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William Hurt, Lawrence Kasdan e la storia di un film mai invecchiato: Il grande freddo

Lo script, il cast, quel set, la nostalgia e le canzoni. Radiografia di un capolavoro assoluto

Il grande freddo
Come eravamo: il cast al completo de Il grande freddo.

PALERMO – «Sì, mi considero un uomo molto fortunato. Sono riuscito a girare un film molto personale. Qualcosa di veramente inusuale a Hollywood». Con queste parole al magazine britannico Photoplay nel 1984 Lawrence Kasdan comunicò l’essenza de Il grande freddo e, di riflesso, della sua carriera. Del resto era una penna inconfondibile la sua. Nella prima metà degli anni Ottanta Kasdan aveva già segnato l’immaginario collettivo della cultura pop con Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta e due degli Episodi originali di Star Wars (L’impero colpisce ancora, Il ritorno dello Jedi). Non ci volle molto prima che firmasse anche la sua prima regia: Brivido caldo, del 1981, con la coppia infuocata William Hurt e Kathleen Turner.

Il grande freddo
Come eravamo: il cast de Il grande freddo.

Ecco, il 1981, quello fu un anno decisivo per Kasdan. Assieme a Barbara Benedek era alle battute finali della sceneggiatura de Il grande freddo che – si dice – sia stato ispirato dalla visione (a dire il vero mai confermata) de Return of the Secaucus 7 del 1979 di John Sayles: il capostipite dei friends reunion-movies. In realtà c’è molto del personale di Kasdan e Benedek tra le riga narrative de Il grande freddo. Nello specifico la transizione tra l’attivismo politico del college e l’età adulta, o per dirlo con le parole di Kasdan: «Quel film? Parla del processo di raffreddamento che ha luogo per ogni generazione. Quello dell’esperienza della realtà adulta dopo aver lasciato il caldo abbraccio della vera amicizia durante il college». L’anno successivo, nel 1982, Kasdan e Benedek iniziarono a presentare il pitch del soggetto tra le case di produzione.

La prima pagina della sceneggiatura de Il grande freddo.

La The Ladd Company – che di Kasdan aveva prodotto proprio Brivido caldo – sembrò poco interessata a Il grande freddo. Richard Fischoff della Paramount le tentò tutte pur di convincere gli executives, ma niente. Girò così la sceneggiatura alla produttrice Marcia Nasatir da poco liberatasi dai suoi incarichi alla United Artists e Orion Pictures per fondare assieme a Johnny Carson la Carson. Nasatir, a sua volta, convinse un estremamente riluttante Frank Price della Columbia a sostenere il progetto. Partì così la lavorazione de Il grande freddo con una rischiosa consapevolezza: eccetto che Fischoff e Nasatir nessuno di chi aveva letto la sceneggiatura era riuscito a visualizzarla come film. Compensava il tutto un gruppo di giovani attori che avrebbero fatto la fortuna di Hollywood: Glenn Close, Kevin Kline, Tom Berenger, Jeff Goldblum, William Hurt, JoBeth Williams, Meg Tilly, Mary Kay Place e… Kevin Costner.

Il grande freddo
William Hurt e Kevin Kline in una scena del film.

Sì, c’era anche lui ne Il grande freddo nei panni della causale emotiva del racconto: il suicida Alex. Sarebbe comparso in una digressione temporale con un look – a detta della Williams – molto trasandato, à la James Dean. Fu un problema. Perché la sequenza con Costner, una cena del Ringraziamento tra amici al tempo del college, si scoprì essere un corpo estraneo rapportata all’organicità della narrazione. Furono organizzati dei test screening. Puntualmente però, sia come prologo che come epilogo, gli spettatori uscivano dalla proiezione disorientati. Come se andasse a spezzare l’armonia di amicizia e fiducia creatasi lungo il dispiego dell’intreccio sino a generare un dislivello tra memorie del passato e presente. Costner fu dolorosamente tagliato dal cast corale di giovani talenti ma con in mano una precisa promessa da parte di Kasdan: un ruolo importante nella sua terza regia. sarebbe finito nel West, in Silverado, nel 1985.

William Hurt e Meg Tilly in un’altra scena de Il grande freddo.

Il reale inizio delle riprese con il cast coincise con un lungo ed intenso periodo di preparazione nella pittoresca città di Beaufort, Carolina del Sud. Per quasi un mese Close, Kline, Berenger, Goldblum, Hurt, Williams, Tilly, Place vissero a stretto contatto per poi prendere parte a tre settimane di prova a telecamere spente. Cosa insolita per qualunque produzione che la Williams associò ad eventuali problemi di budget. Niente di tutto questo. Kasdan voleva dai personaggi il cameratismo e l’autenticità. In una crescita spontanea di alchimia recitativa condivisa così da trasformare otto singoli attori in un unico insieme: «Dovevano vivere nella pelle di quei personaggi. Gestire istantaneamente gli input esterni». Caratterizzazioni quindi che andassero a scavare in profondità sino a compenetrare volti e corpi degli agenti scenici. E in effetti l’insolito metodo Kasdan attecchì immediatamente nell’entusiasmo generale.

Il grande freddo
Il cast al completo in posa sul set.

Questo perché Il grande freddo parla di vita. Parla di noi tutti. Nessuno escluso. Per Berenger parla anche del risveglio di coscienza nell’età adulta: «Parla di quel periodo della vita in cui inizi a renderti conto di avere dei limiti, che non realizzerai mai certi sogni». Il raffinato lavoro di scrittura di Kasdan e Benedek fece il resto. Garantì alla sceneggiatura una mimesi empatica forte e avvolgente. Perché Il grande freddo non vive di uno sviluppo narrativo tradizionale caratterizzato da azione specifica, ma di sfumature di tono e di piccoli e sfuggenti momenti di valore drammatico opportunamente dosati dalla delicatezza del montaggio. Un film che vive nelle citazioni dei serrati scambi tra i suoi interpreti. Vive nei grandi classici musicali (su tutte I Heard It Through The Grapevine di Marvin Gaye e You Can’t Always Get What You Want dei Rolling Stones) propedeutici nel settare l’atmosfera di ritrovata armonia. Vive nelle piccole cose insomma, quelle di ogni giorno. Perché poi la vita è fatta di piccole (grandi) cose.

Il grande freddo
Le ultime parole de Il grande freddo.

Ma soprattutto, oltre ad aver generato una schiera semi-infinita di cloni narrativi e ispirazioni (St. Elmo’s Fire, Hometown, Compagni di scuola, Peter’s Friends, About Alex), Il grande freddo ha rappresentato anche – seppur con una certa dose d’insita ironia – il consolidamento del sodalizio tra Lawrence Kasdan e William Hurt dopo il sopracitato Brivido caldo. Da Caldo a Freddo infatti i primi due volti scenici di Hurt sotto la guida di Kasdan sono passati da un Ned Racine rovente di passione ad un Nick problematico ed impotente. Seguiranno il capolavoro Turista per caso del 1988 e Ti amerò… fino ad ammazzarti del 1990. Un legame silenzioso, spesso sottovalutato e poco citato, ma prezioso per quanto ha saputo generare in quel formidabile decennio cinematografico e per questo da riscoprire.

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