MILANO – Avvertenza: no, questo articolo non proverà in alcun modo ad essere oggettivo poiché chi si trova qui a scrivere queste poche righe (ma saranno abbastanza) su Hot Corn ritiene che i libri di Philip Dick dovrebbero essere posizionati su tutti i comodini d’albergo. Come la Bibbia negli Stati Uniti. Due le ragioni per cui a Dick non sia stato riservato un posto tra i grandi scrittori del Novecento: primo perché fu solo autore di fantascienza, secondo perché era matto come un cavallo. A lui però – non è un’esagerazione – si deve la fantascienza moderna, e proprio per questo il cinema ha pescato a mani basse dalla sua ipertrofica produzione. Come? A volte bene, a volte male, una volta in modo magnifico.

Il più grande adattamento di una sua opera? Blade Runner, senza dubbio, capolavoro del 1982, tratto da Il cacciatore di androidi del 1968, il cui geniale titolo era Do Androids Dream of Electric Sheep? Megalopoli multietniche sovraffollate, problemi climatici, corporation con potere di vita e di morte, uso quotidiano di strumenti ipertecnologici fanno da sfondo ad una sceneggiatura semplice ed efficace: la caccia dell’agente Rick Deckard agli androidi della serie Nexus. Il film perfetto di fantascienza, uno dei film più influenti in assoluto dal punto di vista visivo, vide la luce prima della computer graphic. Ennesima dimostrazione che nel cinema la realizzazione è al servizio dell’immaginazione, non viceversa. E Blade Runner 2049? Un affascinante sequel che meritava più attenzione.

Libro e film sono due opere simili, ma anche molto diverse. Ognuna fondamentale a modo proprio, non solo per il genere di appartenenza. Giusto per chiarire la loro influenza: vi siete mai chiesti perché Google abbia un sistema operativo che si chiama Android e perché la propria serie di telefoni di punta si chiami Nexus? Ecco. Adattamenti importanti e riusciti da Philip K. Dick sono anche Atto di Forza e Minority Report. Il primo diretto da Paul Verhoeven nel 1990 con Schwarzenegger e una giovane Sharon Stone, liberamente tratto dal racconto Ricordiamo per voi. Meno forte di Blade Runner da un punto di vista visivo, la trama è tipicamente dickiana: un uomo tranquillo entra in un’agenzia specializzata in esperienze virtuali e comincia un’avventura che lo pone a capo della resistenza. Ma è vero oppure è l’innesto virtuale? Il remake del 2012 non aggiunge nulla.

Più ambizioso il progetto Minority Report del 2002, firmato da Steven Spielberg con Tom Cruise. Nel film i crimini sono scomparsi grazie all’azione della polizia pre-crimine e alle capacità extrasensoriali dei “precog” che, prevedendo il futuro, consentono di prevenire qualsiasi gesto violento e illegale. In un mondo dove il reato si basa sull’intenzione, cosa succede se il cacciatore diventa ingiustamente cacciato? Il film è un buon action movie, visivamente potente e ottimamente costruito. Certamente un buon film di fantascienza.

Negli ultimi anni Philip Dick è stato inevitabilmente scoperto anche dalle serie tv, con quattro titoli messi in produzione: Total Recall 2070, The Man in the High Castle poi diventato la serie Amazon L’uomo nell’alto castello, Minority Report (serie Fox del 2016) e Electric Dreams (non male, la trovate su Prime). Una delle più importanti rimane proprio L’uomo nell’alto castello, tratto dal suo romanzo La svastica sul sole, firmato nel 1962, ambientato in un passato alternativo dove Hitler e i giapponesi escono vincitori dalla Seconda Guerra Mondiale. Tra gli altri titoli ispirati ai suoi racconti anche Paycheck di John Woo, con Ben Affleck, A Scanner Darkly del 2006 con Keanu Reeves, I guardiani del destino con Matt Damon e Next con Nicolas Cage.

Tutti questi titoli sono un ottimo esempio di quanto Philip Dick sia stato per il cinema una fonte di ispirazione, limitandosi quasi sempre a sfruttare l’estetica dei mondi di cui è stato costruttore, ma senza portare sullo schermo quella “vibrazione interiore“, oscura e mistica, che unisce tutte le sue opere e che solo Blade Runner ha saputo riprodurre. Non è un caso che Ubik, il suo più grande romanzo del 1969, non sia mai diventato cinema: la complessità di una trama sciolta, dove anche la barriera tra vivi e morti viene meno, rende impossibile qualsiasi riadattamento. L’universo dickiano non è fatto di astronavi e robot, ma di una stratificazione onirica di livelli della percezione, dove sotto ogni velo della realtà si cela un livello più oscuro.

Le allucinazioni dello scrittore, conseguenza di una malattia mentale che gli rendeva impossibile distinguere realtà ed immaginazione, alimentarono dolorosamente il suo smisurato talento letterario, consentendogli di edificare mondi dal buio più profondo del proprio disagio mentale. Il cinema gli deve tanto e non solo per i titoli correlati ai suoi scritti, ma anche per tutti i titoli ispirati allo spiazzante buio dei suoi universi, da L’esercito delle 12 scimmie a Vanilla Sky, Donnie Darko fino a Memento e Inception di Nolan. E a Dick andrebbe riconosciuta non solo la profonda influenza su cinema, tv e letteratura ma anche sul mondo dell’elettronica di consumo e della tecnologia. Ma questa è un’altra storia.
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