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Oliver Stone, il mito, quel film: cosa rimane di Jim Morrison cinquantadue anni dopo?

L’indiano, la poesia, il limite, la fine: e se il biopic con Val Kilmer fosse meglio di quanto ricordiate?

Val Kilmer e Meg Ryan in The Doors di Oliver Stone. Era il 1991.

MILANO – Inseguiti e ossessionati da hashtag, click, visualizzazioni e numero di streaming, i tempi della scena musicale sono ormai diventati rapidissimi, tanto che a volte bastano meno di sei mesi per far invecchiare un suono o una tendenza. Dunque? Dunque, fatta questa breve – ma doverosa – premessa, parlare di un lasso di tempo di cinquantadue anni potrebbe non avere alcun senso. E invece. E invece no, perché a oltre cinquantadue anni dopo quel giorno d’estate a Parigi – era di sabato allora, il 3 luglio 1971 – Jim Morrison è vivo, mai dimenticato, anzi. Sopravvissuto anche alla sua stessa glorificazione, è stato poi tramandato di generazione in generazione, amato da quattro generazioni differenti, sopravvissuto a qualsiasi cosa, transitato dai libri ai social, dai diari agli smartphone, dal vinile a Spotify.

Oliver Stone con Val Kilmer sul set di The Doors.

Possibile? Sì, possibile, perché evidentemente c’era molto di più di quello che fu inteso allora, non c’era solo il Morrison provocatore, sexy e polemico, il ragazzo dai pantaloni attilati che scandalizzava il Whisky a Go Go e rinnegava il padre. «Is everybody in? The ceremony is about to begin». Oliver Stone – come spesso accade – lo aveva capito prima, aveva capito subito la portata del mito, lui che lo aveva vissuto dall’altra parte della radio, lui che Morrison lo ascoltava in Vietnam alla fine degli anni Sessanta, aggrappato ad un ritornello per riuscire a rimanere vivo tra i Viet Cong. Il suo The Doors, biopic musicale ante litteram, uscì oltre trent’anni fa – il 23 febbraio 1991 negli Stati Uniti, ma il 27 settembre in Italia – suscitando polemiche e critiche feroci per la sua visione, considerata eccessiva, sbagliata, ridondante.

Ancora Stone dirige Val Kilmer prima di una scena.

Eppure rivisto oggi, provate a rivederlo – lo trovate in streaming su Paramount +, Prime Video e Apple TV – il film tiene, eccome se tiene, con un messianico Val Kilmer alle prese con il ruolo della vita, Ray Manzarek trasformato da Kyle MacLachlan (che era appena stato in Twin Peaks), Meg Ryan con la sua Pam e le note di Love Street cucite addosso. «The time has come again. Choose now, they croon, beneath the moon, beside an ancient lake». Stone rilesse due miti americani nel giro di pochi mesi, prima Kennedy in JFK – Un caso ancora aperto, poi Morrison: due personaggi della storia del Novecento diventati icone pop e quasi divorati dallo loro leggenda, rischiando di diventare santini da portare addosso senza più alcun significato, né profondità. Intellettuale o spirituale.

Val Kilmer in una scena di The Doors.

Quello che al tempo capì Stone però fu soprattutto una cosa: l’uragano Morrison non aveva alzato solo una nuvola di grande musica, ma aveva nutrito coscienze e sogni con poesia e suggestioni destinate a rimanere. Per sempre. «I’m sick of dour faces staring at me from the TV tower». E Stone – dopo gli Oscar di Platoon e il successo ottenuto da regista, nonostante a Hollywood lo odiassero – ammirava soprattutto il fatto che Morrison avesse avuto il coraggio di voltare le spalle allo show business proprio quando avrebbe potuto andare avanti altri quattro decenni suonando Light my fire allo sfinimento, pontificando sulla sua rivoluzione, invecchiando a West Hollywood aspettando gli assegni per l’utilizzo di The End. Invece no, Mr. Mojo Risin decise che la fine sarebbe arrivata prima e decise di immolarsi in un sabato di luglio. Cinquantadue anni dopo però, il suo fuoco è ancora acceso…

  • Musica e cinema: qui la nostra sezione Rock Corn
  • Sotto, il trailer di The Doors restaurato in 4K.

 

 

 

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