ROMA – Subito dopo il successo strepitoso de Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, per Steven Spielberg e George Lucas si poneva l’interrogativo di come poter fare meglio di così. Non era facile. Spielberg poi era sempre molto refrattario al concetto di sequel. Il motivo? Perché sarebbe comunque stato impossibile accontentare tutti: «Il pericolo nel fare un sequel è che sai che non puoi soddisfare tutti. Se dai alle persone lo stesso film con scene diverse ti dicono che potevi essere più originale, se però dai lo stesso personaggio in un’altra fantastica avventura – ma con un tono diverso – rischi di deludere l’altra metà del pubblico». In buona sostanza, vinci e perdi comunque vada. Da qui parte il nostro viaggio nei meandri narrativi di Indiana Jones e il Tempio Maledetto o di come prendere entrambe le direzioni e non vincere, ma nemmeno perdere.
Perché è un caso filmico particolare Indiana Jones e il Tempio Maledetto, un sequel che però è un prequel dal tono e della forma filmica dicotomica al precedente de I Predatori dell’Arca Perduta per humour, spirito, ritmo, perfino nella caratterizzazione dello stesso Indiana Jones di Harrison Ford più avventuriero temerario e sciupafemmine che non professore universitario idealista a caccia di artefatti, a detta di Lucas la ragione è presto detta: «Lo abbiamo reso un prequel perché non volevo che Indy lottasse ancora contro i nazisti. Avevamo idee su Sun Wukong/Re Scimmia, perfino su di un castello infestato in Scozia, ma Steven aveva appena fatto Poltergeist e disse di no. Stavamo lottando per trovare un altro MacGuffin ma non siamo riusciti a trovare niente che fosse efficace come l’Arca Perduta. Certo, avevamo le Pietre di Sankara, ma non erano all’altezza».
L’unica certezza era che il film dovesse essere necessariamente: «Oscuro, nel modo in cui L’Impero Colpisce Ancora era il secondo atto oscuro della trilogia di Star Wars» da cui emerse la visione di Lucas per Indiana Jones: una trilogia. A detta di Spielberg infatti: «George disse che se avessi diretto il primo allora avrei dovuto dirigere una trilogia. Aveva in mente tre storie, ma c’era un problema però: non aveva tre storie in mente e avremmo dovuto inventarle successivamente». Quel che ben presto capì Lucas lavorando sullo script de Indiana Jones e il Tempio Maledetto è che la saga di Indy non possedeva le stesse inerzie narrative di Star Wars: «Abbiamo faticato a far andare avanti le cose perché non è una storia tagliata in piccoli pezzi come in Star Wars, questi erano veri sequel privi di alcun collegamento con il capitolo precedente».
Ed ecco spiegata la scelta del settare Indiana Jones e il Tempio Maledetto come un prequel de I Predatori dell’Arca Perduta. Non aveva nulla a che vedere con il non riproporre i nazisti come cattivi così da ampliare il mondo (e gli interlocutori villanici) di Indy, piuttosto da intendersi come una scappatoia, un far fuori la minaccia perfetta in termini narrativi e valoriali per provare qualcosa di nuovo e (soprattutto) di totalmente slegato al recente-e-glorioso passato. Non del tutto però. In origine infatti Spielberg avrebbe voluto riportare in scena Marion Ravenwood (Karen Allen) così da introdurre Abner Ravenwood ed esplorare, al contempo, la backstory della coppia Indiana Jones/Marion. In quel draft Lucas immaginò Indiana Jones e il Tempio Maledetto come «Un pastiche de Il mondo perduto con una valle nascosta in una regione remota della Cina abitata da dinosauri» con tanto di corsa in moto sulla Grande Muraglia.
E avremmo potuto vedere realmente un Indiana Jones e il Tempio Maledetto con queste forme filmiche. A pensarla diversamente fu il Governo cinese che – dopo aver letto lo script di Lucas –negarono loro il permesso per filmare in territorio asiatico. L’idea del castello scozzese fu la più spendibile seppur opportunamente modificata in quel Tempio Maledetto in India che darà poi il titolo al racconto. Lucas iniziò a raccogliere idee che prevedessero un culto religioso riconducibile alla schiavitù di bambini, magia nera, possessione e sacrificio umano rituale. Tematiche da cui, lo sceneggiatore de I Predatori dell’Arca Perduta Lawrence Kasdan, scelse di tirarsi indietro: «Non volevo essere associato in alcuna maniera a Indiana Jones e il Tempio Maledetto. Ho pensato che fosse un concept orribile, cattivo, nulla di cui aver piacere a scrivere. Un film brutto e meschino che penso riflettesse il caos nelle loro vite in quel periodo».
Dalla sua Kasdan preferì concentrarsi interamente sul grandioso e verboso Il grande freddo (qui per il nostro Longform) ma furono critiche, le sue, sposate in pieno dai due autori, a detta di Lucas infatti: «Stavo per divorziare ed ero davvero di pessimo umore in quel periodo. Volevo davvero rendere Indiana Jones e il Tempio Maledetto un film cupo, oscuro» – per poi proseguire svelando un retroscena su Spielberg – «Steve aveva appena rotto con la sua ragazza e quindi era coinvolto parecchio in quel mood: ecco dove e come eravamo a quel tempo». Spielberg finì con il sentirsi a disagio – e non poco – con il tono cupo delineato da Lucas e in più occasioni cercò di impiantare elementi umoristici estemporanei in modo da alleggerirlo un po’, in ogni caso tra tutti è il film della pentalogia che ricorda con poco piacere.
«Non sono mai stato contento de Indiana Jones e il Tempio Maledetto, è il film che preferisco meno della trilogia (al tempo ndr). Troppo oscuro, sotterraneo, orribile, troppo vicino a Poltergeist per i miei gusti, privo di sentimento o di un tocco personale». Non tutto da buttare nell’esperienza del film per Spielberg, fu su quel set che conobbe quella che poi sarebbe diventata la sua seconda moglie Kate Capshaw, o per dirla con le sue parole: «Ci siamo sposati anni dopo, nel 1991. È lei la cosa più bella che ho ottenuto da quel film, forse è per questo che ero destinato a realizzarlo». Dalla sua la Capshaw non ha mai amato particolarmente il personaggio di Willie Scott – che ottenne dopo un testa-a-testa con una giovane e (molto) poco arrendevole Sharon Stone – da lei barbaramente definito come «Nulla di più che una stupida bionda urlante».
E ne fece di urla la Capshaw nel film: ben 71 e le fu insegnato come urlare durante le riprese. Era la prima critica di sé stessa e del suo personaggio, tanto che, quando nel 1984 andò ospite al The Tonight Show con Johnny Carson per promuovere Indiana Jones e il Tempio Maledetto zittì gli eminenti critici cinematografici Gene Siskel e Roger Ebert che – ospiti dopo di lei – la bollarono come «Sfigata e piagnucolosa» rispondendo a tono: «Ehi! Sono qui, non parlate di me come se non ci fossi!». Tornando invece a noi e alla realizzazione, il netto rifiuto di Kasdan spinse Lucas ad affidarsi agli sceneggiatori Willard Huyck e Gloria Katz che, oltre ad aver già collaborato con Lucas per American Graffiti, erano molto ferrati in cultura indiana. Invitati allo Skywalker Ranch vi rimasero per quattro giorni per discutere la storia con Lucas e Spielberg.
A quel punto, sulla scia dell’indimenticabile Gunga Din di George Stevens del 1939, concepirono le prime idee narrative per Indiana Jones e il Tempio Maledetto sulla base di due elementi: che Indy avrebbe recuperato qualcosa rubato da un villaggio e avrebbe deciso se – o meno – restituirlo, e che il film sarebbe iniziato in Cina per concludersi in India. Nelle intenzioni originali di Lucas la spalla di Indiana Jones sarebbe dovuta essere una principessa verginale, ma a Huyck, Katz e Spielberg l’idea non suonava bene. Si optò così per una scissione del personaggio che diede forma caratteriale a Willie e al piccolo Short Round (Ke Huy Quan, al debutto assoluto) che, proprio come Indiana Jones che prese il proprio nome dall’Alaskan Malamute di Lucas, erano – rispettivamente – il nome del Cocker Spaniel di Spielberg e del cane di Huyck.
Giunti al maggio 1982 Lucas butto giù il primo trattamento de Indiana Jones e il Tempio Maledetto – al tempo intitolato Indiana Jones e il Tempio della Morte – da cui Huyck e Katz realizzarono il primo draft di sceneggiatura, poi l’intuizione. Perché, parallelamente al secondo capitolo di Indy, Lucas, Huyck e Katz stavano sviluppando lo script del comico Benvenuti a Radioland che vedrà poi la luce nel 1994 per la regia di Mel Smith. Ecco, a detta di Spielberg: «L’idea di George era di iniziare il film con un numero musicale. Voleva fare un numero di ballo di Busby Berkeley. Ad ogni incontro, quando gli chiedevo spiegazioni, mi diceva sempre: Steven ma se hai sempre detto di voler girare un musical?!? E in effetti si, poteva essere divertente». E lo sarà.
Un autentico film-nel-film la sequenza al Club Obi-Wan fatto di gag, humor raffinato, certosina cura registica tipicamente spielberghiana. Un omaggio sentito e sincero alla saga di 007 – James Bond, tanto rincorsa nei desideri del regista di Schindler’s List (qui per il nostro Longform) e solo appena sfiorata. Il vero problema in sede creativa per Indiana Jones e il Tempio Maledetto era capire come mantenere vivo l’interesse del pubblico. Si pensò così di sfruttare al meglio l’esotico contesto scenico. Huyck e Katz proposero il classico topos della caccia alla tigre ma Spielberg pensò a qualcosa di più accattivante: «Una cena in cui si mangiano insetti, cervelli di scimmia ecc.», vale a dire la scena madre di tutto Il Tempio Maledetto tra le cui prelibatezze citiamo: vino di sangue di serpente, serpente a sorpresa, scarafaggi croccanti, zuppa di occhi di pecora nonché l’iconico semifreddo di cervello di scimmia.
Poche settimane dopo Lucas inviò a Huyck e Katz una trascrizione da 500 pagine delle loro conversazioni registrate così da facilitarli nel redarre lo script che portò, infine, al primo draft ufficiale de Indiana Jones e il Tempio Maledetto all’inizio di agosto 1982. Un mese caldo per Spielberg che poche settimane prima si vide dominatore incontrastato del box-office con l’indimenticabile e sempiterno E.T. – L’extra-terrestre (qui per il nostro Longform), la cosa, per certi versi, preoccupò Lucas, a detta di Katz infatti: «George non voleva perderlo, voleva disperatamente che dirigesse il film». Nemmeno un mese dopo ecco il secondo draft che, oltre ad asciugare alcune sequenze particolarmente macabre, vide la modifica del titolo da Il Tempio della Morte all’ufficiale – e decisamente meno cupo – Il Tempio Maledetto. Da lì in poi, eccetto che per rapide riscritture, il copione resterà praticamente immutato per tutta la durata della lavorazione.
Lavorazione de Indiana Jones e il Tempio Maledetto che, a detta del produttore Frank Marshall, fu tutt’altro che facile: «Originariamente le scene sarebbero dovute essere girate in un palazzo fantastico in India. Ci chiesero di fornire lo script, quindi l’inviammo perché non pensavamo avremmo avuto problemi. A causa però della criticità voodoo dei Mola Ram e i Thuggees il Governo indiano mostrava riluttanza nel concederci il permesso. Volevano che facessimo cose come non usare il termine Maharajah o non girare in un particolare tempio che avevamo scelto» – per poi proseguire – «Di conseguenza dovemmo ripiegare sul Kandy, in Sri Lanka per gli esterni per poi girare gli interni agli Elsteee Studios». I veri problemi però la produzione li ebbe con un Harrison Ford particolarmente atletico dopo due mesi di allenamenti intensivi (a cui si dice abbia preso parte Spielberg per appena… una settimana!).
Non solo ebbe un incidente sul set in una sequenza di combattimento corpo-a-corpo che gli causò un’ernia del disco che richiese un intervento chirurgico d’urgenza (la sua controfigura, Vic Armstrong, dovette fare gli straordinari per un paio di settimane), ma – e senza alcun preavviso – mentre la troupe stava preparando il ponte di corda nel celebre e pirotecnico climax, pensò bene di testarlo incurante di tutto. La cosa sorprese tutti tanto da far esclamare scherzosamente a Spielberg: «Cosa posso dire? Harrison È davvero Indiana Jones!», mai frase fu più vera, ma non solo. Avete presente la scena della fustigazione nel sotterraneo? Durante le prove, mentre Ford era incatenato, apparve Barbra Streisand vestita da dominatrice che iniziò a frustarlo: «Questo è per Una strada, un amore, il peggior film che abbia mai visto! Questo invece per Star Wars e per guadagnare tutti quei soldi!».
A quel punto – giusto per rendere l’aneddoto ancora più sopra le righe – Carrie Fisher, anche lei in visita sul set, gli si piazzò davanti per proteggerlo memore del passato filmico starwarsiano da Han e Leia. Saputo dello scherzo, un Irvin Kershner molto poco incline all’ironia evidentemente, ha pensato bene di rimproverare Spielberg dicendogli: «Quindi è così che gestisci i set dei tuoi film?». A posteriori – e il retaggio (quasi) quarantennale non mente in merito (fu presentato l’8 maggio 1984) – è che più film dovrebbero essere gestiti e realizzati alla maniera de Indiana Jones e il Tempio Maledetto! Un salto nel buio creativo che nel regalare un’originale backstory al prode Indy finisce con il cristallizzarsi nella memoria comune attraverso alcune tra le sequenze action più iconiche, riuscite, pazzesche e pirotecniche del cinema hollywoodiano anni ottanta (e non solo): una masterclass di dinamismo registico.
Certo, resta ad oggi – Indiana Jones e il Quadrante del Destino di prossima uscita permettendo – il capitolo meno proficuo della saga con i suoi 333 milioni di dollari dopo i 384 de Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, i 474 de Indiana Jones e l’Ultima Crociata oltre che i clamorosi 743 de Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, ma quanta bellezza c’è tra le immagini di Indiana Jones e il Tempio Maledetto! Abbastanza da guadagnarsi il titolo di terzo incasso del 1984 dopo Beverly Hills Cop e Ghostbusters oltre che un particolare (e curioso) primato. Per via dei toni cupi di cui si fregia – la marcia in più, un vero e proprio passo in avanti in termini di maturità narrativa – questo film e il contemporaneo Gremlins portarono alla creazione del rating PG-13.
Una scelta importante, pionieristica, voluta per primo da Spielberg – che suggerì alla MPAA – Motion Picture Association of America di ridiscutere il sistema di classificazione introducendo uno step intermedio tra PG e R – così commentata dalla Capshaw: «Stavamo spingendo il limite su ciò che era/non era appropriato da guardare per i bambini. Ci sforzammo di essere brillanti come con Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta, ma capimmo presto di aver messo il pubblico giovanile a rischio: dov’è il divertimento? C’erano almeno cento urla in più del necessario!». Ironicamente però non fu Indiana Jones e il Tempio Maledetto il primo film a essere classificato come PG-13 e men che meno Gremlins. Il motivo? Il rating sarebbe entrato in vigore appena due mesi dopo, per quelli chiedere agli immortali Alba rossa e Flamingo Kid, altre due grandi storie del nostro amato cinema.
- LONGFORM | Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta
- LONGFORM | Indiana Jones e l’ultima crociata
- LONGFORM | Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo
- LONGFORM | Indiana Jones e il Quadrante del Destino
Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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