BELLARIA – Dopo aver vinto vinto l’Orso d’Argento alla Berlinale, approda qui al Bellaria Film Festival in attesa di arrivare al cinema L’Impero di Bruno Dumont, una bizzarra provocazione al cinema più industriale, mascherata da epopea scientifica. Il film – che finisce di diritto nella nostra rubrica French Touch, qui le altre puntate – è ambientato in un apparente calmo e banale villaggio di pescatori sulla Costa d’Opale in Francia, che nasconde però l’epica vita parallela di cavalieri e clan di regni interplanetari rivali: gli Zero e gli Uno (sì, così si chiamano), che sono impegnati in una feroce e sanguinosa battaglia in seguito all’annuncio della nascita di Margat, l’erede delle oscure forze degli Zero, che si trova proprio sulla Costa, figlio di una giovane coppia già separata. Il suo guardiano Jony (Brandon Vlieghe) farà di tutto per proteggerlo dalle grinfie della guerriera Jane (Anamaria Vartolomei) e degli Uno.
Al centro de L’Impero ecco tornare il topos più ricorrente della storia del cinema (e del mondo): l’eterno scontro tra il Bene e il Male che, in questa nuova fase artistica di Dumont, abbraccia la sua vena più comica e demenziale. Una narrazione che destabilizza per colpire le criticità dell’industria cinematografica (e il suo sottomettersi). La provocazione che ne viene fuori? No, non è per tutti, ma una volta scesi a patti con l’amarezza che deriva dallo sguardo del regista nei confronti del contemporaneo, l’assurdità de L’Impero ci accoglie a braccia aperte. È fantascienza rustica che fa un’operazione di ri-semantizzazione del più classico dei worldbuilding, con le astronavi aliene che si mostrano nelle loro letterali ispirazioni – cattedrali gotiche con tanto di Reggia di Caserta fluttuante nel vuoto cosmico al passo – e spade laser che fanno finalmente quello che devono fare: mozzare di netto le teste dei rivali.
Quello di Dumont è un – neanche troppo velato – schiaffo in faccia verso una narrazione di genere sempre più appiattita e povera di contrapposizioni, che mette in mostra tutti i difetti di story-line forzate e i rischi di una polarizzazione assoluta di cui ormai i blockbuster moderni – è un dato di fatto – sono pieni. Dalla saga di Star Wars al Marvel Cinematic Universe, gli attacchi di Dumont sono chiari e non risparmiano nessuno nel loro tentativo di smascherare l’assurdo dove l’assurdo sembra non esserci: ed ecco allora scene cariche di erotismo sbucare dal nulla per rispondere all’assenza di sessualità in queste grandi saghe oppure ecco personaggi umani continuare a negare (o ignorare) l’Apocalisse persino quando si scatena di fronte ai loro occhi.
In questo contesto, la scelta dell’autore francese di dare la sua provocazione in pasto alla parodia è peculiare e potrebbe non incontrare il favore del pubblico, ma è figlia di un cinema europeo stizzito (e un po’ invidioso, forse) di cui Dumont si è fatto sicuramente portatore. Mentre si districa tra riferimenti a David Lynch e ai Monty Python come il figlio illegittimo di Balle Spaziali, L’Impero attacca poi su più fronti come un forsennato, con l’eco del Dune mai avuto di Jodorowsky, ma imbevuto ancora di più di acidi. Se cercate cinema puro e non allineato, prendete già il biglietto…
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