ROMA – La Forza e il Lato Oscuro. Cavalieri Jedi e Maestri Sith. Il giorno di Star Wars, almeno nell’epoca moderna dei social media, è il 4 maggio, canonicamente noto come il #MayTheFourth nato dalla cacofonia con la celebre e mitologica battuta: «May the Force Be With You/Che la Forza sia con te». Warsies e cinefili lo sanno bene però. È soltanto l’antipasto alla vera celebrazione. Quella del 25 maggio. Data in cui, nel 1977, Star Wars: Una nuova speranza di George Lucas arrivò in forma limitata in appena trenta cinema statunitensi. Quarantacinque anni, tre trilogie cinematografiche (e molto altro) dopo, si può ben dire come il mito di Star Wars resta intoccabile e immutato nella sua continua espansione narrativa capace di conquistare generazioni di spettatori e appassionati nel segno della Forza. Da cosa nacque tutto però? Da una visione.
All’indomani di THX 1138 – L’uomo che fuggì dal futuro Lucas aveva in mente un adattamento delle avventure spaziali di Flash Gordon di Alex Raymond. Nel 1971 provò ad acquistarne i diritti assieme a Francis Ford Coppola per poi scoprire che erano già in mano di Dino De Laurentiis: «Volevo fare un film su Flash Gordon ma non sono riuscito ad ottenere i diritti dei personaggi. Così ho iniziato a fare ricerche per scoprire che Raymond si era ispirato a sua volta alle opere di Edgar Rice Burroughs e alla serie di John Carter da Marte». Poco dopo strappò un contratto con la United Artists per la realizzazione di due pellicole: il nostalgico American Graffiti, e una space-opera dal titolo The Star Wars che nei piani di Lucas avrebbe rappresentato non soltanto l’altra faccia, quella più ottimista e avventurosa del fantascientifico THX 1138, ma anche il personale Flash Gordon.
Ci fu un intoppo però. In maniera un po’ inaspettata la United Artists si tirò fuori dal progetto. La sceneggiatura di American Graffiti su cui Lucas aveva lavorato nell’ultimo anno risultò insoddisfacente agli occhi degli executives che preferirono dedicarsi ad altri progetti (Qualcuno volò sul nido del cuculo, La fuga di Logan). A quel punto entrò in scena la Universal Pictures che, rimasta impressionata dal precedente THX 1138, subentrò alla United Artists dando carta bianca a Lucas. Con American Graffiti in pre-produzione Lucas poté dedicarsi interamente a Star Wars attraverso lunghe sessioni di scrittura da «Otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana» in cui raccolse appunti, accenni caratteriali e topologici. In questo periodo delineò una sinossi di due pagine (Journal of the Whills) che raccontava dell’addestramento dell’apprendista/padawan CJ Thorpe come commando spaziale Jedi-Bendu dal leggendario maestro Mace Windy (l’originale Mace Windu dei prequel).
Riuscì a inquadrare da subito il tono fiabesco-avventuroso ma c’era un problema: era troppo ingarbugliato. Iniziò così ad ampliarlo sviluppando un trattamento da 13 pagine ispirato al respiro epico della leggenda di Re Artù e dagli evidenti parallelismi stilistici con il jidai-geki La fortezza nascosta di Akira Kurosawa del 1958 nel codificare il punto di vista narrativo nei personaggi secondari: lo scheletro dell’opera definitiva. Presentato il pitch assieme al produttore Gary Kurtz, l’idea piacque parecchio alla Universal che ne colse immediatamente l’importanza artistica e la valenza commerciale. Per via di American Graffiti però non credevano che Lucas sarebbe stato in grado di portare a compimento entrambi i progetti. Star Wars fece così il giro delle case di produzione.
Coppola lo propose alla The Directors Company della Paramount (co-fondata assieme a William Friedkin e Peter Bogdanovich) ma tra un’incolmabile differenza tra domanda e offerta (3 milioni e mezzo contro i 9 di budget chiesti da Lucas) e la poca fiducia nei suoi mezzi registici di fronte ad un’opera così ambiziosa non se ne fece nulla. La Disney (ironicamente) si mostrò disinteressata preferendogli quel The Black Hole – Il buco nero poi reclamizzato nel 1979 come «La risposta disneyana a Star Wars». Questo fino al giugno 1973 quando Alan Ladd Jr. della 20th Century Fox rimase affascinato dal progetto e diede fiducia a Lucas. Famoso, in tal senso, l’accordo stipulato tra i due. Piuttosto che il compenso di svariati milioni che sarebbe spettato abitualmente a un autore che scrive e dirige un’opera, Lucas chiese una cifra forfettaria di 175.000 dollari più il 40% dei diritti di merchandising.
Al tempo ritenuto un grosso azzardo tanto che Ladd Jr. stentò a crederci, ad oggi, molto probabilmente, l’accordo cinematografico più remunerativo (e rivoluzionario) di sempre: guadagnò (almeno) mille volte tanto! Nei successivi tre anni diede forma a quattro draft di sceneggiatura dai titoli diversi ma tutti simili e vicini (Adventures of the Starkiller – Episode One: The Star Wars /The Star Wars From the Adventures of Luke Starkiller/The Adventures of Luke Starkiller as taken from the Journal of the Whills /Star Wars) in cui, da Annikin Starkiller a Luke Starkiller sino a Luke Skywalker, la creatura narrativa di Lucas prese vita tra trasformazioni caratteriali, immersivo world-building alla maniera del tolkeniano Lo Hobbit e una Forza sempre più campo energetico compenetrante, nella forma testuale di una corposa bible da 300 pagine contenente l’intera scansione episodica della Trilogia Originale nonché le backstory della Vecchia Repubblica e dell’origine di Sith e Jedi.
«Ciò che è emerso attraverso i draft è stato influenzato dai film visti. Sto cercando di fare una sorta di classico film di genere. Un fantasy spaziale in cui tutte le influenze narrative lavorano assieme» disse Lucas in proposito, come il crawl testuale in apertura di racconto dichiaratamente ispirato a due eccellenti lavori di Cecil B. DeMille (La conquista del West, La via dei giganti) di cui si dice che Brian De Palma ne abbia curato la resa su carta. Con 5 milioni di budget stanziati da Ladd Jr. (che ben presto divennero poco più di 8) nel marzo 1976 la produzione diede il semaforo verde a Star Wars. Il piano di lavorazione prevedeva due settimane di riprese in Tunisia per gli esterni desertici di Tatooine, per poi spostarsi negli Elstree Studios di Londra nelle successive quattordici settimane per gli interni su nove set già allestiti.
L’esperienza tunisina fu al limite della sopportazione a causa di continui guasti elettronici, oggetti di scena malfunzionanti, un potenziale incidente diplomatico tra Libia e Tunisia dopo che il Sandcrawler Java fu scambiato per un’arma militare, e perfino di un fortissimo (e rarissimo) temporale: il primo in cinquant’anni. Strano a dirsi ma i veri problemi per Star Wars sorsero in terra britannica. Lo stile registico di un Lucas remissivo e molto introverso infatti poco si sposò con il temperamento di cast e troupe, o per dirla con le parole di Kurtz: «Non era molto socievole Lucas. Era molto solitario e molto timido quindi non gli piacevano i grandi gruppi di persone: non gli piaceva lavorare con una troupe numerosa né con tanti attori».
Finì ben presto con il perdere il controllo della squadra: i macchinisti non facevano che scherzare considerando Star Wars alla stregua di un filmetto per bambini, Harrison Ford e Mark Hamill scelsero di impegnarsi solo in presenza di un Alec Guinness molto professionale ma che sembrò capire poco il progetto. Una situazione tossica che raggiunse il punto di rottura quando a Lucas fu diagnosticata un’ipertensione frutto da esaurimento nervoso per accumulo di stress. Sul punto dell’infarto l’intero cast iniziò a prendere a cuore il progetto impegnandosi seriamente e risollevandogli il morale a più riprese. Originariamente previsto per il rilascio in sala il giorno di Natale 1976, il cambio del montatore in corsa John Jympson/Paul Hirsch e Richard Chew, fece allungare la post-produzione di Star Wars slittandone la distribuzione di altri cinque mesi.
Per il febbraio 1977, a pochi mesi dal rilascio in sala, Lucas presentò un cut preliminare privo di effetti speciali e inframezzato da reali sequenze belliche della Seconda guerra mondiale così da dare un’idea di quella che sarebbe stata poi lo spirito epico di quella scena. Gli amici cineasti De Palma, Coppola e John Milius rimasero perplessi. L’unico che riuscì ad intuirne la preziosa essenza artistica fu (manco a dirlo) Steven Spielberg che ricondusse la mancanza d’entusiasmo all’assenza di effetti speciali. Ladd Jr. e gli executives a dire il vero ne applaudirono la resa finale ma a porte chiuse ammisero il rischio di un colossale fallimento finendo con il concentrare i loro sforzi economici nella distribuzione de L’ultima odissea e L’altra faccia di mezzanotte.
Qualcosa di cui si rese conto anche Lucas che, in preda ad una tagliente ansia da prestazione, pianificò una vacanza alla Hawaii assieme alla moglie Marcia, Spielberg, e la compagna di lui Amy Irving, esattamente il giorno della prima al Chinese Theatre di Hollywood. Vacanza preziosa tra l’altro perché è qui che Lucas e Spielberg discussero per la prima volta di Indiana Jones. Possiamo solo immaginare il suo stato d’animo quando, sintonizzandosi la sera stessa su CBS Evening News, vide Walter Cronkite discutere con folle entusiastiche di spettatori. Lucas era appena diventato un regista di successo. La 20th Century Fox raddoppiò i propri profitti quell’anno passando dai 37 milioni di dollari di utile 1976 ai 79 milioni del 1977: la differenza la fece Star Wars. Un successo clamoroso ma che ex post non stupisce più di tanto.
È infatti un’opera sincera e spontanea Star Wars: «Una storia di persone che scelgono il proprio sentiero, di amici e mentori, di sogni perduti, tentazioni, e redenzione.[…] Una specie di onesta visione complessiva di come vorresti che fosse il mondo» e Lucas lo immaginava come un Western magico. Una fiaba mascherata da fantascienza: il bene contro il male, il cavaliere nero (Darth Vader) contro maghi (Obi-Wan Kenobi), cavalieri valorosi (Luke Skywalker), principesse combattive (Leia Organa) e cowboy spaziali (Han Solo) in un’impareggiabile miscellanea filmica di topos cucita addosso ad un viaggio dell’eroe dei più classici reso però colorato e innovativo dal vento creativo new-hollywoodiano imbrigliato da Lucas nel coronamento di un sogno lungo una vita: «Il motivo per cui ho raccontato questa storia erano i serial d’avventura del sabato sera molto in voga negli anni trenta-quaranta. Volevo che Star Wars fosse proprio così, come Flash Gordon e Buck Rogers».
Ma soprattutto un’opera semplice. Compatibilmente con il processo di rinnovamento dell’audience avviato pochi anni prima da Spielberg con Lo squalo – e che troverà completamento in Apocalypse Now di Coppola – Star Wars accompagna il suo (giovane) pubblico in un viaggio supersonico nello spazio siderale tra illusioni, suggestioni, domande e coni d’ombra narrativi, invitandolo ad interagire con il mezzo filmico. Muta quindi la fruizione da azione passiva ad esperienza attiva di un cinema che affida alla sala/Multiplex e al comparto tecnico dei nuovi impianti IMAX il compito di dare libero sfogo al senso di meraviglia del pubblico amplificandolo oltre ogni limite.
È il primo passo verso un nuovo paradigma produttivo che nel ridisegnare le forme del prodotto filmico da opera artistica ad asset industriale finisce con l’incanalare il genio creativo del regista nel realizzare film-evento a cui corrispondere merchandising in funzione del profitto. In poche parole l’inizio del postmodernismo cinematografico: l’alba di un nuovo cinema destinato a cambiare per sempre le vite di noi spettatori.
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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