MILANO – No, lo scorso anno Natalie Portman non è proprio riuscita a trattenersi quando, sul palco dei Golden Globes per consegnare il premio al Miglior Regista, senza seguire il discorso che scorreva sui monitor davanti a lei, sbottò in un «Here are the all-male nominees…» tra la risata nervosa di Ron Howard e l’imbarazzo stizzito di Guillermo Del Toro. Neanche dodici mesi dopo quello stesso momento è stato scelto da Alma Har’el per accompagnare il suo (polemico) post Instagram all’indomani della diretta streaming in cui sono state svelate le candidature per l’edizione del 2020. «Non sono la nostra gente e non ci rappresentano. Non cercate la giustizia nel sistema di premiazione» ha sentenziato la regista di Honey Boy. Ma il suo evidente malcontento non è rimasto solo a lungo. Al coro della delusione si è aggiunta anche Saoirse Ronan che, grazie a Piccole Donne si è aggiudicata la sua seconda nomination ai Golden Globe.

E allora perché la delusione direte voi? Per l’esclusione dalla rosa dei candidati dell’amica e regista Greta Gerwig, palesemente snobbata dai membri dell’Hollywood Foreign Press Association per il suo Piccole Donne. «Sono eternamente grata a Greta per la sua guida e collaborazione e per la sua feroce perseveranza che ha unito insieme questo cast incredibile creando un ambiente che ci ha reso una famiglia reale», ha sottolineato l’attrice a Today durante il tour promozionale del film, «Ha realizzato uno dei migliori film dell’anno, ma è vitale che accadano cose del genere perché ci ricordano di quanto lontano dobbiamo ancora andare. La mia prova in Piccole Donne appartiene a Greta tanto quanto appartiene a me e condivido completamente questo riconoscimento con lei».

E no, l’onda di critiche che ha investito i novanta giornalisti che compongono la giuria non si è fermata qui. Ultima in ordine di tempo Melina Matsoukas, la regista di origini cubane che quest’anno, dopo essersi ritagliata un posto in prima film nella regia di videoclip, ha debuttato sul grande schermo con Queen & Slim raccogliendo consensi tra festival e critica. Consensi che, a quanto pare, non sono bastati a catturate l’attenzione dei Golden Globes. «Abbiamo organizzato tre proiezioni per l’HFPA e quasi nessun membro ha partecipato», ha raccontato la regista a Variety, «Per me quesro riflette l’organo di voto e non la società in cui viviamo o l’industria così com’è oggi. Non danno valore alle storie che rappresentano tutti noi e quelle stesse storie sono così spesso ignorate e screditate così come lo sono i loro registi».

Ma se da un lato, anche quest’anno, le registe donne sono state ignorate ed escluse dalle categorie di Miglior Film e Miglior Regia ai Golden Globes – in un anno che vanta i successi di Lulu Wang (The Farewell), Kasi Lemmons (Harriet), Lorene Scafaria (Le ragazze di Wall Street) e Marielle Heller (Un amico straordinario) Olivia Wilde (La rivincita delle sfigate) – ecco che il 2020 sfodera già il suo asso nella manica. Quale? Cinque dei maggiori titoli in uscita sono diretti da donne. Birds of Prey di Cathy Yan, Mulan di Niki Caro, Black Widow di Cate Shortland, Eternals di Cholé Zhao e Wonder Woman 1984 di Patty Jenkins. Se, secondo quanto riportato da Variety, quindici dei cento film con maggiore incasso del 2019 sono stati diretti da donne – con un incasso di 1,23 miliardi sui 2,79 incassati globalmente – il 2020 si preannuncia epocale per l’industria di Hollywood.

Un cambiamento di una tale portata capace di cambiare il profilo di un’industria e di un genere per anni – tranne qualche isolata eccezione – quasi esclusivamente gestita e modellata da uomini. Un risultato raggiunto dopo anni di polemiche e battaglie per la parità in un’industria – stando a quanto dimostrato dalle recenti candidature dei Golden Globes – ancora bipolare. A cosa porterà tutto questo? Di certo stabilirà un prima e un dopo ma i risultati a livello di riconoscimenti effettivi – e non solo per i cinque film in questione – li scopriremo tra un anno, all’incirca in questo stesso periodo…
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