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Brazil | Jonathan Pryce e la distopia burocratica di Terry Gilliam. Tra Orwell e Fellini

Robert De Niro, Michael Palin, Aquarela do Brasil e… River Phoenix. Come riscoprire una leggenda

Brazil
Jonathan Pryce in una rielaborazione grafica di una scena di Brazil.

ROMA – Si è discusso tanto del senso del titolo del film negli ultimi trentotto anni. Ma perché proprio Brazil per un’opera kafkiana, pervasa di assurdismo, esistenzialista, che è un atto d’accusa satirico verso le tecnocrazie, la burocrazia, l’iper-sorveglianza, lo statalismo aziendale e il capitalismo di stato? La risposta la diede proprio il regista e autore, quel Terry Gilliam che durante un pomeriggio in Galles ebbe come un’illuminazione: «Ero a Port Talbot, una città d’acciaio, ricoperta di una polvere grigia metallica. Anche la spiaggia era ricoperta completamente di polvere. Il sole stava tramontando, era tutto molto bello: il contrasto era straordinario. Avevo quest’immagine di un uomo seduto lì, su questa sordida spiaggia gallese, con una radio portatile sintonizzata su quelle strane canzoni latine come Aquarela do Brasil. La musica lo portava via, lontano, facendogli sembrare il mondo meno triste…».

Brazil
Jonathan Pryce e il suo doppio: Sam Lowry.

Un bell’inizio, no? Perlomeno questa era la versione ufficiale, perché quella ufficiosa racconta di un Gilliam che avrebbe voluto inizialmente intitolare il film So That’s Why the Bourgoisie Sucks, poi The Ministry of Torture, How I Learned to Live with the System So Far – così da giocare di rimandi spirituali all’intramontabile Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick (qui per il nostro Longform) di cui avrebbe dovuto dirigerne il tanto chiacchierato (e mai realizzato) sequel negli anni Novanta. Aveva pensato anche a 1984½ in modo da omaggiare contemporaneamente sia George Orwell che di Federico Fellini: «Fellini era uno dei miei grandi dei ed era il 1984, quindi mettiamoli insieme!». E sarebbe anche andata così per Brazil se Michael Radford e il suo dimenticabile Orwell 1984 non si fossero messi di traverso: «Purtroppo quel basta*do di Radford ha fatto una versione di 1984 intitolandola 1984 e mi ha fregato…».

In origine Brazil si sarebbe dovuto intitolare 1984½ così da omaggiare il capolavoro omonimo di George Orwell e 8½ di Federico Fellini
In origine si sarebbe dovuto intitolare 1984½ così da omaggiare Orwell e Fellini

Nacque proprio da qui però il cuore tematico di Brazil, da quel contrasto giocoso tra l’intramontabile brano di Ary Barroso del 1939 – ode d’amore alla sua madrepatria calda e avvolgente, trascinante, qui riarrangiata da Michael Kamen e Geoff Muldaur (in origine Kate Bush) – e il grigio di quel freddo mondo industriale-disfunzionale contro cui Gilliam si è sempre opposto strenuamente sin dai tempi dei Monty Python. Leit-motiv del risveglio dal torpore e dal grigiore burocratico del tecnocrate Sam Lowry (Jonathan Pryce) che nell’affidarsi alla creatività e al desiderio nella ricerca della sua donna dei sogni, la ribelle Jill (Kim Greist), vede Gilliam trascinarci in un futuro che sa di presente. «Non è né futuro né passato, eppure un po’ di entrambi. Non Est. Non Ovest. È ovunque nel XX secolo, al confine tra Los Angeles e Belfast, qualunque cosa significhi». Il labile confine tra realtà e sogno.

Jonathan Pryce è il tecnocrate Sam Lowry in una scena di Brazil
Jonathan Pryce in un’altra scena del film.

Un film che parla del nostro mondo quindi, del modo in cui viviamo la quotidianità adesso tra anaffettività, sentimenti anestetizzati e massacranti routine industriali ieri come oggi trentotto anni dopo, visto che fu presentato fuori concorso alla Berlinale nel febbraio del 1985). Brazil è distopico e scenograficamente retrofuturista («Una visione di come sarebbero potuti essere gli anni Ottanta visti da un regista degli anni quaranta» dissero Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro al riguardo), fatto vibrare di suggestioni espressioniste tedesche e russe al sapore di cinema noir, restituito in immagine dall’occhio straniante e senza filtri di un Gilliam che scelse obiettivi ampi e angoli di ripresa inclinati per riprese grandangolari dalla corta lunghezza focale. Il risultato? Il presente-futuro di Gilliam è tanto immersivo e ricco di particolari quanto spiazzante e claustrofobico nella sua ferocia di intenti nichilisti. Ma da dove nasce l’idea alla base del film?

In Italia Brazil fu distribuito il 15 marzo 1985
In Italia il film fu distribuito il 15 marzo 1985

La prima volta che sentiamo parlare di Brazil è agli inizi degli anni Ottanta sotto il titolo provvisorio di The Ministry, all’indomani de I banditi del tempo di cui rappresenta la naturale prosecuzione/anello di congiunzione di un’ipotetica Trilogia dell’Immaginazione, conclusasi poi con l’intramontabile Le avventure del Barone di Münchausen. Il centro tematico? «La follia della nostra società goffamente ordinata e il desiderio di sfuggirle con ogni mezzo possibile attraverso gli occhi di un bambino (I banditi del tempo), di un uomo sulla trentina (Brazil) e di un anziano (Münchausen)». Non fa una piega. A quel tempo lo script era una faccenda tra Gilliam e lo sceneggiatore Charles Alverson il cui contributo – inerente unicamente ai primi due draft (dove l’eroe protagonista era Jack Lint e non Sam Lowry) del 1983 – a dire il vero, l’ex-Monty Python non ha mai riconosciuto nei successivi vent’anni, tanto da risultare non accreditato nei titoli di coda.

Robert De Niro è l'eroico Archibald Harry Tuttle in una scena di Brazil
Robert De Niro è l’eroico Archibald Harry Tuttle

Per il vero Brazil però bisognerà aspettare la riscrittura di Tom Stoppard. Sua infatti l’intuizione da commedia d’equivoci in apertura di racconto che vede un errore di calcolo frutto di una mosca morta dar vita alla rivoluzione, così come il tono marcatamente tragicomico con spunti da commedia dell’assurdo. Non fu una collaborazione nel senso vero del termine però, non per come l’aveva immaginata Gilliam che spingeva per avere un confronto dialogico con Stoppard che invece, dal canto suo, preferiva lavorare individualmente per poi consegnare il suo personalissimo draft dopo settimane. Di tutt’altra idea il co-sceneggiatore – nonché interprete di Harvey Lime – Charles McKeown, che invece sposò appieno il metodo di Gilliam contribuendo ad approfondire l’aspetto propagandistico del contesto narrativo. Discorso diverso per il climax, liberamente ispirato al racconto breve An Occurence at Owl Creek Bridge di Ambrose Bierce del 1890 e nato praticamente per caso.

Il climax di Brazil, uno dei momenti chiave del cinema sci-fi degli anni Ottanta
Il climax di Brazil, uno dei momenti chiave del cinema sci-fi degli anni Ottanta

«È stata la prima idea che m’è venuta in mente», disse Gilliam, chiedendosi che tipo di storia avrebbe avuto un uomo che impazziva come lieto fine. Sentiva però che rifiutarsi di cedere a un sistema disumano ed entrare, invece, in uno stato in cui non poteva essere ulteriormente ferito dalla tortura o dalla morte (o altro) era una vittoria redentrice dopo una vita fredda e grigia per il tecnocrate Sam Lowry. Agente scenico impavido, sognatore, scheggia di colore impazzita nel bianco-e-nero del mondo di Brazil che Gilliam immaginò sempre con le fattezze (e il talento) di Pryce. Solo che lo immaginava venticinquenne e non trentasettenne (come Pryce). A un certo punto si fece il nome di Tom Cruise per la parte (!!), ma allo screen-test fu talmente perfetto Pryce da indurre Gilliam a modificare l’anagrafe del suo eroe protagonista. Scelse bene, i problemi arriveranno dopo, con il climax.

Derrick O'Connor e Bob Hoskins sono Dowser e Spoor in una scena di Brazil
Mario Bros? No. Derrick O’Connor e Bob Hoskins sono Dowser e Spoor

Se è vero che Brazil fu girato sforando (e di molto!) il piano di lavorazione di ventidue settimane – il perfezionismo di Gilliam trascinò il film a un’allucinante gestazione di nove mesi – e nel quasi rispetto dei limiti di budget di 15 milioni di dollari (ne incasserà poco meno di dieci) impostigli dall’executive Arnon Milchan della Embassy International Pictures e dalla 20th Century Fox in co-produzione, i guai per Gilliam sorsero per la post-produzione e il final cut privilege per cui fu guerra totale con il titanico Sid Sheinberg della Universal Pictures per la distribuzione. In origine infatti Gilliam licenziò Brazil a 142 minuti e un climax parecchio cupo, c’era un problema però e anche bello grosso: «Volevano un lieto fine. Poi la Universal decise che il tema del film fosse l’amore vince su tutto, così hanno iniziato a eliminare tutta la componente fantasy».

«Volevano un lieto fine. Poi la Universal decise che il tema del film fosse l’amore…»

La scelta di Sheinberg sarebbe anche potuta andare bene a Gilliam, ma c’era dell’altro: «Ora, una cosa è discutere se hai bisogno o meno di quella scena, un’altra è dire: Raccontiamo una storia diversa e a quel punto sono entrato in guerra. La mentalità degli studios americani è stupida, cercano di abbassare lo standard il più possibile per raggiungere quello che pensano sia questo grande stupido pubblico. Io invece ho sempre voluto credere nell’intelligenza del pubblico, ma come puoi farlo se continui a nutrirlo di alimenti per bambini?». Perché alla Universal interessava distribuire Brazil nella misura in cui fosse una storia d’amore da Hollywood felice, che eliminasse del tutto il cupo climax e le conseguenze di quella scelta narrativa – una robusta azione di rimontaggio insomma – per ragioni dichiaratamente commerciali visto che sarebbe stato difficile farlo accettare al pubblico mainstream.

Nel primo draft il ruolo del tecnocrate Sam Lowry era stato immaginato per qualcuno più giovane: Tom Cruise

Sheinberg lanciò così il guanto di sfida a Gilliam proponendo di testare entrambe le versioni, la Love Conquers All della Universal e la Director’s Cut e vedere quale delle due avrebbe avuto il maggior responso nei screen-test. A un certo punto ci furono due diverse squadre di montatori che lavorarono allo stesso film per due cut differenti per sapore e tono. Dalla sua Milchan provò perfino ad acquistare i diritti di distribuzione di Sheinberg in modo da raffreddare gli animi e permettere a Gilliam di realizzare il suo Brazil per conto della TriStar Pictures, ma non ci fu modo: Sheinberg fece muro. Sapeva che la Universal non sarebbe stata in grado di recuperare il proprio budget con la percentuale di profitti che la TriStar aveva loro offerto. Gilliam calò allora l’artiglieria pesante, fece pubblicare su Variety un annuncio a tutta pagina per la modica cifra di 1.500 dollari.

Brazil è l'anello di congiunzione della Trilogia dell'Immaginazione di Gilliam comprendente I banditi del tempo e Le avventure del Barone di Münchausen
Brazil è l’anello di congiunzione della Trilogia dell’Immaginazione tra I banditi del tempo e Münchausen

Cosa c’era scritto? Una richiesta: «Caro Sid Sheinberg, quando ti deciderai a distribuire il mio film? Firmato, Terry Gilliam». Sheinberg però non rimase a guardare e, oltre a denigrare pubblicamente Gilliam rivelando il senso della loro disputa, pubblicò anch’egli un annuncio su Variety in cui si rivelò disposto a vendere i diritti di distribuzione di Brazil al miglior offerente. La cosa non colpì particolarmente Gilliam che, anziché arretrare di anche solo un centimetro dalla sua posizione, reagì prontamente organizzando proiezioni private del film per le scuole di cinema della California tra cui è impossibile non citare quanto accadde alla University of Southern California. Due giorni prima della proiezione, gli studenti pubblicizzarono l’evento che arrivò puntualmente alle orecchie di Sheinberg. Quando Gilliam arrivò per l’evento gli fu annunciato che la Universal non gli avrebbe permesso di proiettare Brazil. Fece finta di nulla.

Brazil è anche il primo tassello della Trilogia di Satira Distopica poi proseguita con L'esercito delle 12 scimmie e The Zero Theorem
E primo tassello della Trilogia di Satira Distopica proseguita con L’esercito delle 12 scimmie e The Zero Theorem

Durante il suo discorso introduttivo alla classe – interrotto dalle continue telefonate degli executive – gli fu infine permesso di mostrare una clip: fece vedere loro Brazil, il suo Brazil, interamente, per oltre due settimane di proiezioni clandestine. In una di queste alcuni critici cinematografici losangelini furono presenti, rimanendone talmente stupefatti da eleggerlo a miglior film dell’anno: senza questo prezioso e coraggioso lavoro critico, oggi, molto probabilmente, staremmo vedendo la versione addolcita che avrebbe voluto la Universal. Vinse Gilliam e Sheinberg, piuttosto che affrontare l’imbarazzo nel tenere in panchina un film così apprezzato dal pubblico, cedette interamente alle richieste del regista, il che è particolarmente ironico dato il tema al centro di Brazil: l’individuo che resiste al sistema. L’unica differenza è che Lowry ha perso nella sua dolce-ed-evasiva catalessi, Gilliam ha vinto, regalandoci uno dei più grandi film che la storia ricordi.

Kim Greist è Jill Layton in una scena di Brazil
Kim Greist è Jill Layton

La guerra fratricida tra Sheinberg e Gilliam non fu comunque esente da conseguenze. La confusione generata tra la Love Conquers All e la Director’s Cut spinse diversi critici a chiedersi se un film completato ma non distribuito in sala potesse essere idoneo per la candidatura agli Oscar 1986 per cui Brazil dovette accontentarsi delle sole nomination nelle categorie Miglior sceneggiatura originale e Miglior scenografia – che vedrà vincitori, rispettivamente, Witness – Il testimone e La mia Africa – ma poco importa. Nulla che andasse a inficiare l’intrinseca valenza di un’opera che – scippo del titolo di Radford e facili parallelismi tra Winston Smith e Sam Lowry a parte – ha davvero poco a che vedere con quel 1984 di Orwell che Gilliam, in tutta sincerità, ha ammesso di aver usato come ispirazione tematica, ma di non aver mai nemmeno letto.

Brazil, o del sogno desiderato come evasione dalla grigia e burocratica realtà
Brazil, o del sogno desiderato come evasione dalla grigia e burocratica realtà

Da intendersi quindi come: «Il diciannove-otto-quattro per il 1984», o in altri termini, come se fosse stato scritto da una prospettiva satirica contemporanea al tempo narrativo piuttosto che guardare al futuro in maniera distopica e pessimista come fece Orwell, non a caso, primo capitolo della Trilogia di Satira Distopica andatasi poi a sviluppare tra L’esercito delle 12 scimmie e The Zero Theorem. Una prospettiva, quella di Brazil, arricchita di valore dalla presenza di un Robert De Niro deuteragonista eccellente e molto caro. Milchan spese 660.000 dollari per ingaggiarlo per tre delle ventidue settimane previste dal piano di lavorazione: tre volte quanto prese Pryce come protagonista, ma più che comprensibile vista la statura dell’interprete per cui la Fox pagò il 35% dell’ingaggio al fine di rendere Brazil più appetibile al botteghino.

Michael Palin, compagno d'armi di Gilliam nei Monty Python, è Jack Lint in una scena di Brazil
Michael Palin, compagno d’armi di Gilliam nei Monty Python, è Jack Lint

Originariamente ingaggiato per interpretare Jack Lint – che però Gilliam promise all’ex-Monty Python Michael Palin che lo rese machiavellico e imprevedibile – De Niro dovette accontentarsi del ruolo di quel Archibald Harry Tuttle simbolo di speranza e riscossa per Sam Lowry e la sua colorata trasformazione caratteriale. Dapprima entusiasta di averlo a bordo di un progetto come Brazil, ben presto Gilliam e la troupe scoprirono la frustrazione del lavorare con un interprete strenuamente fedele al Metodo, capace d’arrivare a ripetere una scena oltre trenta ciak così da cogliere appieno ogni sfumatura possibile mentre intorno erano tutti sfiniti. Per concludere il nostro Longform però, c’è anche un’altra ragione per cui Brazil è entrato nel cuore di tanti cinefili e addetti ai lavori: era il film preferito di River Phoenix che lo amava alla follia.

Brazil era il film preferito di River Phoenix. Lui e Gilliam si sarebbero dovuti incontrare il 31 ottobre 1993…

Possiamo solo immaginare quindi cosa deve aver provato il ventitreenne Phoenix quando seppe che in Dark Blood diretto da George Sluizer – il suo tristemente celebre film incompiuto – avrebbe diviso la scena con l’ex-Sam Lowry di Brazil, Jonathan Pryce. I due divennero subito amici. Dopo un paio di settimane, come regalo, Pryce organizzò, all’insaputa di Phoenix, un incontro con Terry Gilliam, il suo eroe. L’incontro sarebbe dovuto avvenire il pomeriggio del 31 ottobre 1993. Era una domenica, ma non ebbe mai luogo. Phoenix morirà infatti per insufficienza cardiaca da overdose di stupefacenti nella notte di quello stesso giorno al Viper Room di Johnny Depp sotto gli occhi del fratello Joaquin. Nel turbinio di eventi che ne seguirono, nessuno avvertì per tempo Gilliam che aspettò per ore Phoenix prima di scoprirne il triste fato. Chissà cosa quale opera magnifica ci avrebbe potuto regalare quell’incontro di anime ribelli…

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

 

 

 

 

 

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