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La pittura, i colori, l’eredità: perché recuperare il biopic su Pierre-Auguste Renoir?

Un gigante della pittura rivisto in un film? Sì, possibile, se il protagonista è un enorme Michel Bouquet

Michel Bouquet nel ruolo del grande pittore Pierre-Auguste Renoir.

MILANO – Un gigante della pittura impressionista e una storia d’amore dirompente. Il quarto lungometraggio del regista francese Gilles Bourdos (che poi ha cambiato decisamente genere con Vulnerabili), Renoir, trae ispirazione proprio da un dualismo affascinante e poco raccontato finora. È il 1915, e siamo in Costa Azzurra, nella fastosa residenza del pittore Pierre-Auguste Renoir. La giovane modella Andrèe giunge sul luogo, chiamata dalla moglie dell’artista, per essere ritratta in tutte le sue più ridenti forme, sinuosa e fragile nelle pose che di volta in volta assume. Al ritorno dal fronte del figlio Jean (Vincent Rottiers), dopo essere stato gravemente ferito, Andrèe si innamorerà di lui, scatenando così l’ira del possessivo padre.

Michel Bouquet è Pierre-Auguste Renoir.

L’anziano pittore, dice Bourdos, è un fatalista irriducibile, indole ben riassunta dalla teoria del tappo di sughero, che Renoir espone con orgoglio al figlio Jean e ad Andrèe: «Lascia che sia la vita a trasportarti, come un tappo nella corrente di un ruscello. Ti immagini se mi sparassi? Alla mia età… Sarebbe pura civetteria». Un fatalismo che tuttavia coniuga con l’amore prevaricante provato nei confronti della pittura. Ed è proprio a Jean che rivolgerà la sua vera e propria dichiarazione d’intenti: «La pittura non si può spiegare, si sente e basta. Va’ al Louvre a vedere le cortigiane di Tiziano, e se non ti viene voglia di accarezzarle, beh allora non capisci proprio nulla».

Una scena di Renoir.

Alla vicenda si intrecciano poi i tragici eventi della Grande Guerra, un conflitto di enormi proporzioni sociali, al quale il regista riserva un ruolo tutt’altro che marginale. Questo Renoir è un film sul genio di un artista, Pierre-Auguste Renoir, ma anche un’opera che riflette sul confronto generazionale, da una parte quello di un padre alla fine della sua esistenza, straziato dai dolori, dall’altra il destino segnato dei figli, protagonisti di una guerra inutile in cui credono. Poi c’è l’omaggio al cinema. È un omaggio che passa per la figura del figlio Jean Renoir, futuro regista di fama internazionale, autore di pietre miliari quali La Grande Illusione, La Regola del Gioco e L’Angelo del Male.

Christa Theret, nel film è Catherine Hessling.

Il regista Bourdos, proprio come facevano i pittori impressionisti, cattura nelle inquadrature il paesaggio della costa francese, gioca coi colori e con le luci creando un’atmosfera molto suggestiva, grazie all’ottima fotografia di Ping Bin Lee. Colpisce inoltre il lavoro minuzioso sulla ricostruzione storica dei costumi e degli ambienti interni. Ma la nota da evidenziare, è l’interpretazione di Michel Bouquet – invecchiato dal trucco senza sembrare ridicolo – grazie alla quale ottenne anche la nomination ai Cèsar come miglior attore. Un piccolo gioiello da recuperare, tipicamente francese nella velata delicatezza con cui i sentimenti sono appena accennati e riferiti. In punta di pennello, naturalmente.

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