in

Il buio oltre la siepe | Gregory Peck, quelle pagine e la modernità di Atticus Finch

Il romanzo di Harper Lee, Robert Duvall, la scelta di Spencer Tracy. Dietro le quinte di un cult

Gregory Peck e la piccola Mary Badham in una scena de Il buio oltre la siepe.

ROMA – Ma perché sarebbe un peccato uccidere un usignolo? «Perché sono uccellini che non fanno niente di male, cantano e fa piacere sentirli […] Non fanno che rallegrarci con il loro cinguettio». Così spiega, ad un certo punto, Atticus Finch attraverso la voce ed il volto di Gregory Peck ne Il buio oltre la siepe, rievocando il ricordo di quando suo padre gli regalò un fucile. «Prima o poi la tentazione di sparare agli uccellini mi avrebbe vinto. Potevo sparare a tutti gli uccelli che volevo, se li coglievo, ma che era peccato sparare ad un usignolo…». Eppure è proprio questa la traduzione all’italiano del titolo originale del libro e del film: To Kill a Mockingbird ovvero Uccidere un usignolo. Più una metafora che un gioco di parole, che ci insegna come non bisognerebbe mai ferire o uccidere tutte le anime fragili del mondo. Come Boo Radley (Robert Duvall), che tanto faceva paura a Scout (Mary Badham) e Jem (Phillip Alford).

«[…] era peccato sparare a un usignolo»
E poi il vero titolo italiano. Il buio oltre la siepe che soltanto nel climax non farà più paura, perché a quel punto: «Avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva da casa dei Radley e guardare la città e le cose dalla loro veranda», il nostro viaggio tra le pieghe della narrazione de Il buio oltre la siepe per questa puntata di Longform – le altre le trovate qui – parte proprio da lì. Nello specifico dall’omonimo romanzo del 1960 di Harper Lee liberamente ispirato al caso degli Scottosboro Boys – nove adolescenti afroamericani accusati, in Alabama, di violenza sessuale (presunta, mai avvenuta) su due prostitute bianche su un treno nel 1931 – che l’anno successivo fu insignito del Pulitzer per la letteratura. Non ci volle molto prima che Hollywood si accorgesse del potenziale cinematografico dell’opera della Lee. Il più veloce fu il produttore (e regista) Alan J. Pakula che propose il progetto alla Universal.

I titoli di testa de Il buio oltre la siepe
I titoli di testa de Il buio oltre la siepe

Interrogato dagli executives su di un possibile script disse loro: «Avete letto il libro? Bene, questa è la storia». E ci credeva tantissimo Pakula sulla riuscita de Il buio oltre la siepe. Pensate che fu il secondo dei sei film prodotti dalla Pakula-Mulligan Productions (Prigioniero della paura, Strano incontro, L’ultimo tentativo, Lo strano mondo di Daisy Clover, Su per la discesa, La notte dell’agguato) fondata assieme al regista del film, Robert Mulligan, in collaborazione con la Brentwood Productions di quel Gregory Peck che, ironicamente, in origine avrebbe dovuto figurare solo come produttore. Fu Spencer Tracy infatti la prima scelta di Pakula e Mulligan per dare volto e corpo ad Atticus Finch, e avrebbe anche accettato la proposta se non fosse stata per la contemporanea lavorazione de Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo. James Stewart invece declinò l’offerta bollando lo script come: «Controverso, troppo progressista».

Gregory Peck è Atticus Finch in una scena de Il buio oltre la siepe
Gregory Peck è Atticus Finch

Forte del suo status di stella numero uno della Universal, anche il Rock Hudson de Il Gigante (di cui potete leggere qui) fece di tutto per ottenere il ruolo, ma né Pakula né Mulligan sentirono ragioni, preferendovi Peck che dalla sua rimase favorevolmente impressionato dal precedente de Prigioniero della paura. Scelsero bene, entrambi. Con Il buio oltre la siepe infatti Peck vide il suo apogeo artistico realizzando la performance attoriale definitiva. Nel suo Atticus Finch – giudicato dall’American Film Institute nel 2003 come il più grande eroe cinematografico del XX secolo – vivono infatti amor patrio e figliare, dolcezza e durezza, risolutezza e spensieratezza, saggezza e solidarietà. Una dimensione caratteriale multistrato e polivalente resa leggendaria dal suo interprete che finì con il valergli il plauso della stessa Lee, estasiata dal talento di Peck e dalla sua devozione.

Una scena del film e quei due oggetti fondamentali per la trama.

Il motivo? Atticus Finch fu ideato dalla Lee ispirandosi alla propria figura paterna: Amasa Coleman Lee, da lei definito come: «Un uomo di saldi principi, amabile, tenero, affettuoso con i bambini, onesto e risoluto». Editore del quotidiano Monroeville oltre che avvocato, nel 1923 difese due afroamericani dall’accusa di omicidio. Non fu mai un giusto processo. I suoi clienti furono frettolosamente giudicati colpevoli, quindi condannati, impiccati e infine mutilati. Tanta fu la delusione che da quel giorno A.C. Lee non volle più esercitare la professione legale. In preparazione al ruolo, non solo Peck lesse avidamente Il buio oltre la siepe, ma volle conoscere l’allora ottantaduenne A.C. Lee stringendovi una solida amicizia. Poco prima del rilascio in sala – il 20 dicembre 1962 – Lee morì per continuare a vivere, romanticamente, nella performance di Peck, o per dirla con le parole dell’autrice: «In quel film l’uomo e la parte si sono incontrati».

Mary Badham e Gregory Peck in una scena de Il buio oltre la siepe
Mary Badham e Gregory Peck

«Ho ricevuto molte offerte per fare de Il buio oltre la siepe tante cose: un musical, un film televisivo, una piéce, ma ho sempre rifiutato. Quel film è un’opera d’arte e lo è grazie a Gregory Peck». Negli anni il legame tra Peck e Finch ha finito con l’essere simbiotico, inscindibile: era praticamente impossibile pensare all’uomo senza menzionare il ruolo. Qualcosa di cui si rese conto la Lee da subito, rivelando anni dopo: «Quando seppi che sarebbe stato lui ad interpretare Atticus fui felice. Gli anni mi hanno rivelato poi un segreto. Gregory non ha mai interpretato Atticus, ma sé stesso, e quando interpretava sé stesso toccava il mondo intero…». E lo fece sul serio. Agli Oscar 1963 infatti Gregory Peck verrà insignito della statuetta, la prima (e unica) della sua brillante carriera, a detta sua però un risultato sorprendente e inaspettato.

«Si alzi, Miss Jean Louise: sta passando suo padre».

Certo, meritato. Anzi, meritatissimo. Ci mise tutto sé stesso per dar vita ad Atticus Finch: «Tutti i miei sentimenti, tutto quello che avevo imparato in 46 anni sulla vita, la famiglia, sull’essere padre, sui figli, e sulla giustizia razziale, le disuguaglianze e le opportunità». Il resto lo fece la scena madre del tribunale con quel lungo e meraviglioso monologo di sei minuti e mezzo vestito di arringa processuale sul valore (e il rispetto) della natura umana che pose il sigillo sulla valenza filmica de Il buio oltre la siepe. Ma non avrebbe messo la firma su una sua vittoria in quella notte degli Oscar del 8 aprile 1963, dando per scontato il successo dell’amico Jack Lemmon – dopo averlo sfiorato appena con L’appartamento (di cui potete leggere qui) – come disperato-e-bruciante alcolizzato ne I giorni del vino e delle rose. La storia, fortunatamente, scelse diversamente.

Mary Badham, John Megna e Philip Alford in una scena de Il buio oltre la siepe
Mary Badham, John Megna e Philip Alford

Del resto, e non c’è da stupirsi più tanto che sia andata così: Il buio oltre la siepe fu un successo commerciale strepitoso, con appena due milioni di dollari di budget e oltre venti milioni di dollari di incassi nel solo mercato statunitense, per poi trionfare, agli Oscar, anche nelle categorie Miglior scenografia e Sceneggiatura non originale. E non solo Gregory Peck, larga parte del successo del film è ascrivibile all’apporto dei piccoli Mary Badham e Philip Alfort. Entrambi al battesimo di fuoco – ed entrambi meteore che di lì in avanti andranno a svanire del tutto dal panorama – Mulligan, un po’ sulla scia del metodo adottato poi da Steven Spielberg per la direzione dei bambini ne E.T. – L’extra-terrestre (di cui potete leggere qui), puntò sulla loro spontaneità piuttosto che sulla ricerca delle giuste sfumature interpretative. Ci vide bene.

«Accadde tutto in una notte, la notte più lunga, più terribile… e insieme la più bella di tutta la mia vita»

La Badham, che nel corso della lavorazione stringerà un’affettuosa amicizia con Peck divenuta poi leggendaria – i due resteranno in contatto per tutta la vita chiamandosi con i nomi scenici di Scout e Atticus – verrà candidata agli Oscar nella categoria Miglior attrice non protagonista: la più giovane di sempre con i suoi nove anni di età, ma non la più giovane vincitrice (Tatum O’Neal per Paper Moon, di cui potete leggere qui). Coincidenza volle infatti che a trionfare sarà un’altra attrice prodigio, l’allora quattordicenne Patty Duke per Anna dei miracoli. Non bastasse tutto questo, Il buio oltre la siepe rappresentò anche il primo vero ruolo accreditato per Robert Duvall scoperto, per puro caso, dallo sceneggiatore Horton Foote durante la messa in scena di una sua produzione (The Midnight Caller) alla The Neighborhood Playhouse di New York.

Robert Duvall è Boo Radley.

Divenuti presto amici, fu Foote a fare il nome di Duvall a Mulligan per la parte di Boo Radley (che poi diede anche il nome a una band inglese, The Boo Radleys). Ruolo piccolo ma essenziale nell’economia del racconto de Il buio oltre la siepe, a cui Duvall dedicò anima e corpo: tinse di biondo i capelli e passò le successive sei settimane lontano dalla luce solare così da rendere al meglio l’essenza problematica del fragile e solitario vicino di casa Finch: l’inizio di una straordinaria ascesa artistica che lo vedrà imporsi, tra Il Padrino (di cui potete leggere qui) ed Apocalypse Now (e qui), come uno degli artisti più apprezzati da critica e pubblico, ma quella, si sa, è un’altra grande storia del nostro amato cinema…

  • DOCCORN | Hey, Boo, alle origini de Il buio oltre la siepe
  • LEGENDS | Come (ri)scoprire Gregory Peck in streaming

Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

Lascia un Commento

Fotinì Peluso

VIDEO | Fotinì Peluso: «L’esperienza sul set de Il Colibrì e il mio mito Monica Vitti»

VIDEO | Alessio Della Valle: «L’esperienza sul set di American Night, il futuro e i miei riferimenti…»