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Quel Treno per Yuma | Glenn Ford, Kierkegaard e il tempo filosofico del Far West

Il capolavoro di Delmer Daves? Incrociava il noir con il western. E molto altro ancora…

Quel Treno per Yuma
Quel Treno per Yuma

MILANO – I più giovani ne riconosceranno il titolo per il remake uscito nel 2007 con Russell Crowe e Christian Bale, una riproposizione a colori che aggiorna l’originale nella maggiore propensione all’azione tipica del nuovo secolo ma che, andando al sodo, non rende davvero giustizia alla composta e complessa incisività dell’originale. Quel treno per Yuma di Delmer Daves del 1957 è un singolarissimo western noir, una pietra miliare per il modo in cui si incastra tra questi due generi e li unifica, la cura con cui li maneggia e la presenza di un attore straordinario e troppo poco spesso citato al giorno d’oggi: il fuoriclasse del sorriso beffardo Glenn Ford (già al fianco di Rita Hayworth in Gilda e vincitore del Golden Globe per Angeli con la pistola).

Van Heflin e Glenn Ford
Van Heflin e Glenn Ford

A questo punto vi starete chiedendo: ma come può, un western, essere anche un noir? Sono i contrasti a fare il miracolo. Innanzitutto quelli netti del bianco-e-nero della pellicola che saltano subito all’occhio, ma anche quei modi con cui si distinguono nettamente interno ed esterno, tra le sequenze parlate con dialoghi scritti chirurgicamente e le cavalcate all’aria aperta, rabbiose, confuse e commentate musicalmente e rumorosamente (a tal proposito, non dimentichiamo il bellissimo e omonimo brano di Frankie Laine con cui partono i titoli di testa). In questo film, per mezzo di una tecnica impeccabile, si contrappongono il singolo e la mandria, il buono e il cattivo, la moralità e la convenienza, l’inganno e la sincerità: tutto è polarizzato. E poi c’è il caro vecchio west a far da contesto, a dettare le regole fondamentali della narrazione, e a separare, a sua volta, chi ha scelto di vivere secondo l’etica profittevole ma precaria della delinquenza da chi ha scelto la famiglia, la terra da coltivare, gli animali da pascolare e i figli da crescere.

Il bianco e nero di Quel Treno per Yuma
Il bianco e nero di Quel Treno per Yuma

I due personaggi principali sono infatti il buon contadino padre di famiglia Dan Evans (Van Heflin) e uno spregiudicato capobranco con il grilletto facile e l’evasione nel sangue che risponde al nome di Ben Wade (l’ottimo Glenn Ford), un nome che fa tremare le ginocchia nel sud-ovest degli Stat Uniti. In loro si specchiano le figure tipiche del noir anni Quaranta, sempre all’interno della cornice del conflitto perpetuo tra legge fuorilegge tipico di un certo western: la scelta tra bene e male, tra ombra e luce, non è infatti mai netta e definitiva, bensì sempre momento di un percorso quasi psicanalitico, in costante pericolo, in bilico tra la tentazione individualista, il calcolo costi-benefici, e la paura di sbagliare, o forse anche quella di essere giudicati dagli altri (e qui il riferimento è al noir maccartista degli Anni ’50, in cui la profonda moralità degli anni Quaranta era ormai perduta).

Quel Treno per Yuma: tra noir e western
Quel Treno per Yuma: tra noir e western

A spuntarla, facendosi sintesi di questo fruttuoso intreccio di generi, è l’eroe comune (e in questo senso non è affatto un caso che il titolo originale del film di Clint Eastwood Attacco al treno sia The 15:17 to Paris, inequivocabilmente ricalcato sul modello di The 3:10 to Yuma). Dan Evans inizialmente è dalla parte della legge solo per soldi, ma finisce per spingersi oltre i limiti dell’ostinazione umana, pur di mantenere la parola e mostrarsi irreprensibile. Forse lo fa per dimostrare qualcosa a se stesso (o al suo avversario?), forse per dare un senso al sacrificio di chi aveva lottato con lui, o forse, direbbero i maligni, perché sceglie di puntare tutto sulla paga certa, invece di rischiare di rimanere a bocca asciutta cadendo nel tranello di un Lucifero sicuramente più astuto di lui che si avvantaggia dello guardo lucido e disilluso di Glenn Ford, infallibile seduttore e imperscrutabile stratega. Il contadino, comunque, verrà ripagato dei suoi sforzi (grazie soprattutto alla benevolenza del suo antagonista).

Una scena del film

E così arriva un finale a sorpresa, inaspettato ma perfettamente coerente con il senno di poi (lascio a voi il gusto di andare a scoprirlo). Un finale per certi versi ottimista, che sembra suggerirci che con le piccole cose possiamo cambiare il mondo e assegna alla miracolosa moralità dell’uomo comune il compito di richiamare il mondo civile ai suoi valori costituenti e fondamentali, rifondandone così la fertilità perduta (la pioggia nel finale è proprio il simbolo di un’auspicata rinascita); ma da un’altra ottica (molto più suggestiva) l’ultima frase di Wade sembra dirci che gli uomini possono essere qualsiasi cosa, e sono buoni o cattivi solo in base alle circostanze, al caso, tutt’al più al ruolo che viene loro assegnato nel grande spettacolo del western che è metafora di vita, di Guerra Fredda (parallelismo dominante in quegli anni), di realtà da affrontare. Nessuno è quello che è, ma solo la parte che interpreta, e i cosiddetti malvagi, i più forti, perdono solo apparentemente, solo per un momento, solo perché sarà per loro più conveniente vincere la prossima volta.

Un momento del film

Per assurdo, se non dovesse arrivare quel treno per Yuma, proprio a quell’ora, il protagonista potrebbe anche esentarsi dalla scelta di vita tra bene e male, rimandandola. Ma il tempo è uno dei fili conduttori del film (e anche qui forse non è un caso che Rapina a mano armata di Kubrick sia solo dell’anno precedente). “Che ore sono?”, “quanto manca?”, “quanto tempo ho?”: in Quel treno per Yuma (in streaming su Prime Video, Apple TV+, CHILI) queste non sono domande di rito, ma questioni esistenziali, perché la vita è una, e qualcuno bisognerà pur essere, prima o poi. E allora il film assume una profondità davvero filosofica, perché pone il tema della scelta (Kierkegaard), all’interno di un sistema in cui è il senso della fine che costringe a darsi un senso (Heidegger) e l’azione si svolge in tempi che si dilatano e si restringono secondo il grado di coinvolgimento del singolo (Bergson) e sulla base della vicinanza e della lontananza del percepito (Einstein). Un capolavoro di western.

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  • VIDEO | Qui per il trailer del film 

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