughe di notizie. Inoltre, già a questo punto di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora si iniziò a parlare di elementi come il debito di Han nei confronti di Jabba e ricontestualizzò la ragione del perché Luke decide di lasciare Dagobah per salvare i suoi amici. Nel draft della Brackett, era Obi-Wan a ordinare a Luke di andarsene. Rimosse inoltre numerose scene di violenza immaginate dalla sceneggiatrice perché, in virtù del successo di Episodio IV, voleva che Star Wars fosse fonte di ispirazione per i bambini.
Un sentimento non dissimile da ciò che spinse Kershner ad accettare la regia del film: «Ho accettato di fare Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora perché mi piaceva l’idea di fare una fiaba. Di fare qualcosa d’immaginativo, che i bambini avrebbero amato. E l’idea mi ha dato molto piacere. Molta gente la chiama fantascienza, ma io la vedo come una fiaba. Nella fantascienza si è preoccupati di lasciare un’astronave su un pianeta perché la gravità è diversa e va tutto preso in considerazione. Ma nella fiaba quello è l’ambiente, quello è il contesto. Puoi letteralmente fare di tutto». Perché in fondo è di una fiaba che parliamo quando parliamo di Star Wars. Più specificatamente di una fiaba mascherata da fantascienza: il bene contro il male, il cavaliere nero (Darth Vader) contro maghi (Obi-Wan Kenobi), cowboy spaziali (Han), cavalieri valorosi (Luke) e principesse combattive (Leia).
A questo punto della pre-produzione, però, per Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora era necessaria una marcia in più. Lucas, per quanto visionario, sapeva perfettamente di non poter andare oltre la definizione dello script di un progetto che di step in step risultava essere sempre più ambizioso. Nel pieno della pre-produzione di Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, convinse lo sceneggiatore e poi regista Lawrence Kasdan (Il Grande Freddo) a perfezionare lo script. Per luglio 1978, i tre – Lucas, Kasdan e Kershner – lavorarono a braccetto stimolandosi e sfidandosi a vicenda in termini creativi. Dalla sua, Kasdan si concentrò sullo sviluppo delle dinamiche relazionali e nella definizione delle componenti psicologiche degli agenti scenici. Il suo draft, il terzo, vide Minch Yoda passare a Yoda ed evolvere in termini caratteriali. A Kasdan il merito di averne delineato i contorni come del Maestro che tutti conosciamo e amiamo.
Insieme svilupparono il concetto di Forza come essenza fondamentale di molteplici religioni unificate nei loro tratti comune. Una concezione secondo cui esiste il bene, il male, un Dio e una moralità di base, come il trattare gli altri in modo equo e non togliere la vita a qualcun altro. Aggiunse, inoltre, maggior romanticismo, ampliò le componenti dialogiche e diede un ritmo migliore alle scene d’azione. Con il quarto e quinto draft tra l’ottobre 1978 e il febbraio 1979, lo script di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora poté considerarsi ultimato. Le riprese si caratterizzarono, come tradizione vuole per Star Wars, da condizioni al limite dell’estremo. La battaglia di Hoth fu girata a Finse, in Norvegia, sul ghiacciaio Hardangerjøkulen, coincidente con la peggiore tempesta di neve che si fosse vista da quelle parti: venti a 64 km/h e temperature che andavano da -32 a -39 gradi Celsius.
Le condizioni gelide resero fragile la pellicola di acetato, gli obiettivi della fotocamera tendevano continuamente a ghiacciarsi, e la neve penetrava talmente nell’attrezzatura che la vernice per effetti finiva con il congelarsi all’interno della scatola. Per contrastare questi effetti, gli obiettivi vennero mantenuti freddi, ma il corpo della fotocamera veniva riscaldato in modo da proteggere la pellicola, la batteria e le mani degli operatori della fotocamera. E parliamo di giornate di riprese da 11 ore consecutive dove la troupe venne esposta ad aria rarefatta, visibilità limitata e lieve congelamento. Questo per via del fatto che né Kurtz, né Lucas, né Kasdan, intendevano girare la sequenza del pianeta Hoth agli interni degli Elstree Studios. Ragioni di realismo fu la risposta ufficiale. Gli interni di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora, dalla loro, ebbero un bel contraccolpo quando, durante le riprese di Shining di Stanley Kubrick.
Sul set dell’horror con Jack Nicholson, infatti, scoppiò un incendio a seguito di un cortocircuito. Questo causò dei rallentamenti con sessantaquattro set che dovettero essere spostati in altre nove fasi e il piano di lavorazione che finì con l’essere riformulato. Come se non bastasse, Carrie Fisher soffrì di bronchite e influenza, tanto che il suo peso era sceso a 39 kg e finì con l’avere svariati mancamenti a seguito di una reazione allergica provocata dalla vernice spray. La sua dipendenza ad allucinogeni e antidolorifici peggiorò le già precarie condizioni, così come l’ansia che provò mentre teneva il discorso ai Ribelli. Questo causò molti piccoli conflitti con il resto del cast di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora che non se la passò di certo tanto meglio. Harrison Ford e Mark Hamill ebbero inconvenienti di ogni genere.
L’interprete di Luke Skywalker ebbe notevoli inconvenienti nel dover interagire principalmente con pupazzi e robot le cui voci sarebbero state aggiunte in seguito o doppiate. Lo stesso set di Dagobah fu cosparso abbondantemente di olio minerale che causò esalazioni pestilenziali. Ad un certo punto, resosi conto della situazione, Frank Oz si impegnò personalmente a rallegrare Hamill imbastendo, ogni giorno, un piccolo spettacolo con Miss Piggy. Come se non bastasse, Hamill non riuscì mai ad entrare in sintonia con Kershner. Il suo stile registico, pratico e con indicazioni precise sulla recitazione e il modo in cui entrare in scena, lo agitò a tal punto che sul set volarono spesso parole grosse. Merito di Kershner, però, la dichiarazione d’amore nel climax di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora. In origine, infatti, la scena prevedeva una confessione di sentimenti ritenuti sdolcinati dal regista.
Diede così mandato di improvvisazione totale a Ford e Fisher. In quel «Lo so», pronunciato da Han Solo dopo aver dato il suo ultimo bacio a Leia e prima di essere spedito nell’oblio della carbonite da Darth Vader e Boba Fett, c’è tutta l’essenza del personaggio e del meraviglioso lavoro di scrittura caratteriale di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora: determinazione, tenacia, sensibilità, il suo coraggio imperturbabile, ma soprattutto la capacità di riuscire a vedere oltre l’abisso che quel salto nel buio lo avrebbe costretto di lì a poco. In fondo era questo il desiderio di Ford, riuscire a migliorare la performance di Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza regalandosi quella che lui credeva sarebbe stata un’uscita di scena leggendaria. Parallelamente, tra incidenti, rallentamenti e malumori vari, i costi arrivarono a quasi 28 milioni di dollari (il doppio del budget stanziato).
Sul set fecero visita i rappresentanti della Bank of America che a luglio rifiutarono di aumentare il prestito. La crisi fu tenuta nascosta alla troupe, incluso Kershner. Furono, invece, usate tattiche per ritardarne l’impatto, incluso il pagamento del personale bisettimanale invece che settimanale e il prestito di denaro da parte di Lucas dalla sua società di merchandising Black Falcon. Lucas temeva di dover cedere il film e i relativi diritti a Fox per sostenere il progetto, perdendo così la sua libertà creativa. La Fox minacciò anche di rilevare l’obbligazione e di subentrare nelle riprese. Con il 20% di Episodio V ancora da girare, il presidente della LucasFilm, Charles Weber, fece subentrare la Bank of Boston che accettò di rifinanziare il prestito a 31 milioni di dollari: 27,7 garantiti dalla Banca, 3 dalla Fox in cambio di una percentuale maggiorata degli introiti cinematografici e il 10% del merchandising.
La stessa LucasFilm sottoscrisse il prestito, alzando il rischio al punto da rendere la società direttamente responsabile della riuscita di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora: ovvero ciò che Lucas cercò sempre di evitare sin dalle prime fasi della pre-produzione. Appena in tempo, comunque, per girare il duello climatico tra Luke e Darth Vader. Dietro all’armatura, però, non c’era David Prowse che fino a quel punto creò più di un grattacapo a Kurtz e agli altri executives a causa della facilità con cui faceva trapelare informazioni alla stampa, ma la controfigura Bob Anderson che definì l’esperienza come combattere con gli occhi bendati a causa della visibilità ridottissima del casco di Vader. Per la scena successiva, quella topica, con quella rivelazione che cambiò per sempre la storia della saga rendendo vicini i nemici e gettando ombre e ambiguità negli eroi, accadde di tutto.
A Prowse fu consegnato lo script con la frase: «Obi-Wan Kenobi è tuo padre!», solo che sia Hamill che Kershner e gli executives, sapevano quale fosse quella vera. La scena fu poi aggiustata in post-produzione con James Earl Jones che disse le parole giuste, quelle leggendarie: «No, io sono tuo padre!». A lavorazione ultimata, il budget di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora recitava oltre 30 milioni di dollari, e come Kershner temeva, tutti dietro la colpa a tutti ma alla fine la colpa fu del regista! Kurtz se la prese con l’inflazione, Lucas con Kurtz per la sua scarsa pianificazione finanziaria, e infine proprio con Kershner per il suo stile registico lento e pieno di ripetizioni. Poco importa però, perché a marzo 1980, dopo sei mesi di post-produzione che coincisero con alcuni piccoli re-shoots, il cut definitivo fu approvato dalla Fox.
Talmente fiduciosi gli executives sul buon risultato di Star Wars: Episodio V – L’Impero Colpisce Ancora da spendere poco in marketing pubblicitario. Ci videro benissimo. Fu un successo planetario il film. Non come Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza che contribuì alla nascita del postmodernismo cinematografico, di un nuovo paradigma industriale e della creazione di un nuovo pubblico, ma lo fu in termini narrativi. Con quel cliffhanger fece sognare migliaia di spettatori, warsies e non, tra incertezze, desideri e aspirazioni, incanalando Star Wars nei binari narrativi di una saga episodica che con Star Wars: Episodio VI – Il Ritorno dello Jedi troverà la sua perfetta conclusione. Il resto lo fece il tempo. Perché – ed è la storia che ce lo dice – nessuna saga cinematografica ha saputo incidere nell’immaginario collettivo come la Trilogia Originale di Star Wars: «Che la Forza sia con noi!».
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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