ROMA – «How does it feel? […] It feels that… times have changed». Trasudano malinconia le parole scelte da Sam Peckinpah in questo scambio dialogico affidato poi, scenicamente, ai Pat Garrett e Billy Kid del titolo omonimo. La consapevolezza non solo che i tempi fossero cambiati per un western sempre più diretto verso un revisionismo crepuscolare giunto al punto di saturazione, ma anche per lo stesso Peckinpah. Arriva un momento nella carriera di un autore-western in cui capisce quand’è il caso di serrare le fila della sua visione salutando il genere. È stato così, ad esempio, per John Ford con la demitizzazione della Frontiera ne L’uomo che uccise Liberty Valance e la redenzione del ruolo scenico dei Comanches ne Il grande sentiero. Per Sergio Leone fu C’era una volta il west, punto di incontro tra il respiro scenico del western classico e il linguaggio filmico Spaghetti.
Peckinpah scelse la via malinconica. Sentiva che l’eroica tragicità del destino di Pat Garrett e Billy Kid potesse essere l’ideale come saluto di commiato al genere. Affidare cioè a un western storico il compito di chiudere i battenti di un processo di revisione del genere avviato con il rigoroso Sfida nell’alta Sierra e proseguito poi con lo spettacolo sanguinario de Il mucchio selvaggio – risposta diretta agli spaghetti-western leoniani, senza dubbio il suo capolavoro – e il melodicamente scanzonato, quasi clucheriano per certi versi, romantico per altri, La ballata di Cable Hodge. Scelta nient’affatto casuale. Nell’affondare le basi drammaturgiche su uno degli episodi più iconici della storia del west infatti, Pat Garrett e Billy Kid vede amplificare gli intenti artistici di cui si fa portatore in modo esponenziale.
Il dualismo eroe-bandito di cui Peckinpah aveva già dato forma e connotati con il confronto dicotomico Pike-Thornton de Il mucchio selvaggio infatti trova qui nuova linfa grazie allo Sceriffo Pat Garrett (James Coburn) e al fuorilegge Billy Kid (Kris Kristofferson). Agenti scenici anch’essi dall’identica carica valoriale e uniti da un solido legame relazionale – di cui Peckinpah ci dà specifici rimandi già nella prodigiosa sequenza introduttiva in montaggio alternato – che la storia prima e il cinema poi vestono di ruoli archetipici con cui spingerli, inevitabilmente, agli angoli opposti del reticolato narrativo. Sulle note di un Bob Dylan d’annata la cui Knockin’ On Heaven’s Door amplifica il sapore malinconico dell’agire drammaturgico dosato del racconto, Garrett e Kid recitano fino in fondo i ruoli scenico-sociali di Sceriffo e Bandito. Consci del loro essere spettatori dei tempi che cambiano. Di un west non più selvaggio ma civilizzato.
Promotore di un paradigma valoriale di riferimento che finisce con lo svuotare di senso i suoi vecchi eroi e i topos cardine del genere. Lasciandoli infine andare in uno struggente e nostalgico campo lungo all’alba di un nuovo giorno per crearne a quel punto – tra ricalibrature e riletture – di nuovi e originali; o più semplicemente di altri. Non solo questo però. Pat Garrett e Billy Kid rappresentava per Peckinpah l’opportunità con cui regolare i conti con i fantasmi del passato; qui delle fattezze di Marlon Brando e Stanley Kubrick. Buona parte della sceneggiatura rimanda infatti a quella incompiuta de I due volti della vendetta a sua volta ispirata alla vicenda di Pat Garrett e Billy Kid. Il celeberrimo western mancato di Stanley Kubrick del 1961 che, nel pieno della pre-produzione, licenziò l’allora trentacinquenne sceneggiatore Peckinpah cancellando del tutto il suo apporto scrittorio.
Ironia della sorte – e proprio per questo mancato – lo stesso Kubrick subirà lo stesso trattamento dal produttore (e interprete) Marlon Brando che vestirà anche i panni del regista per la prima (e unica) volta in carriera. Dodici anni dopo la chiusa del cerchio. Per Peckinpah tutt’altro che una passeggiata. Il cineasta de La croce di ferro era infatti afflitto da una grave forma di alcolismo. Al punto che la lavorazione giornaliera apriva i battenti con un buon bicchiere di vodka per essere poi scandita da della granatina per frenare i tremori persistenti nel corso del pomeriggio. Per stemperare gli animi incandescenti di una MGM che avrebbe goduto nel licenziare Peckinpah ma finanziariamente con le mani legate (il licenziamento avrebbe visto Monte Hellman subentrare in cabina di regia e l’ammutinamento totale delle maestranze), la troupe scattò una foto scherzosa di lui su di una barella, sorretto dalla sua squadra, e nutrito unicamente da una flebo di whisky. Nonostante tutto Peckinpah riuscì a portare a casa il risultato.
Ma la MGM, non avendo potuto in alcun modo decidere del suo destino – e in tutta risposta – fece pagare il conto all’opera filmica. La post-produzione fu un massacro. Pat Garrett e Billy Kid arriverà nelle sale tronco, montato in via approssimativa (ne verrà fuori infatti un andamento ritmico zoppicante), e con tagli di quasi venti minuti rispetto al minutaggio pensato da Peckinpah: fu un fallimento di critica e pubblico. La versione ufficiale vedrà la luce soltanto nel 2005 per il mercato home video. Al tempo però Peckinpah organizzò proiezioni private tra colleghi cineasti per ricevere pareri e opinioni. Tra questi un entusiasta Martin Scorsese fresco de Mean Streets che finì con il definirlo il suo più grande film dai tempi de Il mucchio selvaggio. In sostanza un capolavoro mancato e un western meraviglioso nella sua imperfezione disarmonica, come tutto il cinema di Sam Peckinpah del resto.
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