MILANO – Eros e Thanatos: desiderio di vita e afflato di morte. Dualismo atavico e, in fondo, vero protagonista di Quello che so di lei, lungometraggio firmato dal francese Martin Provost che, dopo le due precedenti esperienze in costume di Sèraphine – film che ottenne ben sette premi Cèsar nel 2009, tra cui quello per il miglior film – e Violette, sposta questa volta la riflessione su un soggetto dal notevole impatto emotivo. Il titolo originale Sage femme è, tra l’altro, un brillante gioco di parole che riporta al dualismo iniziale: in francese significa sia ostetrica che donna saggia.

E Quello che so di lei è un film dalle forti venature personali, in primis se pensiamo alla scelta di focalizzare l’attenzione sul mestiere della levatrice. Lo stesso Provost non fa mistero della sua riconoscnza nei confronti di un’ostetrica che gli donò il sangue al momento della nascita. Un gesto che gli consenti di venire al mondo senza ulteriori complicazioni. Da qui il sentito omaggio del regista alla sua levatrice, nel film è incarnata dal personaggio di Claire (un’ottima Catherine Frot), donna risoluta dal carattere solitario ma, al tempo stesso, dolce e comprensivo.

Poi c’è l’ambizione di una grandissima Catherine Deneuve di dare un’impronta più matura alla sua recitazione, senza per questo perdere l’efficacia di un tempo. Insieme alla Frot assembla una coppia di donne eccezionali, unite da un rapporto tempestoso dovuto ai difficili legami del passato che riaffiorano, sciogliemdop anche il cuore degli spettatori più imperturbabili. Quello che so di lei conferma l’interesse di Provost per l’universo femminile e per la sua empatica sensibilità, e rinnova il suggerimento di affidarsi maggiormente all’esperienza umana anziché al progresso tecnologico di cui ormai siamo vittime e beneficiari.

La dialettica vita-morte si concreta nella contrapposizione lacerante che Provost mette in scena: da un lato la nascita di un bambino alla quale Claire presiede con straordinaria compartecipazione e, dall’altro, la malattia terminale di cui è vittima Bèatrice. Un cinema dei sentimenti che, tuttavia, non rinuncia a fare critica sociale del sistema medico francese, guardando anche al tessuto urbano di una Parigi lontana dalle consuete immagini da cartolina.
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