MILANO – No, per chi non fosse ancora stato vivo allora, i Mötley Crüe non furono una rock band qualunque, ma l’icona totale del glam rock degli Anni Ottanta. Con oltre quaranta milioni di dischi venduti, per un decennio rappresentarono tutto ciò che fu Los Angeles e Hollywood in quel particolare periodo storico: fama e glamour, divismo e musica, ma anche droga e perdizione totale. Furono i rappresentanti perfetti dell’eccesso in tutti i sensi: del talento prima, dell’autodistruzione poi. The Dirt – uscito in grande fanfara su Netflix nel 2019 e poi dimenticato – è in fondo il biopic che abbiamo aspettato per anni e che ha il compito di raccontare entrambe le facce che i Crüe incarnarono alla perfezione. Un titolo perfetto per la nostra rubrica Rock Corn (qui trovate le altre puntate) in cui cerchiamo di mescolare musica e cinema.

Facciamo un passo indietro: ciascuno dei quattro membri della band è stato – o continua ad essere – un personaggio in grado di condurre fino all’eccesso lo stile di vita della rockstar perfetta. Qualche esempio? Il batterista Tommy Lee (qui interpretato da un vero musicista, Machine Gun Kelly) passò il periodo tra relazioni con donne famose, da Heather Locklear a Pamela Anderson, ed eccessi di ogni sorta. Nikki Sixx (qui nel film rivisto da un bravo Douglas Booth) anima creativa ma anche più nera della band, a causa della passione per sostanze legali e illegali, arrivò a un passo dalla morte per arresto cardiaco in Giappone. Dopo diversi minuti riverso sul marciapiede, fu salvato da un calcio allo sterno sferrato da un passante che lo riconobbe. Ripresosi, scrisse Kickstart My Heart. Vince Neil (Daniel Webber) fu il re di Sunset Boulevard e del Whiskey a Go Go, segnato da sbronze e grandi tragedie, come quando causò la morte del cantante degli Hanoi Rocks. Mick Mars (Iwan Rheon), il più vecchio, forse il meno esposto, visse tra malattie e donne pericolose.

Ma da dove arriva la storia che vediamo raccontata in The Dirt? Il film è innanzitutto la fine di un viaggio che ha avuto una lunghissima gestazione. In seguito al successo planetario del libro nel 2001 – il titolo era The Dirt. Mötley Crüe. Confessioni della band più oltraggiosa del rock – Paramount e MTV acquistarono immediatamente i diritti per una produzione di cui si iniziò a parlare addirittura nel 2006. Il primo candidato al ruolo di Vince Neil fu addirittura Val Kilmer – che già era stato Jim Morrison per The Doors di Oliver Stone, non dimentichiamolo, ve ne avevamo parlato qui – poi ovviamente scartato. Tredici anni dopo è l’australiano Daniel Webber ad interpretarlo, un attore ancora relativamente poco noto, finito poi – nel 2022 – in una serie decisamente poco celebrata come Billy the Kid.

Così, dopo il successo (anche inatteso) negli anni scorsi di Bohemian Rhapsody, di Rocketman o di Elvis, ma anche più recentemente di opere come Back to Black su Amy Winehouse e di Marley su Bob Marley (e volendo anche Sei nell’anima su Gianna Nannini), The Dirt va direttamente a finire nell’elenco dei biopic musicali da vedere, un punto di incontro tra musica e cinema, un modo differente anche di ascoltare la musica e rivedere su schermo i propri idoli. In questo caso però a garantire quantità e qualità, ma anche follie varie c’era anche Jeff Tremaine, regista cresciuto con la scuola di Jackass – e qui andrebbe aperto un capitolo a parte – e le sue assurdità televisive.

Insomma, un biopic decisamente lontano dalla media, interessante per capire anche le varie tipologie di film che si possono girare su una band (a proposito, a quando un film sui Manowar con Brad Pitt con il basso di Joey DeMaio?). Se ancora non siete convinti, allora vi lasciamo con un aneddoto: chiusi in una saletta di Los Angeles per l’anteprima del film, nel 2019, i Mötley Crüe sembra abbiano pianto parecchio guardando il film. Ecco, questo già la dice lunga su The Dirt.
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