ROMA – Siamo nel 1944. Durante la liberazione dell’Europa, Indiana Jones e il collega britannico Basil Shaw (Toby Jones) sono in missione in un castello in Normandia per recuperare la Lancia di Longino, la lancia con cui Gesù è stato trafitto al costato dopo essere stato crocifisso e che si dice sia dotata di poteri straordinari. Catturati dalle truppe naziste, scoprono dall’astrofisico nazista Jürgen Voller (Mads Mikkelsen) che la reliquia è falsa, ma poco importa. Il castello ha svelato il suo tesoro: il Quadrante del Destino. Ideato da Archimede, si dice sia in grado di tracciare delle coordinate interdimensionali con cui viaggiare nel tempo. Organizzata la fuga, Indiana e Basil riescono a mettere le mani sul Quadrante. Venticinque anni dopo più di una persona vorrà mettere le mani sull’artefatto. Da qui inizia l’avventura di Indiana Jones e il Quadrante del Destino di James Mangold: l’ultima volta di Indy al cinema.
Presentato fuori concorso a Cannes, prodotto da Walt Disney Pictures e Lucas Film con la partecipazione di Paramount, Indiana Jones e il Quadrante del Destino era un film attesissimo (e temutissimo) dai fan di ferro della saga, una pellicola dalla gestazione creativa lunghissima che ad un certo punto sembrava condurre a nulla. Esattamente come accaduto con il precedente Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo di Steven Spielberg di cui questo quinto capitolo raccoglie le spoglie narrative quindici anni dopo. Eppure, già all’indomani dell’uscita del quarto film nel 2008, tutti erano lì ad attendere l’annuncio del seguito. Specie dopo l’introduzione del figlio perduto di Indiana, quel Mutt Williams (Shia LaBeouf, poi finito in disgrazia e risalito fino a diventare Padre Pio) tanto bistrattato dal grande pubblico quanto, a conti fatti, efficace in termini narrativi e di presenza scenica.
A detta di George Lucas però, l’età non avrebbe impedito a Ford di prendere parte al quinto capitolo: «Non è come se fosse un uomo in età avanzata, lo è, ma è incredibilmente agile, ha perfino un aspetto migliore di vent’anni fa». Dichiarazioni del 2008 quando la carta d’identità di Ford recitava sessantasei. Oggi, nel 2023, con Indiana Jones e il Quadrante del Destino finalmente al cinema e Ford che ha girato il film a ottant’anni, la questione anagrafica appare sempre meno evidente. Un po’ è magica illusione scenica, un po’ i leggendari resoconti dai set di Star Wars: Episodio VII – Il Risveglio della Forza e Blade Runner 2049, così, proprio come accaduto per il ritorno di Han Solo e Rick Deckard, anche per la quinta (e ultima) volta di Indy al cinema, Ford ha completato la maggioranza dei suoi stunt rivelando una condizione fisica davvero invidiabile.
Tornando indietro nel 2008 di Spielberg, Lucas e Ford, il trio cercò potenziali espedienti narrativi su cui costruire ciò che sarebbe poi stato Indiana Jones e il Quadrante del Destino. Un MacGuffin che, sulla scia della tradizione-Jones dall’Arca dell’Alleanza ai Teschi di Cristallo, fosse soprannaturale e provvisto di un radicato background storico-archeologico: «Anche perché mica puoi semplicemente inventare qualcosa, come una macchina del tempo», disse Lucas al riguardo. Un processo che a detta di Ford funzionava pressappoco così: «Raggiungiamo un accordo di base e poi George se ne va per molto tempo e lo sviluppa. Poi io e Steven lo lavoriamo in forma embrionale, se ci piace lo rifiniamo con George e poi, beh, lo facciamo». Ben presto però gli equilibri creativi si spezzarono, a detta di Lucas: «Stiamo cercando di capire che direzione dare al franchise: io sto nel futuro, Steven nel passato».
Un’impasse realizzativa durata fino all’ottobre del 2012 quando, dopo che il produttore Frank Marshall dichiarò che non sapeva cosa stava realmente accadendo per il quinto capitolo, la Walt Disney Company acquisì la LucasFilm così da conferire alla Disney i diritti di proprietà intellettuale del franchise di Indiana Jones. L’inizio di una nuova era che trovò il suo apice nell’acquisto dei diritti di distribuzione e marketing dei futuri progetti filmici di Indiana Jones dalla Paramount, che sarebbe stata comunque citata nei credits (e così è stato per Indiana Jones e il Quadrante del Destino). Già a partire da maggio 2015, Kathleen Kennedy, presidente della Lucas Film, dichiarò la ferma intenzione di realizzare un quinto capitolo della saga di Indy: «Tutti sentiamo che se potessimo concludere la saga di Indiana Jones con un altro film, dovremmo farlo».
Il primo a volere Indiana Jones e il Quadrante del Destino fu proprio Ford: «È come se Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo finisse in un momento sospeso, non c’era una sensazione davvero forte di chiusura, o della chiusura che ho sempre sperato per Indiana. Non poteva finire così». In realtà, nonostante l’entusiasmo generale, per il quinto capitolo della saga di Indy avrà inizio un development-hell da antologia. A partire proprio dall’uscita di scena di Lucas e questo dopo che Spielberg – che l’avrebbe dovuto dirigere oltre che produrre – dichiarò in un’intervista nel 2016: «Ovviamente non farei mai un film di Indiana Jones senza George Lucas, sarebbe folle». Alla sceneggiatura il ritorno di David Koepp dopo Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo che fin dal suo primo draft, su indicazione della Disney, non inserì mai il personaggio di Mutt.
Ufficialmente perché accusato da critica e pubblico di essere l’anello debole de Il Regno del Teschio di Cristallo – per quello, in realtà, chiedere all’Harold Oxley di John Hurt scritto in fretta e furia per compensare l’assenza dell’ultimo minuto di Henry Jones Sr./Sean Connery – ufficiosamente per via di un Shia LaBeouf che in quel decennio affrontò il suo periodo più buio in termini di salute mentale. E chissà che non sia stata proprio questa la ragione per cui Lucas scelse di farsi da parte per Indiana Jones e il Quadrante del Destino. Quando sembrava tutto pronto per l’inizio della lavorazione ecco l’ennesimo rinvio. Complice la lavorazione back-to-back di The Post e Ready Player One – una di quelle accoppiate che per qualsiasi regista varrebbe la carriera ma che per Spielberg non sono null’altro che uno dei suoi tanti progetti grandiosi – l’inizio delle riprese slittò al 2020.
Nonostante Koepp fosse dell’avviso che il suo fosse uno script vincente («Abbiamo in mano uno script di cui siamo molto soddisfatti») per il potenziale Indiana Jones e il Quadrante del Destino, mancava ancora l’approvazione finale da parte degli executive. Per tutto il 2018 infatti Kathleen Kennedy e Frank Marshall andarono alla ricerca di profili interessanti che potessero occuparsi della riscrittura del draft di Koepp, in modo da aggiungere forze fresche e una nuova visione creativa. Tra questi Scott Beck e Bryan Woods (65 – Fuga dalla Terra), ma soprattutto Jonathan Kasdan e Dan Fogelman che sostituirono Koepp dando vita a due differenti draft che però non incontrarono i favori né di Spielberg, né della Kennedy, né di Marshall. Richiamato Koepp nel 2019 per la seconda volta, il suo sforzo creativo produsse altri due draft rapidamente cestinati che stavolta non convinsero pienamente Ford e la stessa Disney.
In questo clima di impasse totale – e complice il proibitivo impegno filmico di West Side Story – nel febbraio 2020 Spielberg annunciò di voler rinunciare alla regia (rimanendo comunque come produttore), in favore di una visione nuova, più giovane, fresca e soprattutto motivata per Indiana Jones e il Quadrante del Destino. Quel qualcuno fu proprio James Mangold su intuizione di Ford dopo che i due si conobbero sul set de Il Richiamo della Foresta (di cui Mangold fu executive). Oltre a Spielberg, anche Koepp sentì che era arrivato il momento giusto per farsi da parte: «Credo sia arrivato il momento per James di esprimere la sua idea di Indiana Jones», dedicandosi a nuovi progetti come la regia del suo settimo lungometraggio (Ve ne dovevate andare) e allo script di Kimi di Steven Soderbergh. La pandemia da COVID-19 e susseguente lockdown fecero il resto.
Mangold accettò infatti la regia de Indiana Jones e il Quadrante del Destino solo perché i piani della LucasFilm cambiarono. Per rispettare la data fissata dalla Disney per il 2021 le riprese sarebbero dovute iniziare da lì a sei mesi. Questo avrebbe significato per Mangold un impossibile conflitto di lavorazione con A Complete Unknown (chiacchierato biopic su Bob Dylan con Timothée Chalamet in uscita nel 2024) con conseguente rinuncia alla regia del quinto capitolo della saga di Indy. Chiamati i fidi Jez e John-Henry Butterworth, con cui aveva collaborato per lo script di Le Mans ’66, nei mesi successivi Mangold compì qualcosa da lui definita così: «Una riorganizzazione aggressiva, quasi integrale, dello script di Koepp», comunque accreditato nei credits per aver contribuito fornendo la base da cui partire – e infine edificare – la propria visione de Indiana Jones e il Quadrante del Destino.
La prima grande innovazione offerta alla causa di Indiana Jones e il Quadrante del Destino fu il dare un senso all’assenza di Mutt: «Ci sono solo alcuni personaggi che puoi inserire, e in questo film vorrei catturare nuovamente quella meravigliosa energia che si sprigiona quando Indy è in scena con un intrepido personaggio femminile…». Vale a dire Helena Shaw alias Phoebe Waller-Bridge la cui caratterizzazione ambigua tra mid-villain e alleata – non propriamente nelle corde dell’interprete di Fleabag – è ispirata alla Barbara Stanwyck di Lady Eva di Preston Sturges del 1941. Secondo Mangold però non era sufficiente: «Se vuoi che la storia si concentri sui personaggi in scena, devi fare in modo che chi non c’è divenuti un punto della storia rendendolo una tremenda fonte di dolore…». Ed ecco quindi l’innovazione: rendere Mutt un caduto in Vietnam la cui scomparsa strazia i sopravvissuti al punto da spezzarne l’unità familiare.
Su ammissione di Mangold Indiana Jones e il Quadrante del Destino è un film sulla fine: «Un film su un eroe al tramonto in un mondo che non ha più un posto per lui». Un’opera crepuscolare, cupa, ma non nostalgica: «Mi manca il deserto, mi manca il mare e mi manca svegliarmi ogni mattina chiedendomi quale avventura mi riserverà il giorno. Questa non è un’avventura, quei giorni sono passati». Indiana Jones è un avventuriero ritiratosi in pensione, disallineato nel proprio equilibrio emotivo – straziato dall’assenza di Marion (Karen Allen) e dalla morte di Mutt – e incapace di scendere a patti con un mondo in continuo mutamento. Ritroverà se stesso e la propria dimensione in una grande avventura intorno al mondo, tra magia e scienza, fede ed empirismo, come ai bei tempi andati. Qui entra in gioco il ruolo del MacGuffin, il quadrante del titolo ideato da Archimede.
La scelta del Antikythera è figlia di Mangold e delle sue ricerche storiografiche, ma già nello script di Koepp – come tradizione in ogni capitolo di Indiana Jones che si rispetti – era presente: «Un’altra reliquia dotata di un potere simile a quelle che avevamo visto nei film precedenti». E chissà che non fosse proprio la Lancia di Longino dell’avventuroso prologo, riecheggiante al passato storico-religioso dell’Arca dell’Alleanza de Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta e al Sacro Graal del successivo Indiana Jones e l’Ultima Crociata. Da qui l’intuizione della successione di artefatti. Quasi come se Mangold volesse, con Indiana Jones e il Quadrante del Destino, abbandonare i facili sentieri narrativi del passato per avventurarsi in un personale presente di rinnovamento, e questo pur riproponendo i famigerati nazisti e un’inerzia narrativa riecheggiante al passato del capostipite.
A cambiare è la natura del racconto di Indiana Jones. Sempre meno fatto di vivido e lucido realismo come nella trilogia originale, per dialogare con lo spettatore attraverso CGI raffinata e mai veramente invasiva (come successo invece con Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo), un deepfake formidabile nel prologo – con tanto di Anthony Ingruber che ha visto coronare il suo sogno da sosia di Ford nel prestarvi le giovani fattezze – e delle atmosfere che dall’avventura pura e cruda virano dritte verso il fantasy, come nel caso dello spiazzante – ma romantico – climax. Nel viaggio nel tempo che ne consegue, Indiana Jones sublima decenni di studio e di desideri nostalgici trovandosi faccia a faccia con la storia, con Archimede, tanto che per pochi (ma emozionanti) minuti sembra davvero che possa scegliere di restare lì, mettendo da parte il dolore.
Per certi versi è come se Mangold volesse, con Indiana Jones e il Quadrante del Destino, regalare qualcosa di più dell’immortalità cinematografica al nostro eroe: l’immortalità del tempo, della storia, farlo diventare egli stesso storia, come se non volesse farlo finire mai per ricominciare. Ma forse in fondo lo è già – infinito e immortale – non a caso rimane il più grande eroe cinematografico dell’epoca moderna. Ora, Indiana Jones e il Quadrante del Destino non è esente da difetti: pieno di lungaggini, infarcito di una presenza smodata di scene d’azione, e dotato di un ritmo tale che a volte sembra privato del tempo per far respirare il racconto di calma e intimità. Quando lo fa però – e in questo Mangold si è rivelato un maestro tra Cop Land, Ragazze Interrotte, Logan – The Wolverine e Le Mans ’66 – garantisce la giusta dose di lacrime e applausi.
Perché in fondo Indiana Jones e il Quadrante del Destino riesce dove il suo predecessore, Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo, aveva tristemente fallito nel suo non essere riuscito a riunire tre generazioni di Henry Jones. Essere uno splendido film sull’età, il valore del tempo, la famiglia e l’impossibilità a scinderne i legami se guidati dal vero amore: «Non riguarda tanto l’invecchiamento in sé, ma il tempo, il modo in cui il tempo viaggia per noi, il modo in cui invecchiamo mentre il mondo cambia intorno a noi», ha precisato Mangold. E chi se non Indiana Jones meritava un saluto di commiato così prima di appendere per sempre cappello e frusta al chiodo: «Non sono gli anni amore, sono i chilometri…».
- LONGFORM | I Predatori dell’Arca Perduta
- LONGFORM | Indiana Jones e il Tempio Maledetto, un sequel difficile
- LONGFORM | Indiana Jones e l’Ultima Crociata, il ritorno alle origini
- LONGFORM | Indiana Jones 4, un film da riabilitare
Qui sotto potete vedere il trailer del film:
Lascia un Commento