ROMA – Pezzi di storia da consegnare all’immortalità cinematografica. Se si volesse cercare una specifica ratio dietro all’intero opus di John Ford si potrebbe partire proprio da qui. Da Furore a Il grande sentiero, il maestro Ford ha sempre saputo plasmare la propria effige di narratore eccezionale sul sottile confine tra realtà storica e rielaborazione cinematografica. Sfida infernale – in originale My Darling Clementine, uscito nel 1946 – in tal senso, non fa eccezione andando ben oltre l’abituale inerzia storica del cinema fordiano intrecciandosi con la storia personale dello stesso Ford, qui nelle doppie vesti di regista e testimone della storia concretizzatasi davanti ai suoi occhi. Ma riavvolgiamo il nastro e torniamo indietro di una decina d’anni.

Agli albori della sua carriera, quando faceva da comparsa nei western muti, Ford conobbe proprio lui: l’immortale sceriffo Wyatt Earp. L’eroe dell’O.K. Corral amava l’innovazione del cinema e la finzione western ed era solito – a detta delle cronache dell’epoca – presentarsi sui set, un ricordo inestimabile di cui Ford parlo così al riguardo: «Ero solito dargli una sedia e una tazza di caffè e mi raccontava della sfida all’O.K. Corral, così in Sfida infernale l’abbiamo ricreata esattamente come era stata». Non nei piani iniziali però, preferì custodire il ricordo di quel momento tra le memorie del tempo, del suo tempo. A fargli cambiare idea fu la 20th Century Fox che propose proprio Sfida infernale come ultimo progetto da realizzare per contratto, garantendovi il primo-feticcio Henry Fonda come volto e corpo dello Sceriffo Earp di ritorno ad Hollywood dopo il suo impegno al Fronte.

La prima volta che sentiamo parlare di Sfida infernale è il 1931. Anno in cui Stuart Lake pubblicò la prima biografia su Earp a due anni dalla morte (Wyatt Warp – Frontier Marshall). La storia fu poi ampliata in My Darling Clementine, opera di cui Ford acquistò i diritti. Li acquistò di entrambi a dire il vero. Le due opere biografiche permisero di dare risalto e notorietà alla Sparatoria all’O.K. Corral (26 ottobre 1881). Nonostante la si ritenesse leggendaria dalle parti di Tombstone infatti era ancora poco nota al grande pubblico. A Sfida infernale e al genio registico di Ford il compito di renderlo immortale. Del resto – e il critico André Bazin lo sapeva benissimo – è del western classico americano che stavamo parlando: «Il genere americano per eccellenza», ma non fu affatto facile portarlo alla luce.

Negli ultimi anni infatti i coniugi Earp, Wyatt e Josephine, fecero di tutto per tenere sotto controllo alcuni potenziali scandali, per dirne due: la precedente relazione di Josephine con l’ex Sceriffo di Tombstone Johnny Behan e la relazione sentimentale di Wyatt con Matty Blaycock. Inoltre la coppia fece pressioni su Lake affinché non menzionasse in alcun modo il nome della futura vedova. Non deve sorprendere più di tanto sapere come, dal momento in cui si iniziò a parlare di Sfida infernale, Josephine minacciò cause legali alla Fox e a Ford. Il motivo? Fare in modo che le intenzioni di Lake – e del defunto Wyatt – venissero rispettate. Il risultato? Non c’è traccia di lei in Sfida infernale, e non ne troverete nemmeno nel remake, il successivo – e dal titolo ben più eloquente – Sfida all’O.K. Corral di John Sturges del 1957.

Altra piccola grana (ne ebbe fin troppe Sfida infernale!) riguardava la figura del potentissimo produttore Darryl F. Zanuck. Il magnate della Fox risultata accreditato nei titoli di testa come presenter. Il motivo? A pochi mesi dal rilascio in sala, Zanuck curò il montaggio di una versione pre-release da cui tagliò una decina di minuti di materiale filmico al fine di rendere la storia più rigorosa, meno comica e più seria, che si avvicinasse maggiormente allo stile delle opere letterarie di provenienza che non alla visione fordiana. La cosa, manco a dirlo, piacque pochissimo a Ford che dalla sua fece un grosso lavoro di editing quando si ritrovò fra le mani lo script di Winston Miller: cancellò alcuni dialoghi a senso suo inutili, alleggerì il tono del racconto e lavorò maggiormente sull’aspetto scenografico.

Ecco, Zanuck spinse proprio sul ripristino del tono dello script originario di Sfida infernale, puntando – in particolar modo – su un tema musicale meno austero e più drammatico-epico. Inoltre diede mandato a Lloyd Bacon – regista di scuderia Fox che di Zanuck era fido – di compiere pesanti modifiche sul cut licenziato da Ford. Non deve stupire più di tanto come, all’indomani della fine delle riprese, Ford rifiutò la generosissima offerta che Zanuck gli fece recapitare: ben 600.000 dollari e libertà creativa sterminata, ma era impossibile darla per buona. Per il ruolo di Clementine fu una bagarre Jeanne Crain-Cathy Downs, che vide quest’ultima vincente su esplicita richiesta di Ford. Riguardo Doc Holliday invece fu tutto più difficile.

Si trattava di un ruolo di peso, perfino più rilevante di Earp nell’economia del racconto di Sfida infernale e per cui si pensò a uno fra Tyrone Power, Douglas Fairbanks, Vincent Price e perfino James Stewart. A spuntarla fu sorprendentemente Victor Mature su cui la Fox, a dire il vero, aveva alcune perplessità. Ci si chiedeva in che modo un attore muscolare e dalla fisicità prorompente potesse interpretare un malato terminale e tubercolotico. Mature riuscì benissimo nei suoi intenti caratteriali grazie a una performance calzante, perfetta, intensa, resa eterna da un chiaroscuro da favola. Classico eroe tragico dal destino già segnato a cui Ford affida l’ingrato compito d’essere il simulacro valoriale dell’impossibilità ad accettare il cambiamento. Vittima del suo passato, condannato dal suo presente terminale. Un Amleto-western dall’anima divisa e spezzata, maledetta e autodistruttiva, destinato a una risoluzione che ne svela il ruolo da vero protagonista.

Dall’altra c’è il Wyatt Earp di Fonda dalla caratterizzazione affascinante, ottimista e d’ingenua idealizzazione, ultimo baluardo dei valori della famiglia mascherati da cieca vendetta in apertura di racconto per poi farli maturare in un ruolo costruttivo per il bene della società e il suo progresso. Un uomo di legge portatore sano di modernità contro l’illegalità dell’agire selvaggio che per certi versi rappresenta, ex-post, l’antitesi valoriale, l’altra faccia del Ransom Stoddard de L’uomo che uccise Liberty Valance. La differenza la fa il punto di vista di Ford radicalmente mutato in quei sedici anni. Se infatti in Sfida infernale vede ancora la carica valoriale della Frontiera come prodigiosamente taumaturgica per lenire le pene del suo tempo, ne L’uomo che uccise Liberty Valance tutto tende a dissolversi, lasciando che la realtà lasci il passo alla leggenda.

Su di entrambi – anime caratteriali dicotomiche e opposte – sullo sfondo di una prateria vestita da Monument Valley come luogo crepuscolare d’insita speranza per la civilizzazione e un mondo migliore, Ford cuce addosso un topos del viaggio da manuale tra eventi sottintesi e altri mostrateci in una costruzione d’immagine monumentale che trovano – in Earp in particolare – quella tipizzazione fordiana lasciata vivere a cavallo tra storia, leggenda e ricostruzione filmica la cui morfologia vive di una simbiotica inerzia da arrivo-e-partenza/incipit-climax/fine-inizio dell’arco di trasformazione, degna dell’Ethan Edwards di Sentieri selvaggi: l’eroe fordiano per eccellenza. Nel mezzo c’è il respiro intimo di Sfida infernale e delle sue atmosfere minimali e nostalgiche con punte di speranza verso un domani migliore.

Quello sguardo affettuoso rivolto da Ford verso il Mito della Frontiera e la civilizzazione figlia del suo tempo, dell’orrore bellico del Fronte, che è balsamo dell’anima per l’Autore. Per certi versi infatti quello compiuto da Ford (e Fonda, che per il ruolo di Earp rinunciò a La vita è meravigliosa) con Sfida infernale è il riabbracciare una comfort-zone filmica benevola pressoché inevitabile dopo l’aver ingerito le scorie psicologiche dell’amaro ritorno al mondo civile che troveranno terreno fecondo nella successiva Trilogia della Cavalleria (Il Massacro di Fort Apache, I Cavalieri del Nord-Ovest, Rio Bravo): ritirarsi nel passato e nella carica valoriale degli eroi e negli eventi della grande storia statunitense per cercarvi risposte ai problemi del presente.

Se però nelle opere successive Ford agì di pura catarsi filmica condannando gli orrori (e gli errori) della guerra ripristinando la carica valoriale degli uomini d’onore della Cavalleria (Kirby Yorke e Nathan Brittles) come fossero un faro di speranza nel mondo moderno, in Sfida infernale si trattò di attingere ai valori della storia scegliendo di traslare nella contemporaneità gli eventi mitologici dell’O.K. Corral. Una preziosa pagina di storia e di cinema (western) eterna, oggi come ieri, oltre settant’anni dopo.
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