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Apocalypse Now | Francis Ford Coppola e il cuore di tenebra di un capolavoro immortale

Martin Sheen e Marlon Brando, Viaggio all’inferno, la cocaina. Cinquant’anni di una leggenda

Apocalypse Now
Martin Sheen in un'immagine di Apocalypse Now

ROMA – Il leggendario Viaggio all’inferno, documentario sul making-of del mitologico Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (su Prime Video, NOWtv, AppleTV+) apre i battenti con una frase pronunciata dallo stesso regista alla conferenza stampa di presentazione a Cannes 32. Era il 19 maggio 1979 e Coppola, che poi se ne tornerà negli Stati Uniti con la Palma d’oro ex-aequo con Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff (una delle ispirazioni eccellenti di Jojo Rabbit), disse delle parole che a conti fatti rappresentano l’intera ratio filmica del suo capolavoro: «Il mio film non è un film. Il mio film non riguarda il Vietnam. È il Vietnam». Un’opposizione quasi dicotomica con l’opinione di molti critici e cinefili contemporanei secondo cui, invece, l’opera di Coppola esula dall’abituale cinema bellico incanalandosi verso binari altri, esistenzialistici e certamente più elevati.

«Il mio film non è un film. Il mio film non riguarda il Vietnam. È il Vietnam»

A differenza del gemellare Il Cacciatore di Michael Cimino, che muoveva più nel ruolo narrativo del Reduce e dell’incapacità di abbandonare l’orrore del Vietnam, Apocalypse Now vive nello sporco del Vietnam: ci si butta dentro l’orrore, lasciandovi scorie nella dicotomia bene/male alla base del racconto, senza saperne l’esito nel ritorno alla vita civile. Più o meno quel che è realmente accaduto durante la lavorazione di Apocalypse Now, una delle più complesse e tortuose che la storia del cinema ricordi. Per citare alcuni episodi: un tifone distrusse i set faticosamente allestiti, Martin Sheen girò il prologo visibilmente ubriaco arrivando sul punto dell’infarto tra l’abuso di alcolici, il clima asfissiante e lo stress sul set. Non ultimo, il Governo ne osteggiò talmente la lavorazione da accusare Coppola di antimilitarismo (e di riflesso antiamericanismo), pressioni politiche a cui il regista reagì con un crollo nervoso. Ma andiamo con ordine.

La locandina di Apocalypse Now
La locandina di Apocalypse Now

Eppure non ci sarebbe dovuto essere lui dietro la macchina da presa, ma John Milius che, nel pieno della lavorazione di Non torno a casa stasera del 1969, fu incoraggiato da George Lucas e Steven Spielberg a scrivere un film sul Vietnam. Spinto dall’entusiasmo adattò il romanzo Cuore di Tenebra di Joseph Conrad in chiave moderna. Coppola, dal canto suo, figurava unicamente come produttore finanziando il progetto con quindicimila dollari per il soggetto più diecimila se avesse avuto il via dalla produzione: il risultato fu una rappresentazione allegorica del testo conradiano (The Psychedelic Soldier). Il titolo della sceneggiatura fu poi cambiato da Milius in Apocalypse Now dopo che il cineasta americano notò un badge molto popolare tra gli hippie su cui c’era scritto: Nirvana Now. Fra le altre ispirazioni figurava anche un articolo di Michael Herr (The Battle of Khe Sahn) in cui abbondavano riferimenti coloriti a droghe e tanto rock.

La scena iniziale di Apocalypse Now condita da The End dei The Doors
La scena iniziale condita da The End dei The Doors

Solo che Milius non si vedeva alla guida del progetto di Apocalypse Now. Scrisse lo script immaginando Lucas alla regia. Nei successivi quattro anni i due collaborarono dando colore, sostanza e credibilità allo script. Gary Kurtz, amico e produttore fidato di Lucas, fece parecchio location scouting tra le Filippine e California. Nel frattempo la United Artists si interessò alla sua realizzazione fissando a 2 milioni di dollari il budget per le riprese. Nei piani degli executives Apocalypse Now sarebbe dovuto essere un progetto senza filtri, con una tecnica documentaristica sulla scia di Aguirre: Furore di Dio di Werner Herzog. Di fatto però l’inizio delle riprese di American Graffiti e l’elaborata genesi di Star Wars (di cui potete leggere qui) – nonché una certa perplessità sulla lavorazione che si sarebbe andata a profilare – spinsero Lucas a posticipare l’inizio delle riprese.

«Una commedia e una storia terrificante in un thriller psicologico»

Spielberg non fu mai della partita, impegnato com’era nella lavorazione de Lo squalo aveva già in mente un suo cammino registico ben definito. Restava solo Coppola per tentare la folle impresa di Apocalypse Now, da lui definito al tempo come: «Una commedia e una storia terrificante in un thriller psicologico». Con i co-produttori Fred Roos e Gray Frederickson discusse nella primavera del 1974 dell’opportunità di dirigere il film. Lo immaginava come un’esperienza di guerra per gli spettatori: un film massivamente coinvolgente dove i temi etici andavano poi a plasmare un’opera dall’impatto visuale ed emotivo altissimo. Nel pieno della promozione de Il Padrino – Parte II in Australia, Coppola individuò alcuni luoghi ideali nelle penisole del Queensland settentrionale. Subito dopo però prese in considerazione l’idea lucasiana delle Filippine.

Martin Sheen è il Capitano Benjamin Willard in una scena di Apocalypse Now
Martin Sheen è il Capitano Benjamin Willard

Nei mesi successivi (siamo già nel 1975) Coppola rielaborò la sceneggiatura di Milius contrattando con la United Artists per un budget ben più superiore di quello preventivato. A detta di Frederickson si aggirava sui 15 milioni di dollari di cui 8 garantiti dalla American Zoetrope di Coppola e i restanti 7 dalla United Artists a cui fu garantita la presenza di una stella tra Marlon Brando, Steve McQueen e Gene Hackman. Iniziate le riprese con uno script incompleto, Coppola lavorò a braccio introducendo elementi poi caratteristici come la morte di Mr.Clean (Lawrence Fishburne) a bordo della barca mentre ascoltiamo l’audio della madre che gli augura di tornare a casa incolume. Tutti elementi essenziali nell’economia del racconto di Apocalypse Now che vede la sua narrazione così arricchita di punti di vista scenici nel raccontare di come le atrocità della guerra incidano sulla purezza degli individui rendendoli uomini disperati e guerrieri disillusi.

Marlon Brando è il Colonnello Walter Kurtz in una scena di Apocalypse Now
Marlon Brando è il Colonnello Walter Kurtz

In questo modo Coppola riuscì non solo ad ampliare il già corposo sottotesto alla base di Apocalypse Now, ma anche arricchire di senso e approfondire le ragioni del suo agente scenico principe. Quel viaggio fluviale dell’eroe del Capitano Willard/Martin Sheen dalla colorita caratterizzazione borderline costruita nel prologo tra raffinata costruzione d’immagine e sensazioni al sapore di rum, pistole scariche, sigarette e sangue che nel perfetto sync tra la soave The End dei The Doors e il napalm sganciato, lanciato in un glorioso arco di trasformazione che lo vedrà evolvere da soldato traumatizzato a eroe di guerra. Un agente scenico in crisi di identità, indeciso sino all’ultimo sul suo operato, che nel dispiego dell’intreccio di un viaggio inteso come esplicitazione degli archi di trasformazione, ricostruisce sé stesso nell’annientamento dei propri fantasmi impersonati allegoricamente dal delirante semi-dio auto-nominato Kurtz.

I colori di Apocalypse Now

Suo gemello speculare, posto da Coppola all’angolo opposto del reticolato narrativo, con cui dar vita a una dicotomia bene/male sfumata e ricca di zone d’ombra che troverà poi completamente in un climax purificatore di psicotiche epifanie e di libertà in luce dorata resa da Coppola in un gesto veloce, netto, che è pieno mescolamento di bene e male, raziocinio e follia, normalità e ribellione. Sheen rese grande Willard ma fu tutt’altro che la prima scelta per Coppola. Nel suo fan-casting ideale infatti era McQueen il Willard perfetto, salvo poi rinunciarvi per non dover trascorrere 17 settimane lontano da casa. Alla fine la spuntò Harvey Keitel che tuttavia, dopo tre settimane di riprese, fu licenziato da Coppola perché poco nella parte. Per il mitologico Kurtz invece si pensò a Nicholson, per poi virare decisi su Brando la cui indecisione iniziale rallentò e non poco l’inizio della lavorazione.

Il preludio al climax purificatore

Dopo il notevole aumento di peso infatti chiese di prendere parte ad Apocalypse Now a patto di riuscire a celarlo. Questo, oltre a ridurre e non poco il ruolo di Kurtz in termini di minutaggio rendendolo più deuteragonista che co-protagonista, diede ad Apocalypse Now un sapore tenebroso e cupo, avvolgendo la sua aura caratteriale in un chiaroscuro luttuoso e tagliente di puro mistero. L’arrivo di Brando sul set indusse Coppola a bloccare la produzione per due settimane. Periodo in cui il regista e il suo fidato interprete si ritirarono su di una barca per entrare in simbiosi con il romanzo originale. Per Brando era essenziale per via del Metodo. Coppola invece era convinto che per raccontarlo bene fosse necessaria una profonda immedesimazione nella sua coscienza lacerata. Al pari di Brando, anche Coppola lavoro su sé stesso, infarcendo la sua copia di Cuore di tenebra di appunti e annotazioni.

«Apocalypse Now vive nello sporco del Vietnam: ci si butta dentro l’orrore»

Questo influì, e non poco, sul suo status psicofisico, specie perché droga e alcool circolavano come se nulla fosse. Ma non tanto per divertimento, solo per alleviare l’ansia e lo stress della lavorazione. Pronti-via, infatti, l’entusiasmo iniziale di Roos e Frederickson andò lentamente a scemare. Un po’ alla maniera de Il Padrino il budget fu presto raddoppiato se non triplicato (costerà infine 30 milioni di dollari, Coppola investì nell’operazione i propri beni personali). Il vero problema però era la situazione ambientale: troupe e cast trovarono l’esperienza sul set delle Filippine disastrosa, specie perché, dalle sei settimane previste, si passò molto presto all’anno e mezzo tra ritardi e imprevisti vari. La prima scena girata, manco a dirlo, fu quella dell’attacco in elicottero sulle note de La cavalcata delle valchirie di Richard Wagner. Sette minuti di pura magia filmica che consegnarono di diritto Apocalypse Now all’immaginario collettivo.

Robert Duvall è il Colonnello Kilgore

Sequenza che, oltre ad aggiungere quel sapore iconico e pop arricchito dalla valenza caratteriale del Colonnello Kilgore/Robert Duvall e le sue teorizzazioni sul ruolo del surf in tempo bellico, per essere realizzata a regola d’arte ci vollero qualcosa come sette settimane di riprese. I continui rallentamenti crearono sfiducia. A un certo punto della lunghissima post-produzione (durerà due anni) Coppola confessò alla moglie Eleanor: «C’è solo il 20% di possibilità di riuscire a completare il film nei tempi previsti». Convinse così la United Artists a posticipare l’anteprima mondiale ben due volte, dal maggio 1978 alla primavera del 1979, dove fu proiettata poi una versione work in progress prima della presentazione ufficiale a Cannes che ebbe ben pochi consensi, ma al punto che gli stessi executives furono più volte sul punto di ritirare la candidatura dalla kermesse francese (cosa che fortunatamente non si verificò mai).

Il viaggio di Apocalypse Now
Il viaggio di Apocalypse Now

È abbastanza chiaro come Apocalypse Now rappresenti molte cose e tante altre ancora: culmine esperienziale del cinema postmoderno americano inaugurato con Star Wars, nonché consolidamento definitivo della visione kolossale di Francis Ford Coppola inaugurata con le prime due parti de Il Padrino. Un cinema ambizioso e folle di pura energia creativa oggi praticamente impossibile. Vincitore di due Oscar 1980 (Miglior fotografia, Miglior sonoro) a fronte di otto nomination, il retaggio di Apocalypse Now – un po’ alla maniera del leggendario Blade Runner vive soprattutto nelle differenti sfumature di racconto delle varie versioni editate. Un processo di editing massiccio che dalla fluviale Redux del 2001 alla più composta e curata Final Cut, vedrà infine Coppola dilatare e manipolare a piacimento la sua creatura narrativa così da aggiungere colore e cuore ad un’opera imprescindibile per qualsiasi cineasta degno di questo nome: un capolavoro inarrivabile.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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