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Ben-Hur | Charlton Heston, William Wyler e i sessantacinque anni di una leggenda

La genesi, Marlon Brando e Kirk Douglas, Sam Zimbalist, gli Oscar. Riscoprire un capolavoro

Stephen Boyd, Charlton Heston le quadrighe e la leggenda di Ben-Hur, un film di William Wyler del 1959
Stephen Boyd, Charlton Heston le quadrighe e la leggenda di Ben-Hur, un film di William Wyler del 1959

ROMA – Vincitore di 11 Oscar alla 32esima edizione degli Academy Awards del 1960 tra cui Miglior film e Miglior regia (primato eguagliato, ad oggi, soltanto da Titanic e Il Signore degli Anelli: Il Ritorno del Re), titanico, leggendario. Ben-Hur, pellicola del 1959 di William Wyler, è letteralmente l’essenza del cinema moderno americano. Grandi storie, grandi autori, grandi attori, composizioni d’immagine magnificenti. Un peplum dal respiro filmico immenso in ogni sua componente e declinato nelle forme di un kolossal imponente, maestoso, con cui raccontare di onore e vendetta, uomini e dei attraverso un viaggio che è morte, caduta, rinascita e resurrezione. Quella di Giuda Ben-Hur (Charlton Heston) che – sconfitto – come un novello Edmond Dantès di dumasiana memoria, ritorna da eroe del popolo, come romano e figlio di Quinto Arrio (Jack Hawkins) per una resa dei conti verso l’amico/traditore Messala Severus (Stephen Boyd) tra polvere, quadrighe e cavalli.

Una delle tante locandine di Ben-Hur, un film di William Wyler del 1959
Una delle tante locandine di Ben-Hur, un film di William Wyler del 1959

Ma soprattutto, quella di Gesù Cristo (Claude Heater), di cui Wyler non ci mostra mai il volto per proteggerne il mistero e la Fede. Una componente religiosa resa evidente dal sottotitolo del romanzo originale del 1880 di Lew Wallace da cui è tratto (Ben-Hur: A Tale of the Christ) e che nell’adattamento cinematografico viaggia sottotraccia, dalla Natività alla Pasqua, in eleganti congiunzioni armoniche che trovano infine completamento nel climax con la crocifissione. Un momento filmico delicato, critico e raccontato così da Wyler: «Ho trascorso notti insonni cercando di trovare un modo per affrontare la figura di Cristo. Ognuno ha il suo concetto di lui. Volevo essere riverente e tuttavia realistico. La crocifissione è una cosa sanguinosa, terribile, orribile, e un uomo non la affronta con un’espressione benevola sul viso. Ho dovuto affrontarlo. È una cosa molto impegnativa farlo e non ricevere lamentele da nessuno».

Charlton Heston è Giuda Ben-Hur
Charlton Heston è Giuda Ben-Hur

Eppure riuscito, ed è la storia, il retaggio e l’eredità saputasi costruire lungo gli ultimi sessantacinque anni (il film fu presentato al Loew’s State Theatre di New York il 18 novembre 1959) a dirci quanto Ben-Hur ha saputo incidere nell’immaginario collettivo. Oltre al fatto che con i suoi 66 milioni di dollari d’incasso world-wide, salvò la MGM – Metro-Goldwyn-Meyer da una situazione finanziaria tutt’altro che solida fino a quel punto. Un progetto, Ben-Hur, a lungo seguito da Louis B. Mayer e che suo malgrado non riuscì mai a vedere ultimato. Scomparve, infatti, per le complicazioni di una leucemia fulminante, nel 1957. Cinque anni prima, nel dicembre del 1952, la MGM annunciò la realizzazione di un remake dell’omonimo film muto del 1925 di Fred Niblo con protagonisti Ramón Novarro, Francis X. Bushman e May McAvoy. Nell’anno successivo fu annunciato Sam Zimbalist come executive-capo dopo il successo ottenuto con Quo Vadis.

Il momento topico della crocifissione: il climax del film
Il momento topico della crocifissione: il climax del film

Zimbalist affidò la stesura dello script allo sceneggiatore Karl Tunberg, mentre, in sede di casting, nei mesi (se non perfino anni) successivi, si fecero i nomi di Stewart Granger, Robert Taylor ma soprattutto di quel Marlon Brando new sensation hollywoodiana che tra il peplum Giulio Cesare e l’Oscar per il Miglior attore protagonista 1955 ottenuto con Fronte del Porto, pareva essere l’unica scelta possibile per il ruolo di Giuda Ben-Hur. E sarebbe andato a lui se la MGM, contro ogni pronostico, non avesse deciso di interrompere la pre-produzione di Ben-Hur all’inizio del 1956 per problemi economici. Verso la fine degli anni Cinquanta, infatti, lo Stato obbligò gli studios a cedere le catene di sale cinematografiche a causa della pressione competitiva del nuovo medium in ascesa: la televisione. Per la MGM fu un colpo durissimo. Il successo del contemporaneo I Dieci Comandamenti della Paramount Pictures, tuttavia, decise diversamente.

Stephen Boyd è Messala Severus in un momento di Ben-Hur
Stephen Boyd è Messala Severus

Il neo Presidente della MGM, Joseph Vogel, fu come ispirato dal kolossal biblico con protagonista, guarda caso, proprio Charlton Heston nel ruolo di Mosè, al punto da stanziare un budget monstre per l’epoca di oltre 15 milioni di dollari. Investimento che rese Ben-Hur il più costoso film mai prodotto fino a quel momento oltre che una particolare eccezione nella storia della MGM. È, infatti, la prima produzione priva del leone ruggente nei titoli di testa. Fu una scelta di Wyler avallata da Zimbalist e Vogel. Il timore era che il logo tradizionale potesse creare l’atmosfera sbagliata per quello che sarebbe stato poi l’attacco del film: la sequenza iniziale della Natività, resa da Wyler nelle forme di un momento filmico solenne e sensibile. Wyler che in origine, in verità, non fu il primo nome fatto negli uffici della MGM per il timone di comando di Ben-Hur.

Ben-Hur fu presentato negli Stati Uniti il 18 novembre 1959
Ben-Hur fu presentato negli Stati Uniti il 18 novembre 1959

Zimbalist, infatti, scelse Sidney Franklin alla regia con Tunberg che ormai aveva ultimato lo script al suo secondo draft. Uno script insoddisfacente secondo Zimbalist («Primitivo, dalle caratterizzazioni elementari, povero, ingirabile» furono le sue parole). Nonostante il tempo a sua disposizione, Tunberg non riuscì mai ad entrare in sintonia con l’opera originaria di Wallace al punto da snaturarne l’inerzia e quindi, di riflesso, la sua vera essenza. Non solo tagliò del tutto la sottotrama religiosa relativa a Cristo (che del Ben-Hur prodotto finito è il punto di forza nda), ma privò l’agente scenico principe di quella carica ribelle che lo rese, infine, paladino del suo popolo ed eroe benevolo a tutto tondo. Parallelamente, dei problemi di salute spinsero Franklin ad abbandonare il progetto. Al suo posto proprio Wyler che, ironia della sorte, del primo Ben-Hur fu uno dei trenta assistenti alla regia di cui Niblo poté disporre.

Haya Harareet è Esther in una scena del film
Haya Harareet è Esther in una scena del film

Una scelta commentata così dallo stesso Wyler in un’intervista rilasciata all’indomani della distribuzione in sala: «Si, mi chiesero di girare Ben-Hur, non era esattamente il mio tipo di film, non ne avevo mai realizzati così, ma ho pensato sarebbe stato intrigante provare a fare un film alla maniera di Cecil B. DeMille (regista, tra gli altri, di Sansone e Dalila e proprio I Dieci Comandamenti). Poi ho pensato che con questo film avrei guadagnato un sacco di soldi, cosa che ho fatto! Ci voleva un ebreo per girare un film degno di nota sulla vita di Cristo». In particolare, fu la corsa delle quadrighe al Circo di Gerusalemme ad attrarre come una calamita Wyler a Ben-Hur. Sequenza di cui Zimbalist gli fece avere degli storyboard preliminari con un’avvertenza: «Dimenticati della corsa delle quadrighe perché è una roba da seconda unità».

Hugh Griffith e Charlton Heston in un momento del film
Hugh Griffith e Charlton Heston in un momento del film

Wyler era lì per dare corpo, profondità ed intimità al racconto. Quella era la vera sfida di Ben-Hur. Più, però, Wyler rifletteva sulla storia, più rimaneva incuriosito dalle sue infinite possibilità filmiche. L’idea era quella di prendere la forma del concept biblico alla maniera di DeMille per ricalibrarlo nelle forme di un kolossal su di un uomo pensante e non solo illuminato da ragione divina. Non a caso, nonostante la MGM lo ricoprì d’oro garantendogli uno stipendio di 350.000 dollari più l’8% del botteghino lordo, non avrebbe accettato di dirigere Ben-Hur senza un interprete all’altezza. Per la parte di Giuda Ben-Hur si fecero, infatti, i nomi di Rock Hudson, Burt Lancaster (che rifiutò perché ritenne il concept noioso), Geoffrey Horne, Leslie Nielsen, (di nuovo) Marlon Brando e Kirk Douglas che in origine avrebbe dovuto prestare volto e corpo al protagonista con Charlton Heston nei panni della nemesi Messala.

In origine il ruolo di Ben-Hur sarebbe dovuto essere di uno fra Burt Lancaster, Kirk Douglas e Marlon Brando
In origine il ruolo di Ben-Hur sarebbe dovuto essere di uno fra Burt Lancaster, Kirk Douglas e Marlon Brando

L’interesse concreto di Heston per il ruolo di Giuda Ben-Hur, però, spinse Wyler – che proprio non riusciva ad immaginare il film senza l’ex-Mosè di DeMille – e quindi la MGM verso la direzione opposta, con Douglas che a quel punto non volle prendere parte allo scambio di ruoli rifiutando seccamente l’idea di vestire i panni di un villain (nemmeno un anno dopo si rifarà con Spartacus di Stanley Kubrick). Per Messala fu così corsa a due tra Stewart Granger e proprio Stephen Boyd che ottenne il ruolo dopo che Granger rifiutò una paga inferiore a quella di Heston. Sul binario parallelo, lo script di Tunberg fu giudicato da Wyler come un gioco di moralità sovrapposto alle sfumature politiche del tempo e dai dialoghi troppo moderni. Zimbalist coinvolse così S. N. Behrman prima e Maxwell Anderson poi, in modo da procedere con delle riscritture che ne sapessero cogliere l’essenza.

Nei cinema italiani il film fu distribuito il 21 ottobre 1960
Nei cinema italiani il film fu distribuito il 21 ottobre 1960

Di questo nuovo script nato dalle ceneri di quello Tunberg, Wyler e Zimbalist ammirarono lo stile poetico elevato che ben si sposava con la natura biblica del concept di Ben-Hur, ma non era ancora sufficiente. Il ritratto compiuto del contesto scenico di riferimento, l’Impero Romano, appariva come frutto di una comprensione modesta se non perfino minima e quindi restituito su carta tra americanismi piatti e formalità artificiose. Infine proprio Gore Vidal che in realtà fu contattato da Zimbalist già agli inizi della pre-produzione, con Franklin alla regia. La differenza la fece la visione di Wyler e con essa l’intenzione di realizzare un kolossal epico che andasse a scuotere la struttura tipicamente demilliana del genere. Il resto fu semplice orgoglio. Lo script di Tunberg, infatti, necessitava di una pesante riscrittura. Lo analizzò per bene durante il volo che dagli Stati Uniti lo portò a Roma, nel 1958, per incontrare Wyler.

Un momento della corsa delle quadrighe dalla prospettiva di Ben-Hur
Un momento della corsa delle quadrighe dalla prospettiva di Ben-Hur

I dialoghi moderni lo sconvolsero talmente da sentire il dovere di accettare l’offerta. La sua conoscenza della storia dell’Antica Roma si rivelò decisiva nel dare profondità e colore al contesto narrativo. All’epoca, infatti, Vidal era al lavoro su una monografia storica sull’Imperatore Giuliano del IV Secolo a.C. Se c’era qualcuno che poteva rendere Ben-Hur un’opera autentica era lui. La catena di montaggio di scrittura prevedeva che Vidal scrivesse una scena, la passasse a Zimbalist e poi a Wyler. Vidal mantenne la struttura alla base dello script di Tunberg/Behrman/Anderson, ma rifinì le componenti dialogiche e i dettagli del contesto scenico in modo da darvi autenticità (e quindi profondità nda). Ma soprattutto colorò le caratterizzazioni degli agenti scenici. In particolare quella di Messala per cui, in accordo con Wyler, ne disegnò i contorni in modo che apparisse in scena come un amante omosessuale respinto e quindi dalla vendetta cieca e motivata.

Stephen Boyd e Charlton Heston in una scena di Ben-Hur
Stephen Boyd e Charlton Heston in una scena di Ben-Hur

Il tutto (ovviamente) all’insaputa di Heston che sul set venne simpaticamente soprannominato dalla troupe come The Big Cornpone/La Grande Pannocchia. Non ultimo Christopher Fry, l’ultimo sceneggiatore accreditato per Ben-Hur, che durante la lavorazione – avuta inizio con lo script incompleto e definito in corso d’opera – contribuì alla causa affinando linee dialogiche qua e là e riscrivendo intere scene. Il risultato fu uno script di 230 pagine su cui la Writers’ Guild of America avviò un’indagine per quasi un anno in merito alla reale paternità, attribuita infine (incredibilmente!) al solo Tunberg. Su di essa Wyler, assieme al DoP Robert L. Surtees, incise iconografie epiche e bibliche caratterizzate di riprese lunghe e dalla composizione in profondità. Una tecnica visiva in cui le persone, gli oggetti di scena e le componenti scenografico-architettoniche, non sono composti orizzontalmente ma in profondità di campo così da dare dimensione agli spazi e quindi volume all’immagine.

L'ultima volta di Messala e Ben-Hur
L’ultima volta di Messala e Ben-Hur

Wyler che a differenza di Vidal era totalmente all’asciutto in materia di Impero Romano. Lacuna che scelse di colmare facendosi mandare da Hollywood (il film fu girato a Cinecittà nda) qualsiasi peplum possibile. Trascorse giorni interi immerso in quelle immagini. Arrivò a Roma nell’aprile 1958, cinque mesi prima l’inizio della post-produzione del suo film precedente: il western Il Grande Paese, con un grande Gregory Peck. Una produzione ambiziosa targata United Artists a cui diede carta bianca per il montaggio definitivo affidato al suo collaboratore di lunga data Robert Swink. La sua attenzione era tutta rivolta su Ben-Hur la cui lavorazione, estenuante, piena di imprevisti tra cui un medico che faceva iniezioni di vitamina B-12 (che secondo Wyler, però, venivano mischiate con anfetamine), durò nove mesi di cui tre dedicati alla scena madre, quella che Zimbalist diede totalmente per scontato in pre-produzione: la corsa delle quadrighe al Circo di Gerusalemme.

La scena madre di Ben-Hur: la corsa delle quadrighe al Circo di Gerusalemme
La scena madre di Ben-Hur: la corsa delle quadrighe al Circo di Gerusalemme

Per certi versi comprensibile considerando che lo script originale descrisse la scena con sole, tre, semplici parole: «The Chariot Race». Questo perché il lavoro principale fu tutto degli storyboard che visualizzarono la scena passo dopo passo. Merito dei registi di seconda unità Andrew Marton e Yakima Canutt che diedero vita alla sequenza coadiuvati da Wyler e per cui scrissero 38 pagine di script in cui venivano delineati ogni aspetto della gara, e quindi l’azione, le acrobazie, le inquadrature e gli angoli delle telecamere. Un entusiasmo che contagiò lo stesso Zimbalist, coinvolto direttamente nella costruzione dell’arena. La sequenza finale, che Wyler vide soltanto nella versione finale all’anteprima stampa, fu da lui definita come: «Uno dei più grandi traguardi che il cinema abbia mai raggiunto». E lo è ancora per dinamismo, energia ed intensità – come tutto Ben-Hur del resto – oggi come ieri, sessantacinque anni dopo…

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Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

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