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E.T. – L’Extra-Terrestre | I quarant’anni dell’eterna favola di Steven Spielberg

Il legame con Poltergeist, la sfida con Starman. E le accuse di plagio di Satyajit Ray…

E.T. - L'Extra-Terrestre, quando il cinema teen divenne grande
E.T. - L'Extra-Terrestre, quando il cinema teen divenne grande

MILANO – L’11 aprile 1983 fu una di quelle giornate che, siamo certi, il compianto Richard Attenborough avrà ricordato per molto tempo. Con Gandhi dominò quella notte degli Oscar portandosi a casa ben otto statuette di cui due (film e regia) con il suo nome inciso sopra. Fosse stato per lui però non sarebbe andato a Gandhi l’Oscar, ma ad E.T. – L’extra-terrestre di Steven Spielberg che non esitò a definire come: «Uno straordinario pezzo di cinema». Quarant’anni dopo il debutto del film a Cannes 35 – era il 26 maggio 1982 – e in attesa del ritorno alla 58esima edizione
della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, sabato 18 giugno in piazza del Popolo, le parole di Attenborough si arricchiscono sempre più di un ricco retaggio popolato di sequel accarezzati, ispirazioni eccellenti, e dell’invidiabile certezza che E.T. ha rappresentato più di un pezzo di cinema, piuttosto uno straordinario rito di passaggio. Un’iniziazione al cinema per un’intera generazione di (giovani) spettatori.

I titoli di testa di E.T. - L'extra-terrestre
I titoli di testa di E.T. – L’extra-terrestre

Perfino Spielberg, il cui opus filmico è costituito (quasi) esclusivamente da grandi opere, ne riconosce il valore sentendosi da sempre legato ad E.T. – L’extra-terrestre: «Penso che la maggior parte dei miei film siano personali. Penso che il più personale che ho realizzato sia Schindler’s List, poi, subito dopo, E.T.». Guarda caso le opere per cui un domani vorrebbe essere ricordato ed entrambe appartenenti a una diade filmica. Chi lo conosce bene lo sa. In particolari annate Spielberg lavora back-to-back a due opere: come nel caso del 1993 di Schindler’s List/Jurassic Park, oppure il 2018 di Ready Player One/The Post. Anche il 1982 spielberghiano ebbe questa particolare inerzia. Fu infatti l’anno di E.T. e di quel Poltergeist – Demoniache presenze dove, se i credits raccontano di uno Spielberg nelle vesti di produttore-soggettista-sceneggiatore, e di Tobe Hooper come regista, la verità del set ne racconta un’altra.

L’incontro

Spielberg era presente sul set più di quanto non fosse concesso a un produttore: ragionava da co-regista. Una clausola del contratto con la Universal infatti gli avrebbe impedito di dirigere due film simultaneamente. Eppure, a differenza delle successive diede spielberghiane, quella di E.T. – L’extra-terrestre e Poltergeist non è solo di stampo produttivo, ma anche narrativo. A detta di Spielberg rappresenta le due differenti e oscure facce della vita di periferia della famiglia-modello americana: «Se E.T. – L’extra-terrestre era un sussurro di sogni suburbani, Poltergeist era un urlo di incubi suburbani». Il motivo di un simile legame? La comune genesi fantascientifica. In origine infatti, ancor prima che si parlasse di E.T. e Poltergeist, nei piani di Spielberg (su imbeccata della Columbia Pictures) ci sarebbe dovuto essere un sequel apocrifo di Incontri ravvicinati del terzo tipo dal titolo Night Skies/Cieli notturni.

Henry Thomas in una scena di E.T. – L’extra-terrestre

Lo script, firmato da John Sayles, avrebbe raccontato di un gruppo di alieni ostili che, arrivati sulla Terra, assediano una famiglia di fattori costretta a barricarsi in casa. Nonostante le pressioni della Columbia, a Spielberg non attraevano però le atmosfere cupe di Night Skies. C’era però un’idea in quello script che lo solleticava. Una sottotrama riguardante una dinamica relazionale tra l’alieno buono degli invasori e il figlio autistico dei fattori. Night Skies fu così scisso in due soggetti. Le componenti più cupe dello script di Sayles furono rielaborate in chiave sovrannaturale-orrorifica per Poltergeist. Quelle più benevole invece per E.T.. Il cambio di direzione artistica però poco si sposava con le intenzioni della Columbia che, contemporaneamente, ricevette da Dean Riesner lo script su di un’altra visita del terzo tipo dal taglio più romantico (John Carpenter lo accomunerà a Breve incontro) e commercialmente più appetibile: Starman.

Henry Thomas in una scena di E.T. - L'extra-terrestre
Henry Thomas in una scena di E.T. – L’extra-terrestre

È su Starman che punteranno, scaricando frettolosamente lo script di Spielberg con le parole: «Uno stupido film della Disney». Forte della scelta fatta, la Columbia programmò l’uscita di Starman un paio di mesi dopo quella di E.T.. Le similitudini narrative e l’entusiasmo che girava attorno alla produzione spielberghiana, spingeranno all’abbandono ogni regista fin lì interessato: Adrian Lyne scelse di puntare su Flashdance. John Badham su Wargames – Giochi di guerra. Solo grazie a un Carpenter in crisi economica dopo i flop de La cosa (causato proprio dal successo di E.T. – L’extra-terrestre che nei cinema statunitensi arriverà il 12 giugno 1982, ne potete leggere qui) e di Christine – La macchina infernale, lo sfortunato Starman riuscì a vedere la sala a due anni e una manciata di mesi dai programmi originali. Manco a dirlo fu un fiasco al botteghino.

Henry Thomas, Drew Barrymore e Robert McNaughton in una scena di E.T. - L'extra-terrestre
Henry Thomas, Drew Barrymore e Robert McNaughton in una scena di E.T. – L’extra-terrestre

Spielberg cadde invece in piedi. La Universal di Sid Sheinberg gli finanziò il progetto con un budget di 10,5 milioni di dollari. Sul set de I predatori dell’arca perduta lavorò allo script assieme alla sceneggiatrice Melissa Mathison (che di Harrison Ford sarà poi la seconda moglie) nelle pause di lavorazione, la cui collaborazione darà vita ad un draft preliminare dal titolo E.T. & Me. Seguiranno altre due riscritture. Il nodo gordiano alla base dello script riguardava un amico immaginario creato nel 1960 da Spielberg per superare il trauma del divorzio dei suoi genitori. Elemento che Spielberg seppe traslare emotivamente creando nel legame del terzo tipo tra E.T. ed Elliott una reciproca occasione di crescita e di rinsaldamento dell’unità familiare – fino a quel punto caotica e disfunzionale – resa in sceneggiatura nella forma di un link telepatico e, filmicamente, in una progressiva indissolubile compenetrazione dei due principali POV narrativi.

Henry Thomas in una scena di E.T. – L’extra-terrestre

Per il design dell’alieno, già al tempo del draft preliminare E.T. & Me, la Mathison lo aveva immaginato come brutto ma non spaventoso: «Una tartaruga senza guscio. L’amore e l’affetto che volevamo mostrare non si basava sull’essere carini». Spielberg cercava qualcosa di più. Sapeva che non sarebbe stato facile dargli il giusto volto: «Fu difficile trovare la giusta rappresentazione di E.T., perché volevo qualcosa di speciale. Non volevo che sembrasse un alieno qualsiasi. Doveva essere qualcosa di anatomicamente diverso, in modo che il pubblico non pensasse che quello fosse un nano in una tuta». Diede così mandato a diversi artisti concettuali tra cui Rick Baker e Stan Winston. A spuntarla fu Carlo Rambaldi che con Spielberg aveva già collaborato in Incontri ravvicinati del terzo tipo, cosa che permise di mantenere una certa coerenza d’immagine con il suo precedente fantascientifico.

Una scena di E.T. – L’extra-terrestre

Toccava dargli una voce adesso. La scelta ricadde su Pat Welsh, un’anziana donna di Marin (California) di cui il tecnico di effetti sonori Ben Burtt si “innamorò” immediatamente. La Welsh fumava infatti due pacchetti di sigarette al giorno. Questo le diede una certa voce rauca e pastosa che si sposava perfettamente con le distorsioni modulari previste da Burtt. Trascorse nove ore e mezza a registrare la sua parte, fu pagata 380 dollari per un giorno di lavoro, e divenne a conti fatti la voce ufficiale di E.T. – L’extra-terrestre, ma non l’unica. La voce del tenero alieno era infatti un’irripetibile miscellanea di campionature che, sullo sfondo vocale della Welsh, videro succedersi Spielberg, Debra Winger (che nel film è presente con un cameo silenzioso divenuto mitologico), il brutto raffreddore della moglie di Burtt, un rutto di un suo professore di cinema, procioni, lontre marine, e cavalli.

E.T. Telefono-Casa

La lavorazione di E.T. – L’extra-terrestre fu molto giocosa per Spielberg che nel dirigere per la prima volta dei bambini maturò quanto fosse pronto a diventare padre. In particolare nel legame che stabilì con Drew Barrymore. L’ultima discendente della leggendaria famiglia di colossi cinematografici (tra cui i mitologici Lionel Barrymore, John Barrymore, e John Drew Barrymore), già a dieci anni mostrava carattere e temperamento da vendere tanto da presentarsi alle audizioni come cantante di una punk rock band. Spielberg la conobbe ai casting di Poltergeist e subito comprese l’immenso talento di quella adorabile bugiarda. E aveva tutte le carte in regola per diventare volto e corpo di Carol Anne Freeling non fosse che, all’ultimo, lo Spielberg produttore scelse la giovanissima Heather O’Rourke per via di quei lineamenti angelici ben più adatti alla natura marcatamente orrorifica di Poltergeist.

Drew Barrymore in una scena di E.T. - L'extra-terrestre
Drew Barrymore in una scena di E.T. – L’extra-terrestre

Dopo giorni di riprese a ritmo serrato la Barrymore iniziò a dimenticare le battute. Spielberg, visibilmente frustrato, la rimproverò salvo scoprire poi che la sua giovanissima attrice stava convivendo da qualche tempo con un fastidioso stato febbricitante. Sentendosi in colpa l’abbracciò per poi darle qualche giorno di pausa spedendola a casa con una nota dal direttore. Nessuno dei bambini comunque, né Henry Thomas, né tanto meno Robert MacNaughton, recitò nel vero senso della parola. Andavano ad impronta adattandosi alla scena. Per facilitare l’esperienza Spielberg scelse infatti di impostare il piano di lavorazione di E.T. – L’extra-terrestre in ordine cronologico: «La loro recitazione non si sarebbe potuta nemmeno definire tale. Era più una reazione agli eventi. Così, come nella vita vera, ogni giorno era una sorpresa.». Una spontaneità facilitata anche dalla precisa scelta di non fraternizzare mai con l’alieno fuori dalle riprese.

Drew Barrymore in una scena di E.T. - L'extra-terrestre
Uno dei baci più famosi del cinema

Barrymore, Thomas e MacNaughton non videro mai l’attore dentro al costume né il costume vuoto o gli animatronics di Rambaldi. Spielberg volle preservare in ogni modo possibile la sospensione dell’incredulità dei suoi giovani attori che, a conti fatti, sapevano dell’artificiosità di E.T. ma non sapevano come elaborarla. Questo facilitò (e non poco) il legame empatico: le lacrime nel climax sono autentiche. I bambini erano realmente tristi per la partenza dell’alieno. Un’intensità emotiva che Spielberg seppe trasporre registicamente impostando la costruzione d’immagine ad altezza bambino così da permettere allo spettatore di vivere l’esperienza di E.T. – L’extra-terrestre attraverso la soggettiva degli occhi di Elliott, e la precisa scelta di mostrare ogni adulto non appartenente alla famiglia Taylor tramite sfuggenti particolari.

Henry Thomas in una scena di E.T. - L'extra-terrestre
L’abbraccio

La ciliegina sulla torta? Le rielaborazioni citazioniste agli immortali Un uomo tranquillo e Miracolo a Milano con cui Spielberg, dalla scopa volante all’ombra del Duomo di Milano alla bicicletta di Elliott resa magica dai poteri del dolce alieno, ha saputo plasmare un autentico miracolo filmico di puro postmodernismo semplicemente dosando oscurità e meraviglia fanciullesca tra le maglie di una narrazione che ribalta l’inerzia dei topos della fantascienza del terzo tipo in chiave teen: l’archetipo del cinema d’avventura per ragazzi dei gloriosi anni ottanta di cui Spielberg è pioniere e ispiratore. Con i suoi 800 milioni di dollari world-wide fu un successo pazzesco E.T. – L’extra-terrestre. Cifra di cui, in via ironica e per certi versi paradossale, poté godere pure la Columbia. Per via di una quota di partecipazione legata alle prime fasi della pre-produzione, beneficiò del 5% di incassi. Involontariamente, il loro maggior successo al botteghino del 1982.

La celebre locandina di E.T. - L'extra-terrestre
La scena iconica

Nelle successive decadi si è spesso discusso della possibilità di un sequel per E.T. – L’extra-terrestre. Spielberg e Mathison scrissero perfino un trattamento dal titolo: E.T. II: Nocturnal Fears. Lo script, oltre a raccontare di un rapimento spaziale per Elliott e i suoi amici, avrebbe allargato il contesto narrativo dell’opera originale svelando, inoltre, il vero nome del dolce alieno: Zreck. La notizia trapelò alla stampa che parlava già di pre-produzione e del budget della Universal. La cosa indispettì Spielberg che, concentrato com’era su Indiana Jones e il tempio maledetto e Il colore viola, abbandonò il progetto per preservare il ricordo dell’unico e solo E.T. – L’extra-terrestre: «È una storia chiusa. Aveva un inizio e una fine definita, e non avevamo nessun posto dove portarlo se non andare a casa con lui. Riportarlo sulla Terra una seconda volta non farebbe altro che privare l’originale della sua magia».

Una scena di E.T. - L'extra-terrestre
L’occhio di Spielberg

Non solo luci nel suo retaggio quarantennale, anche una pesante accusa di plagio. Quella del regista indiano Satyajit Ray secondo cui: «E.T. – L’extra-terrestre non sarebbe stato possibile senza che la mia sceneggiatura di The Alien fosse disponibile su copie ciclostilate». Spielberg si difese affermando che era appena un ragazzino quando la sceneggiatura di The Alien circolava a Hollywood, ma, e il tempismo non sembra proprio essere dalla sua parte, le cose sembrano tristemente coincidere. The Alien fu proposto da Ray alla Columbia nel 1967/Spielberg esordì come regista televisivo nel 1969: tutto torna! Il concept avrebbe ruotato attorno ad un’astronave atterrata nel Bangladesh rurale e alle vite di un giovane ragazzo, un esuberante uomo d’affari indiano (Peter Sellers), un giornalista di Calcutta, e un ingegnere americano (uno fra Marlon Brando e James Coburn).

Tornando a casa

La sceneggiatura di Ray offriva poi una descrizione morfologica e caratteriale dell’alieno (denominato Mr. Ang) che non può non rievocare alla mente quella della dolce controparte spielberghiana: «Un incrocio tra uno gnomo, un bambino, e un rifugiato affamato: testa grande, arti sottili, busto magro. È maschio o femmina? Quello che trasmette è eterea innocenza a cui è difficile associare un grande male o un grande potere». Fortunatamente non si arrivò mai in giudizio. Nonostante il supporto dello scrittore britannico Arthur C. Clarke, Ray non voleva mostrarsi vendicativo e rancoroso verso uno Spielberg di cui apprezzava il talento artistico: «Ha fatto buoni ed è un buon regista». Tanto è bastato per lasciar supposto e mai del tutto macchiato il valore di un’opera imprescindibile come E.T. – L’extra-terrestre. Una grande e preziosa pagina del nostro cinema del cuore.

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Qui sotto potete vedere il trailer del film:

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