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Appaloosa | Ed Harris, Viggo Mortensen e un western che racconta l’uomo

Harris, Mortensen, Irons, Zellweger: e se fosse uno dei migliori western degli anni Duemila?

Appaloosa, nel nostro WestCorn
Viggo Mortensen e Ed Harris in Appaloosa.

MILANO – Appaloosa è il secondo film da regista-interprete di Ed Harris che arrivò nel 2008 a ben otto anni di distanza  dal buon esordio con Pollock e – anche se ai tempi dell’uscita – non gli venne riservata una grande accoglienza di pubblico e critica (fu però presentato alla Festa di Roma), è arrivato il momento di riconoscere che si tratta di un western di assoluto livello, senza dubbio uno dei migliori degli anni Duemila. L’affiatata coppia costituita da Ed Harris e Viggo Mortensen fa da fulcro e impreziosisce una narrazione quanto mai solida e avvincente che, rimanendo aderente ai canoni delle dinamiche classiche del genere, riesce a inserire sviluppi inediti, ironie e tensioni che rendono il film davvero godibile e dimostrano che il western, perché sopravviva con tutta la sua forza, ha semplicemente bisogno di qualcuno che lo sappia fare.

Viggo Mortensen e Ed Harris sul set di Appaloosa
Viggo Mortensen e Ed Harris sul set di Appaloosa

Ma per iniziare questa nuova puntata del nostro WestCorn, partiamo dalla trama: siamo nel 1882, all’alba dell’ultimo scorcio di secolo, un anno di transizione in cui gli eroi del primo west (se sopravvissuti) iniziano ad avere un’esperienza trentennale e una certa età, mentre nuove generazioni di pistoleri si fanno avanti in cerca di nuove sfide e nuove frontiere. Alcuni ancora all’ombra dei maestri in attesa del passaggio di testimone, ma tutti già pronti per mettersi in proprio e scrivere una storia tutta loro. In questo contesto di evoluzione, Appaloosa è una piccola cittadina di frontiera, i cui consiglieri hanno ingaggiato il vecchio Virgil Cole (Ed Harris) e il suo fidato braccio destro Everett (Viggo Mortensen) per riportare l’ordine in città, minacciato dal tremendo Randall Bragg (un affascinante mefistofelico Jeremy Irons). Premessa da manuale, questa, dalla quale si svilupperà tutta la vicenda.

Sul set: Ed Harris con Renée Zellweger

A complicarla (da subito) sarà l’intervento della bella Ally (Renée Zellweger), e poco dopo l’entrata in scena dei fratelli pistoleri Shelton, oltre alle solite complicanze e lungaggini della burocrazia nel far west (e attenzione perché il giudice di turno è interpretato da Bob Harris, padre di Ed). Il film è un omaggio sentito al tardo-western-classico-di-città. Harris gioca a citare gli sviluppi, i personaggi e gli ambienti di film come Sfida infernale (John Ford, 1946) e Quel treno per Yuma (che noi abbiamo già affrontato in una precedente puntata di WestCorn), ma lo fa tenendo un occhio ben strizzato verso il western crepuscolare, soprattutto quando decide di far confluire nel suo protagonista gli eroi stanchi del penultimo John Wayne (che avevamo raccontato qui), quello de L’uomo che uccise Liberty Valance (John Ford, 1962) e di El Dorado (Howard Hawks, 1967, di cui vi avevamo parlato qui).

Ed Harris è Virgin Cole
Harris è Virgin Cole. Non fatelo arrabbiare.

Virgil Cole – che condivide il nome di battesimo con uno dei fratelli Earp, protagonisti della ipercitata sparatoria dell’O.K. Corral- è un infallibile pistolero infiacchito dagli anni, che vive il dramma dell’eroe tragico combattuto tra legge e morale, tra la fredda razionalità che gli impone il lavoro (in cui eccelle) e i solletichi umani dettati da sentimenti repressi per troppo tempo. Ma non è solo una questione di età. Appaloosa (Apple TV+, Prime Video) non è un film nostalgico, né il racconto della fine di un epoca. Certo, il tema del declino è presente, ma è un tramonto gentile e gradito al protagonista. Oltretutto, questo crepuscolo appartiene solo a Virgil e alla sua vicenda, non riguarda il sistema di valori che regge il mondo che lo circonda, il quale continua tranquillamente dopo di lui nella figura di Everett. Anzi, nel mostrare la scelta di Virgil di chiudere la carriera da vincente (o da defunto), il regista esibisce un rispetto quasi sacrale per le liturgie del vecchio West (la vestizione, la stella, i silenzi), le sole capaci di assegnare a ciascuno il suo posto nella Storia.

Viggo Mortensen nel film
Viggo Mortensen nel film

E se c’è una critica presente in questo racconto non riguarda i meccanismi di quel sistema in sé (cioè la religione laica del west fatta di uomini tutti d’un pezzo, ossessionati da un particolare concetto di giustizia e pronti a uccidere e morire pur di stare alle regole del gioco), quel che si prova a contestare, qui, è piuttosto il modo troppo idilliaco e omissivo con cui erano stati tratteggiati i suoi eroi in passato, in tutte le varie declinazioni del genere (crepuscolare e revisionista compresi). L’operazione che compie Ed Harris è di fatto un’anticipazione di quello che faranno quattro anni più tardi (in modo forse più compiuto ed esplicito) Skyfall e The Dark Knight Rises, ovvero la de-mitizzazione dell’eroe-protagonista, il suo ingresso nel mondo dell’imperfetto e del vizio. Dal divino all’umano. Senza nulla togliere all’assoluta professionalità di Virgil Cole, alle sue capacità da pistolero e al suo ruolo sociale (che resta sostanzialmente positivo), in Appaloosa egli ci appare anche con tutti i suoi difetti ed i suoi tic.

L'occhio di Ed Harris
L’occhio di Ed Harris

Ha, per esempio, qualche difficoltà di pronuncia e memoria ed è totalmente incapace di esprimere sentimenti; si rende inoltre protagonista di preoccupanti episodi di violenza gratuita a tendenza autoritaria (quando ad esempio scarica la sua frustrazione colpendo quell’uomo nel bar), ed è un uomo decisamente ridicolo nella sua inabilità a sostenere una conversazione con una donna (del resto non ha mai avuta una, se non a pagando). Il nostro eroe non è un impenetrabile uomo di ghiaccio, ma un signore insicuro che ha bisogno di prevalere sui suoi rivali usando la pistola perché, diciamoci la verità, non sa fare altro e probabilmente sarebbe un emarginato in qualsiasi mondo diverso dal far west. Lo sguardo di Ed Harris è quindi lontanissimo dal concetto di epopea ed è simile a quello degli storici francesi degli Annales (Bloch, Braudel, Pirenne etc.), che smisero di considerare la Storia come un insieme di singoli decisivi eventi e di uomini in grado di pilotarli, per dedicarsi allo studio delle persone reali che vissero un certo tempo, mostrando come le evoluzioni consistano di passaggi profondi e diffusi a livello culturale, economico e sociale.

Jeremy Irons in Appaloosa
Jeremy Irons in Appaloosa

E allora il western non si può esaurire nell’esaltazione o nella condanna dei suoi eroi come più o meno era stato fatto fino ad allora, ma comprende anche la loro vita privata, il loro modo di pensare, la distanza tra noi e loro e la necessità di contestualizzare le loro azioni in un ambiente con dei valori ben precisi. Ma un ambiente reale, non idealizzato. Per questo anche il momento della sparatoria perde la tensione romantica del duello classico, e viene privata sia dei primi piani leoniani, sia del tradizionale ruolo civile (non c’è pubblico), trasformandola in una sfida personale, ricca di motivazioni anche private, e limitata nei suoi effetti: un regolamento di conti privo di clamore che rende zoppo Virgil e gli permette di affermarsi come maschio alfa, ma nulla di più. Tutto qui? No. Allo stesso modo la relazione amorosa perde tutto perde l’aspetto passionale ed è ribaltata nel rapporto maschio-femmina, con il protagonista alle prese con una donna che non sa decifrare e che sostanzialmente non lo ama per quello che è, ma solo per quello che rappresenta. L’amicizia virile è l’unica cosa che sembra potersi innalzare a valore chiave, perché è disinteressata e autentica, dunque salvifica e decisiva: è Everett, alla fine, a regalare a Virgil il suo sogno, andando al di là della legge con grande generosità e concedendogli di vivere in pace da piccolo uomo con un grande passato, in una piccola città, con la sua piccola vita. Mentre lui potrà iniziarne una nuova, cercando il suo posto nel west.

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  • SOUNDTRACK | Il tema di Jeff Beal per Appaloosa.

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