ROMA – Sporco, conflittuale, viscerale. La sua America – antitesi dell’American Dream – la sua politica, i diavoli e la sua polvere. Da quando se n’è andato – a 85 anni, il 22 maggio del 2018 – l’ombra del gigantesco Philip Roth si è fatta ancora più densa, la sua figura più ingombrante. Tra i più grandi romanzieri del Novecento, Roth è stato capace di costruire un quadro letterario dentro cui ha riflesso umanità, biografia, politica, storia, evoluzione (e involuzione) degli Stati Uniti. Oltre trenta libri, feroci, reali, spiazzanti, pagine in cui Roth ha mescolato anima, testa e cuore. E il cinema, non indifferente, mai indifferente, ha tentato spesso di scavare nei suoi romanzi, provando a tradurne – e non era facile – tutta la complessità.
Diverse le pellicole tratte dai romanzi di Roth, diversi i risultati e le intenzioni, considerando sempre un fattore importante, che spesso viene dimenticato: il film tratto da un libro non deve, necessariamente, essere una copia, ma qui l’impresa era ardua vista la prosa e lo stile di un autore come lui. Non andiamo in ordine cronologico nel ricordare i sette film tratti da Roth, così partiamo da uno dei tentativi più difficili, ovvero quello de La macchia umana, in cui Robert Benton dirigeva Nicole Kidman, Ed Harris, Gary Sinise (nella parte di Nathan Zuckerman, alter ego di Roth in tanti scritti) e Anthony Hopkins, in una storia centrata su Coleman Silk, professore in un’università del New England, accusato di razzismo.
Uscito nel 2003 e oggi facilmente reperibile in flat su Prime Video, il film con le sue differenze e con le sue incogruenze rispetto al libro, riesce solo in parte a rendere l’immagine di quell’America ipocrita e sola alle spalle di tutto e ai tempi venne massacrato dalla critica. Ad eccezione de La ragazza di Tony di Larry Peerce, uscito nel 1969, tratto da un racconto contenuto in Addio, Columbus, con cui Roth esordì nel 1959, e Lamento di Portnoy diretto da Ernest Lehman nel 1972, sono gli anni Duemila il periodo in cui si sono concentrate le pellicole ispirate ai romanzi dello scrittore. Per caso o per volontà, tutti film usciti dopo l’11 settembre 2001, momento in cui l’America, pagando un prezzo altissimo, ha dovuto fare i conti con la propria coscienza.
Nel 2008, dopo una trafila produttiva complicata (doveva esserci Muccino al posto di Isabel Coixet e Al Pacino al posto di Ben Kingsley), ecco Lezioni d’amore, titolo assurdo, basato su L’animale morente, dove il professore Kepesh (altro character ricorrente), era la metafora di Roth per parlare di incomunicabilità, erotismo e sottrazione. Il film al momento non esiste in streaming e sembra essere sparito dalla circolazione. Tra i più adiacenti alle pagine di Roth c’è però stranamente un inedito, mai passato al cinema: Indignazione, uscito nel 2016, transitato per il Sundance e diretto da James Schamus, film minore ma assolutamente da ripescare (lo trovate a noleggio su Prime Video e AppleTv+) in cui Logan Lerman interpreta Marcus Messner, di famiglia ebrea ma ateo, arrivato in Ohio in un college cristiano, con i tratti del film/libro estremamenti autobiografici.
Tra i sette titoli – senza contare la serie tratta da Il complotto contro l’America che trovate su NOW – ci sono due titoli di Philip Roth, secondo noi, da riscoprire oltre a Indignazione. Il primo è il discontinuo The Humbling, dal sempre ottimo Barry Levinson, con un una coppia di generazioni a confronto: Al Pacino e Greta Gerwig, eccezionali entrambi (il film lo trovate a noleggio su Prime Video e AppleTv+). Roth, nel romanzo, che si titolava L’umiliazione, metteva al centro la perdita dell’identità, con un attore di teatro, Simon Axler, che non riusciva più a nutrirsi dell’applauso del pubblico. Il film è altalenante, ma Pacino ha alcuni momenti superlativi.
L’altro, ambizioso e coraggioso, è Pastorale americana. Capitolo unico nella storia della letteratura, straziante, poetico, oscuro. La storia di un padre e di una figlia persa e attesa, la provincia con le sue casette basse, i working class heroes, le tensioni razziali, gli anni Sessanta e il Watergate. A far suo ”il più grande romanzo americano”, ci provò Ewan McGregor due anni fa, con un esordio alla regia ambizioso, American Pastoral, con il titolo non si sa perché lasciato in inglese anche nella versione uscita nelle sale italiane e che ora trovate su Prime Video in flat.
Il risultato? Grande cast, momenti differenti, ma da vedere, nonostante le difficoltà e le critiche. Del resto, ci vuole fegato per portare un libro del genere sullo schermo, con un personaggio, Seymour Levov, detto lo Svedese, che avrebbe bisogno almeno di sette stagioni di una serie, altro che Il Trono di Spade. Anche perché, citando proprio Philip Roth e Pastorale americana, «in un modo assolutamente inverosimile, ciò che non avrebbe dovuto accadere era accaduto e ciò che avrebbe dovuto accadere non era accaduto…».
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